Commento all'articolo di M. Mannella "Il Disconoscimento dell'Esperienza Corporea"

 

Giulio de Felice* 

In principio ci si deve necessariamente complimentare per la splendida novità rappresentata da questa Rivista di Analisi Reichiana. Personalmente la trovo molto stimolante, in quanto riesce a connettere importanti riflessioni sul piano più strettamente psicoterapeutico a quelle di più ampio respiro costituite dall’analisi del sociale. Il metodo psicoanalitico, d'altronde, si è spesse volte, storicamente parlando, prestato a questo duplice uso. Se poi si adotta, come qui ci si propone di fare, una prospettiva radicalmente costruttivista,[1] si potrebbe iniziare a riflettere sulla connessione tra quei due ambiti d’applicazione: le relazioni tra persone. Ogni relazione, compresa quella con un estraneo (Carli, Paniccia, 2003; Neri, 2004), si sub-stantia su simbolizzazioni affettive che le forniscono un particolare significato emozionale. E sono proprio queste simbolizzazioni a comunicarci come quella specifica persona sta costruendo il suo mondo ed il suo Sé; in altre parole con quali occhiali lo sta guardando e si sta guardando. A questo punto credo non si faccia troppo sforzo nel ritenere pensabile[2] che la persona singola (ricordando che non esiste persona che non viva relazioni con l’altro da Sé) costruisca le sue simbolizzazioni così come un gruppo, così come una comunità: è pensarle[3], rendendole utili ai fini di un obiettivo, che rende degno di interesse l’impegno psicologico in questi diversi campi d’applicazione. Pensare, a detta di altfoto di Patrizia Masciafoto di Patrizia MasciaBion, è sempre un atto emozionale. La nozione di pensiero bioniana è sempre di pensiero emozionato. E’ l’assenza del seno che generando frustrazione nel bambino, si trasforma in presenza persecutoria permettendo a quest’ultimo, oltre che l’allontanamento dell’emozione frustrante, la prima grande categorizzazione del reale e, con esso, del Sé: buono o cattivo (Carli, Giovagnoli, 2010). Il sentire sostanzia sempre il pensare. Qualche tipo di sentire, d’altra parte, potrebbe essere assolutamente insopportabile e risolto, o meglio evacuato, attraverso particolari movimenti d’affetto: spostamento, condensazione o come nell’esempio precedente, proiezione[4]. Attraverso questi movimenti affettivi si ha il grande privilegio di riuscire a rendere qualcosa di sconosciuto, familiare; riducendo al minimo l’originaria estraneità dell’oggetto. Estraneità che può essere vissuta come molto pericolosa in quanto sconosciuta: come se ci confrontassimo con un pacco, di provenienza ignota, con su scritto maneggiare con cura al cui interno potrebbero esserci cristalli in vetro o forse un cuscino di piume. Questa sospensione decisionale, in cui è impossibile prendere una posizione definitiva, è il momento con il più alto grado di libertà del soggetto, molta libertà e molta paura dominano la sua mente[5]. C’è qualcosa di simile, molto simile, nel relazionarsi al manichino di De Chirico del quale qui ripropongo le parole: “Il manichino è un oggetto che possiede a un dipresso l’aspetto dell’uomo, ma senza averne il movimento e la vita; il manichino è profondamente non vivo..” (De Chirico, 2004). Fin qui l’artista si esime dall’aprire il pacco dell’esempio più sopra, al di fuori di metafora si sottrae dal simbolizzare in modo più definito l’oggetto, rimanendo in quello stato di sospensione totipotente, tra familiare e sconosciuto che Freud chiamava perturbante, in cui egli è tanto libero quanto teso; ma continuiamo con il testo originale. “..e questa sua mancanza di vita ci respinge, ce lo rende odioso... Il suo aspetto ci fa paura e ci irrita. Il manichino non è una finzione, è una realtà, anzi una realtà triste e mostruosa. Noi spariremo ma il manichino resta. Il manichino non è un giocattolo, fragile ed effimero, che una mano di bambino può spezzare, non è destinato a diventare gli uomini..”. (ibidem, 2004). Anche il bambino-De Chirico ha trasformato l’assenza del seno in presenza persecutoria: il manichino da non vivo diviene odioso, una realtà mostruosa. De Chirico diviene perseguitato da questa realtà-aspetto del Sé onnipotente che non sarà mai fragile come i comuni mortali. Il grande pittore tuttavia è riuscito a dipingere, e scrivere, tale processo di simbolizzazione emozionale. Riuscirà l’artista[6] di ognuno di noi a divertirsi[7] davanti al proprio manichino rendendo utile in ogni occasione la sua più completa confusione emozionale?



[1] Per la quale è l’essere umano a costruire il proprio Sé attraverso il dare senso al mondo. Parlare di realtà esterna costituisce una grossa contraddizione sul piano logico: la realtà esterna e quella interna sono inestricabilmente connesse. (Watzlawick 1981).

[2] L’inconscio qui inteso in senso matteblanchiano si oppone al concetto di pensabilità e non di coscienza (Carli, Giovagnoli, 2010).

[3] Anche qui il concetto di pensiero è ripreso da Bion; mai scisso dal sentire (Bion, 1971 e 1962).

[4] Proiezione («sostituzione della realtà esterna con la realtà interna» secondo le parole di Freud in Metapsicologia del 1915), spostamento, condensazione, assenza di tempo e spazio, assenza di negazione. Queste le cinque caratteristiche del funzionamento inconscio indicate da Freud e poi riprese da Matté Blanco.

[5] La sospensione anche in ambito psicofisiologico è tensione muscolare. La fluidità del camminare, ad esempio, è data dall’alternarsi di stati di contrazione e detensione. (V.Ruggieri, 2004). Si accostino questi due concetti all’oscillazione Bioniana, nella quale il processo di risignificazione implica doverosamente un ritorno alla Ps: destrutturare per ristrutturare. (Bion, 1973). La tensione frutto della destrutturazione deriva dalla paura dell’ignoto, dall’essere in un territorio, quello inconscio, totipotente.

[6] Forse si può qui dire che con la nascita della Rivista sia nato o stia per emergere un importante pensiero dal gruppo-S.I.A.R.?

[7] Divertire viene dal latino divergere cioè unire, connettere, contaminare due parti prima indiscutibilmente distaccate. Per divertirsi, etimologicamente parlando, bisogna perciò conoscere la diversità, creare nuovi nessi tra ciò che prima si pensava solo scisso. Divertirsi, in questo senso, è quell'atto creativo che genera da una parte maggiore conoscenza del mondo e del Sé, ma dall'altra insaturazione del campo psichico: è un atto che mette in scacco le categorie della mente creando spazio per nuove risignificazioni.

 

Bibliografia
  • Bion, W.R., (1971),"Esperienze nei gruppi", trad. it Armando, Roma, 2009.
  • Bion, W. R., (1962), "Apprendere dall'esperienza", trad.it. Armando, Roma, 1996.
  • Carli, R., Paniccia, R.,M (2003), "Analisi della domanda", Bologna, Il Mulino.
  • Carli, R., Giovagnoli, F. (2010), "L'inconscio nel pensiero di Matte Blanco", in Rivista di Psicologia, 1.
  • Neri, C. (2004), "Gruppo", Roma, Borla.
  • Ruggieri, V. (2004), "Psicoanalisi e modello psicofisiologico integrato", in Practica psicofisiologica, 1.
  • Watzlawick P. (a cura di) (1981),"La realtà inventata",  trad. it. Milano, Feltrinelli, 2010.
* Laureando al quarto anno della Facoltà di Medicina e Psicologia-Università La Sapienza di Roma
 
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