Cosa è l’analisi reichiana

Un colloquio/intervista con Genovino Ferri di Lucrezia Adami e Marina Pompei

– Perché un colloquio e non un articolo?

– Perché un lunghissimo articolo, ovvero un libro l’ho scritto da poco e poi calibrare risposte a domande di altri, specie a quelle che in genere mi vengono poste quando parlo di Analisi Reichiana, mi piace: la presenza dell’altro, la sua partecipazione, mi permettono una chiarezza ed un’espressività migliori. Così è nata l’idea di riportare un incontro sul tema, la considero una possibile funzionalità per il lettore, tutta da verificare ovviamente.

– Rivolgendoti agli “altri” allora, potresti presentare in modo sintetico il nostro modello ?

– Nel mondo della scienza e della ricerca della conoscenza si intende come “modello” di fatti e di fenomeni, una costruzione più o meno formale e astratta, che contenga o dia senso alle cose, ai fatti ed ai fenomeni osservati. Non credo ad una possibilità di ricerca di conoscenza senza un modello, che è sempre presente, anche, paradossalmente, nella posizione del “non avere nessun modello”.

Vediamo allora il nostro modello SIAR nei suoi criteri generali:

Non può avere una referenza epistemologica unica ed assoluta, è per sua natura un modello spurio.

Non può essere approssimato o a bassa coerenza interna o squalificato dal confronto con i fatti.

Non può essere una pura costruzione immaginativa.

Non può non avere un valore euristico e nello stesso tempo pratico.

Non può non riconoscere la casualità, il determinismo e la ripetitività di configurazioni funzionali e disfunzionali.

Non può non formulare criteri di osservabilità che prendano in considerazione intervalli temporali significativi, tali da poter realmente portare ad un accrescimento della conoscenza.

Non può non indicare la strada per la costruzione di una progettualità nella clinica, nella ricerca e nella prevenzione.

Non può non essere capace di metacomunicazione.

– Soffermiamoci su questo ultimo punto: la metacomunicazione.

– La metacomunicazione è una capacità “oculare” di alta coscienza evolutiva, fuori dalla posizione di verità, nella quale non esiste ancora l’altro. Il nostro modello coglie i propri confini e considera determinante la presenza di altri e diversi modelli con cui tessere relazioni e scambi.

– Presentiamo ancora il modello SIAR: su cosa si basa nei suoi criteri specifici?

– * Sul funzionalismo energetico Reichiano e su un suo sviluppo post-reichiano: il codice energetico-sistemico.

* Sulla formazione evolutiva delle fasi, dei tratti caratterologici e degli anelli reichiani, correlata alla neuropsicofisiologia ed alla teoria dell’evoluzione del cervello di Mac Lean.

* Su una clinica ben precisa, di cui la psicopatologia funzionale è un esempio in psichiatria e psicoterapia.

* Sull’analisi reichiana.

– Tu sei uno psichiatra e con il tuo collega Giuseppe Cimini hai recentemente pubblicato “Psicopatologia e carattere, una lettura reichiana” , che unisce finalmente due mondi, quello psichiatrico della clinica classica e quello analitico, facendoli uscire dalla contrapposizione che spesso li ha caratterizzati, senza però confonderli.

– Direi che si sentiva il bisogno di una ricerca, che prendendo le mosse da Reich, portasse novità e arricchimento, e aprisse nuovi sviluppi ad un pensiero che per certi versi è stato molto travisato, per altri è ormai datato, ma per altri ancora estremamente ricco e tuttora valido.

– Vorrei proprio chiederti di soffermarti a considerare il fenomeno Reich che in Italia ha aggregato molte persone negli anni sessanta: sembra quasi che sia accaduto perché era una fase storica in cui era facile aderire a movimenti, ma prevalentemente sull’onda delle emozioni. Col tempo poi, nella maggior parte delle persone è rimasto solo il ricordo di una lettura superficiale della “Rivoluzione sessuale” e l’idea che in qualche modo si parlasse di orgasmo. Proprio da queste persone, quando si parla di analisi reichiana ci viene rivolta spesso la domanda, “ma Reich è ancora di moda?”

– E’ vero che per alcuni è stata una moda. Reich tocca temi di profonda libertà vitale e può affascinare provocando risonanze su tematiche individuali e sociali in cui è presente la repressione nelle sue varie espressività. In realtà “la rivoluzione sessuale e l’orgasmo” vanno letti nella loro profondità più ampia: come fenomeni fondanti la vita e la vitalità, permeati di dimensione cosmica. Ogni cosa può essere letta a più livelli ed è così che molti si sono fermati ad un contatto attraverso uno stadio poco evoluto, quello della rabbia, mentre Reich lo possiamo conoscere a fondo se implichiamo nel contatto stadi più evoluti, quelli che sono fuori dalle dimensioni della colpa e dell’essere “contro”.

E in questo senso la ricerca è andata avanti.

– Diciamo che sia la rivoluzione sessuale che l’orgasmo, come li intende Reich sono semplicemente due tasselli di tutto il suo pensiero, quali ritieni siano gli altri contributi che lui ha dato allo studio dell’uomo?

  • Ce ne sono molti, per me innanzi tutto l’individuazione dell’analisi del carattere, e quelli legati alla dimensione clinica e alla psicopatologia. Reich ha avuto, per il suo tempo, delle intuizioni geniali. Per esempio, trattando il caso clinico di una schizofrenica, già lui individua l’origine della psicosi in un blocco alla base del cervello. Nella lettura attuale ritroviamo questa origine parlando dei nuclei della base e secondo il modello dei tre cervelli di Mac Lean, nella dimensione rettiliana, la dimensione che nell’uomo regola gli automatismi e le funzioni più ancestrali.

– Soffermandoci sull’analisi, Reich individua l’identità della persona nel carattere. Puoi specificare meglio?

– Il carattere è il modo di essere di una persona, che non è solo modo psicologico, ma un modo che investe tutti gli aspetti e le forme espressive, quindi anche il linguaggio del corpo. E questo specifico linguaggio ci fornisce un altro codice di lettura per poter accedere al profondo di una persona: un linguaggio analogico ed estremamente esatto.

– L’analisi di Reich si differenzia da altre del suo tempo, proprio perché comporta la straordinaria intuizione dell’identità funzionale della persona e l’introduzione di una metodologia che permette un approccio globale corporeo, emozionale ed intellettivo e non più soltanto psicologico. Potremmo dire che Reich è arrivato, per una via occidentale ad una posizione dove da sempre sono le culture orientali: l’unità psiche-soma, materia-spirito.

– Ci è arrivato da una posizione più complessa e consapevole, il suo è stato il superamento del dualismo del modello meccanicistico cartesiano attraverso il concetto di energia o meglio di bioenergia.

Ma nella posizione culturale orientale c’è una posizione “oro-solare” tendente al misticismo, che nella posizione reichiana e post-reichiana non ritroviamo; qui c’è un approdo alla globalità diverso, che implica anche una grande presenza di campo di coscienza individuale e “oculare”: è l’approdo al funzionalismo.

Attraverso l’introduzione di indagini di ricerca corporee e psicologiche Reich costruisce il passaggio che fa del concetto di bioenergia il principio unificatore della psiche e del soma, dello spirito e della materia. Un gran tentativo, molto serio, di uscire dalla contrapposizione psiche-soma, attraverso il concetto del Sé come nucleo di energia vivente a varie forme espressive, dal sistema neurovegetativo al sistema neuroendocrino, dal sistema muscolare allo psichismo.

Reich ha applicato il codice di lettura della bioenergia anche alle cose del mondo, dai movimenti sociali ai grandi fenomeni naturali, e ha colto le grandi leggi di economia che reggono “ogni” sistema.

A lui va dato il merito di aver centrato questi engrammi basici nel micro e nel macrocosmo.

– Quali sono, invece per te i punti deboli di Reich?

  • Uno è stato quello di andare a cercare l’energia in laboratorio, che se comprensibilissimo da un lato, dall’altro lo ha portato nel suo tentativo di quantificare, misurare e definire, nelle ossessività dimostrative; un avvitamento da sistemi chiusi, per certi versi assoluti e un po’ “psicoteologici”.

– Soffermiamoci sull’analisi del carattere che condividiamo con Reich in gran parte. Con l’individuazione del carattere della persona, lui si differenzia dalle posizioni analitiche del suo tempo.

– Sì, e secondo me è un grande salto evolutivo, in fondo si pone su una posizione estremamente attuale quando sposta l’attenzione sul carattere individuandolo, di fatto, come “sistema”. Oggi noi, come SIAR, andiamo oltre analizzando anche il carattere della relazione analitica, calibrando un controtransfert funzionale ai tratti caratteriali del paziente.

  • Anche rispetto ai tratti caratteriali c’è stato un cammino, e il tuo libro lo descrive. Facciamo un solo esempio: abbiamo introdotto il tratto intrauterino.

– Proprio prendendo le mosse da Reich, in una logica sistemica, abbiamo considerato il Sé un sistema dinamico: come ogni sistema dinamico non può essere isolato e comunica sempre con un Altro da Sé che è intorno. Il Sé noi lo definiamo in modo molto semplice: un organismo vivente, un nucleo biologico di energia.

La nascita del Sé coincide con il concepimento, e da quel momento inizia il suo rapporto con il primo Altro da Sé: la madre-utero. L’Altro da Sé è una variabile che incide, in maniera determinante sul Sé, attraverso le fasi evolutive in cui si forma il carattere e ovviamente anche nei primi nove mesi.

– Stiamo parlando di una correlazione fra i tratti caratteriali e le fasi evolutive .

– Sì, noi abbiamo individuato sei fasi evolutive sulla base di eventi biologici determinanti, che arbitrariamente abbiamo stabilito essere i confini di queste fasi, ma che indubbiamente sono dei grandi momenti di passaggio nell’evoluzione, perché inducono un vero e proprio cambiamento nella forma di funzionamento della persona.

– Forse è utile specificare quali siano questi punti di passaggio che ci fanno scandire le sei fasi evolutive.

– Sono quelli che io chiamo punti di separazione-approdo, perché sono i momenti in cui ci separiamo da una modalità di vita per approdare ad un altra: il concepimento, l’annidamento, il parto, la dentizione, l’erotizzazione genitale, la pubertà e la genitalità.

Questi momenti scandiscono l’entrata e l’uscita da una fase alla successiva.

– Quali sono i tratti caratterologici corrispondenti?

– Devo prima dire che nelle fasi evolutive abbiamo introdotto il concetto di fissazione prevalente e non, ossia il restare in una fase evolutiva più che in un’altra e per più tempo rispetto al necessario; ciò può avvenire per circostanze negative, ma anche positive.

Le fissazioni prevalenti e non e la relazione con l’altro da noi hanno tolto il carattere di staticità che aleggiava nel modello di Reich, e l’hanno reso più dinamico. Troviamo quindi tratti prevalenti, ma anche la coesistenza di più tratti.

Noi consideriamo quindi degli assi caratterologici: l’intrauterino con fissazione prevalente nelle fasi intrauterine, l’orale in fase oro-labiale, il coatto in fase muscolare, l’isterico e il fallico in I° fase genito-oculare e infine, come carattere di riferimento, il genitale, con fissazione prevalente in II° fase genito-oculare.

– Il genitale può essere solo un carattere di riferimento?

– Penso di sì, perché implica che tutte le fasi siano state sane e con un rapporto Sé-Altro da Sé di grande armonia ed equilibrio. Mi sembra quindi un ottimo modello, ma che nella realtà personalmente non ho mai incontrato; dei momenti e degli stati genitali, sì!

– Dicevamo prima che il Sé scambia continuamente con ciò che lo circonda, è permeabile all’Altro da Sé. Che funzione ha quindi la corazza caratteriale di cui parlava Reich?

– La corazza è un meccanismo di difesa. Reich scopre che sotto la corazza c’è energia vitale e questo ha indotto molti a pensare erroneamente, che tutti dovrebbero eliminarla. In realtà, essendo un meccanismo di difesa ha funzione protettiva. Il confine fra Sé e Altro da Sé diventa corazza quando c’è il rischio che il contatto rappresenti una minaccia. Noi possiamo aiutare ad alleggerirla se è eccessivamente rigida e far emergere una vitalità migliore, ma voglio aggiungere un chiarimento, una corazza è espressione già di forti quantità di energia e non è di tutti: per una persona psicotica, persona a bassa densità di energia, che non ha potuto strutturarsene una allora il nostro intervento terapeutico sarà quello di aiutarla a corazzarsi.

– Noi utilizziamo quella sistematizzata da Raknes-Navarro e altri collaboratori. La scoperta dell’identità funzionale, il passaggio al carattere corporeo di Reich, avevano permesso l’individuazione dei punti che frenavano il movimento vitale. La ricerca è andata avanti, in particolare, Federico Navarro ha sistematizzato in maniera eccellente la VCA, ha portato il rigore scientifico e metodologico nell’approccio clinico ai livelli. Ha fatto un ulteriore passo sicuramente, più sistematizzato e ordinato anche rispetto ad altre linee di ricerca ugualmente derivate da Reich.

Noi la utilizziamo perché la riteniamo strumento-guida molto valido, di approccio energetico e terapeutico ai livelli, ma la posizioniamo nell’alveo analitico, perché non la correliamo solo all’energia e ai livelli, col rischio di essere solo terapia; l’ arricchiamo e la rendiamo più dinamica concertandola anche con le fasi evolutive, con il modello dei tre cervelli di Mac Lean, e soprattutto con l’analisi del carattere della relazione, cioè l’analisi della “posizione” e il “come” dell’analista.

  • Stai parlando del contenente relazionale.

– Sì, il contenente relazionale è l’analisi del carattere della relazione. L’analista deve porsi con il corretto “come” e la corretta “posizione”, che sono gli elementi fondanti del controtransfert di tratto, strumento analitico-terapeutico validissimo, forse il più importante per agire sull’evoluzione dell’analizzato.

La corretta “posizione” è la collocazione empatica, dinamica e funzionale, da parte dell’analista, su quel tratto della propria personalità su cui può incontrare e contattare l’analizzato e muoverlo dalla sua fissazione.

Il “come” è l’espressione analogica della posizione analitica, e solo se è sintonico autenticamente ad essa, crea un’atmosfera per “insights” evolutivi o catartici dell’altro.

La coscienza della “posizione” e del “come” da parte dell’analista è la coscienza dell’agire del proprio controtransfert di tratto. Agire che può portare al benessere l’altro.

– Che cosa intendi quando parli di benessere?

– Benessere: stato di sensazioni piacevoli con presenza dell’Io su buona parte del Sé. Non quindi un delirio espansivo, ma uno stato di armonia ed equilibrio fra il qui ed ora ed il lì e allora, fra il Sé e l’Altro da Sé. La condizione di benessere è la condizione di una grande presenza piacevole.

Le condizioni predisponenti sono una buona vita intrauterina, ma anche buone condizioni del parto, un buon allattamento, un nucleo familiare in cui aleggia una buona atmosfera, oltre ad un qui ed ora gratificante.

E’ per questo che noi parliamo anche di prevenzione. Sappiamo bene che le esperienze della primissima infanzia e della vita intrauterina si radicano e lasciano segni incisi (caratteri).

– Sappiamo però che un’analisi delle prime fasi è cosa davvero ardua.

– Ma è possibile, soprattutto con la controtransferalità dell’analista. Ci sono dei segni assolutamente obiettivi e riconoscibili come appartenenti a degli stadi ancestrali: quindi possiamo intuire e dedurre, oltre che fondare, su propri parametri soggettivi, una diagnosi clinica-analitica-empatica per attuare un progetto analitico-terapeutico fatto di imprintings capaci di arricchire le difettualità e sciogliere le disarmonie in maniera mirata e funzionale.

– Questo distingue l’Analisi Reichiana da altri tipi di analisi.

– Sì, noi ci differenziamo da altri indirizzi per il nostro approccio energetico-sistemico al Sé.

E’ sentire ed osservare come funziona la persona che ci è davanti, tenendo ben presente la nostra posizione e il nostro come di analista.

E’ analisi e non solo terapia. Un’analisi è un rapporto diadico persona-persona, una terapia è un rapporto persona-oggetto di cura e quindi un rapporto monadico.

Noi proponiamo di “pattinare” continuamente fra queste due posizioni, di coniugare la dimensione di stato, orizzontale con la profondità verticale.

L’analisi reichiana è un tentativo serio di radicare su un piano di coscienza la storia biologica e biografica di una persona con il suo qui ed ora.

L’Analisi Reichiana è comprensiva anche della terapia. Sono d’accordo con Fornari quando diceva: l’analisi non cura, si prende cura.

– I modelli analitici si dividono fondamentalmente in due filoni: le psicoterapie verbali e le psicoterapie corporee. I reichiani sono sempre stati collocati fra le psicoterapie corporee.

– L’analisi reichiana ha una grande ambizione. Come Reich trovò la strada attraverso il concetto di energia per superare il dualismo psiche-soma, noi attraverso la definizione “analisi”, proponiamo di superare il dualismo fra psico-analisi e somato-analisi: il doppio filone in cui si ricade per motivi culturali.

Proponiamo un’analisi, perché una psicanalisi da sola è parziale e una terapia corporea, da sola rischia, oltre che parziale e semplicistica, di essere solo una relazione monadica, come dicevo prima. Vogliamo proporre un salto di qualità.

– In definitiva qual è la posizione post-reichiana SIAR, nel mondo della scienza?

– I fenomeni bioenergetici in generale ed umani in particolare, sono molto complessi e necessitano di un approccio a confini possibili.

E’ molto interessante ciò che afferma H. Laudan: il fine più generale ed ultimo della scienza è quello di risolvere problemi.

La misura di valutazione di un modello non è dato dal grado di maggiore o minore approssimazione alla verità, ma piuttosto dalla sua efficacia globale nel risolvere numerosi ed importanti problemi empirici sollevando contemporaneamente il minor numero di anomalie e problemi concettuali.

Ciò premesso dico che, la ricerca e l’analisi reichiana non prescindono dai principi metodologici posti a fondamento delle scienze della natura; questi inquadrano e ordinano fenomeni secondo criteri di verificabilità e previsione in una ricerca di conoscenza come un’acquisizione sempre dubbia, possibilmente non falsificabile, e comunque sempre relativa al momento storico e culturale.

– Se tu dovessi scegliere una sola frase, come definiresti un Analista Reichiano?

– Un analista che si allea con la posizione vitale della persona che ha di fronte.

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