Numero 1/2019

 psicoterapia e speleologia

Patrizia Mascia*

 

Per fare speleologia ci si deve avvicinare alla grotta, quindi c’è un percorso da fare all’aperto prima di accedervi. Questo percorso si trova immerso nella natura e quindi già da qui si inizia ad avere un rapporto con se stessi particolare; si prende un maggiore contatto con il proprio corpo e con la propria anima, più di quanto accada stando in città per esempio. Si è lontani da rumori, si è lontani dalla gente, etc…

Quando si entra in grotta l’ambiente è molto diverso rispetto al posto in cui siamo abituati a vivere: è vasto e ci si trova circondati da rocce, quindi si rimane al chiuso, immersi nel buio e, di conseguenza, lo scenario rispetto a quello appena lasciato, cambia completamente (nonostante la grotta si trovi in mezzo al verde e lontana dai centri abitati) e lo si fa con un gruppo di persone.

La terapia si svolge all’interno di una stanza, di solito abbastanza piccola e illuminata, dove si possono vedere in maniera chiara tutti i confini di questa e con sole due persone all’interno: il terapeuta e il paziente, in questo caso Io.

All’interno della grotta il tempo è dilatato e tutto ciò che ci circonda manca di confini cambiando completamente la nostra percezione; anche la percezione del tempo esterno alla grotta cambia, sembra quasi non esistere, quando si è in grotta non ci si pensa proprio, sembra di entrare in un altro tempo e in un altro spazio. È come se il buio ingoiasse noi, non lasciando spazio, né tempo, né ricordi del mondo. Esistiamo solo noi e quello che si sta facendo. Si crea un rapporto di comunione totale con la grotta e con il gruppo. Ci si abbandona totalmente a quell’esperienza. Almeno per qualche ora. Dopo un po’ di tempo invece si inizia a desiderare di uscire dalla grotta e di vedere la luce del sole e di respirare l’aria che siamo abituati a respirare e di vedere la luce che siamo abituati a vedere.

masciaFoto di P. Mascia - Particolare dell'ingresso della grotta "Sa Oche" (la voce), SardegnaIn grotta poi si sa a che ora si entra ma non si sa a che ora si esce. Durante le uscite, infatti, si comunica l’ora di ingresso a chi aspetta a casa, ma è impossibile darne l’ora di uscita. È molto particolare il fatto che quando entriamo in grotta di solito è mattina presto e quando usciamo invece è buio. È come se si saltassero dei passaggi. La sensazione è quella di incredulità, perché quando si sta all’interno di essa sembra esserci restati per poco tempo e invece ci si rende conto solo quando si esce di quanto tempo è passato. In terapia il tempo è standard, ha un inizio e una fine ben precisi. Lo spazio è ben preciso e sempre quello, i confini sono delineati e da rispettare.

Non esiste una grotta uguale all’altra, quindi ogni volta non so quello che troverò e cosa mi aspetterà; in terapia il luogo non cambia.

In grotta bisogna necessariamente agire sul momento per andare avanti nella progressione e quindi si deve in quel preciso momento superare i limiti e le paure, altrimenti non si va avanti o peggio, potrei mettere in serio pericolo la mia vita o quella di qualcun altro.

In terapia nella maggior parte dei casi si parla dei propri limiti e dei propri problemi, ma se rivivo per esempio una paura molto forte, anche se non mi muovo, non succede nulla e/o non muoio.

In grotta si va con un gruppo di persone di cui ci si fida, il gruppo deve restare unito e ci si deve aiutare a vicenda, ma fondamentalmente me la devo cavare da sola, perché i passaggi con le corde li posso fare io e io soltanto, il rapporto è tra me e la corda e tra la grotta e me; la grotta fa da contenitore.

In terapia il rapporto è duale (anche se poi si lotta con i propri fantasmi e quindi secondo me si è più di due, almeno per un po’. Azzardo nel dire che secondo me la terapia finisce quando effettivamente nella seduta si rimane finalmente in due e non più di due); comunque, ci sono io e il terapeuta che ascolta e che mi aiuta a capire, ma anche qui i passaggi li devo fare da sola. Ciò che ho capito e imparato di me poi lo porto al di fuori della terapia.

Per quello che ho imparato in grotta e che ho vissuto, penso che lei assolva in qualche modo il compito del terapeuta senza chiaramente poter verbalizzare; se la si sa ascoltare la grotta parla, parla di sé ma parla fondamentalmente di me: in grotta mi sento accompagnata da una forza e potenza che è appunto la roccia (la grotta ha un’anima) e contemporaneamente sono sola; sola e in contatto con tutte le parti del mio corpo e con la mia essenza più profonda, l’anima e le mie emozioni.

La roccia ha uno spirito vivo e respira! Intrinsecamente ha l’esperienza del tempo; per arrivare dove si trova adesso si è lasciata trasformare dal tempo senza fretta e senza fretta bisogna agire all’interno di essa.

 In grotta accade che cambi la percezione. Un fenomeno molto importante su cui vorrei soffermarmi. Di solito i canali attraverso cui riceviamo le informazioni sul mondo sono: vista, udito, olfatto, gusto e le sensazioni corporee. La percezione è il processo che trasforma una stimolazione fisica in un’informazione psicologica. Nel processo percettivo c’è la Ricezione, immediata ricezione dell’informazione degli stimoli attraverso i sensi; c’è la Discriminazione, che identifica e isola l’informazione da tutti gli altri stimoli che formano il campo costante di ricezione dei nostri organi di senso; c’è l’Interpretazione, che consente la rappresentazione mentale della situazione e che costituisce il risultato finale dell’intero processo percettivo. Ognuno di questi canali ci dà informazioni continue che usiamo per organizzare la nostra esperienza.

Attraverso il modo di percepire noi costruiamo una sorta di mappa, di rappresentazione della realtà. Ma la mappa non è la realtà, quindi tra la realtà e la nostra rappresentazione di essa vi sono differenze. Queste differenze sono dovute a diversi motivi come quelli fisiologici, culturali, sociali e personali che agiscono come filtri e ci consentono di avere solo un'esperienza parziale del mondo. Ogni individuo ha un suo modello di realtà.

La grotta si sottrae all’alternanza del giorno e della notte. E cosa molto importante: in grotta è impossibile l’orientamento in termini di spazio e di tempo! Quindi in grotta diventa rilevante il nostro tempo interno.

Sicuramente la mancanza della possibilità di orientamento di spazio e tempo è uno degli elementi più importanti con cui ci si deve misurare in grotta.

Lo stravolgimento delle coordinate spazio-tempo, la fatica, il freddo, l’attenuazione degli stimoli sensoriali esterni e la tensione psicofisica per il rischio e le difficoltà che l’andare in grotta comporta, creano inizialmente disorientamento! Succede una cosa però: in questa situazione la psiche, anziché subire passivamente, reagisce costruendosi un tempo e uno spazio tutto suo.

Tra la speleologia e la psicoterapia c’è la stessa affinità che c’è tra lo studio dell’interno del mondo e quello del mondo interno. Sembra quasi un gioco di parole, ma nella realtà dei fatti non lo è per niente e cercherò di spiegarlo secondo la mia esperienza.

Lo speleologo nella maggior parte dei casi non è un professionista e quindi al di là della poca teoria che si studia prima del corso, la base fondamentale di tale disciplina è FARE, soprattutto fare e muoversi con il corpo.

Anche il paziente non è un professionista della psiche (nella maggior parte dei casi è così e anche quando lo è, per esperienza personale la teoria va lasciata da parte) il che significa che il paziente deve imparare a conoscere ciò che sta andando ad esplorare dentro di sé e troverà ostacoli, paure, angoscia.

Significa in entrambi i casi immergersi veramente come protagonista in un posto dove nessuno ti insegna come si fa e cosa ci sarà e anche come sarà!

Nell’esperienza della speleologia c’è la grotta che ti accompagna e fa da contenitore; nella psicoterapia c’è il terapeuta che ti guida e ti fa da contenitore; ma comunque nell’esperienza in grotta ti devi creare da solo la tua strada e il tuo viaggio con tutto ciò che si è e si ha a disposizione. Non si esclude niente; non si escludono le paure, le forti sensazioni, il freddo, la bellezza di quello che si incontra, né la solitudine.

La grotta ha sempre fatto parte dell’ambiente del genere umano e fin dalla nascita dell’uomo la grotta ha assolto diverse funzioni, molto importanti. È stata utilizzata per viverci, per svolgere riti di ogni genere (la caverna è considerata il luogo dove è custodita tutta l’energia e ha la funzione di catalizzatore e condensatore) e, nelle fantasie, la grotta assume anche un potere magico.

È stata descritta anche come luogo di transito. Nelle credenze popolari la grotta è un luogo d’accesso per l’inferno. Se una grotta conduce agli inferi, in essa vi si sotterrano i morti. La discesa agli inferi è un momento preliminare alla nuova rinascita. Insomma, ci portiamo dietro un bagaglio notevole legato alle caverne e questo secondo me oltre ad attribuirgli la connotazione di buco nero, di regione sotterranea dai limiti invisibili, una cavità spaventosa con molte insidie, ed essere considerata il simbolo dell’inconscio e dei suoi pericoli, dove la grotta rappresenta l’esplorazione del sé interiore collocato nelle profondità dell’inconscio, essa è intrisa di un’energia vitale che è sua, ma, in parallelo, ha anche un’energia vitale legata alla filogenesi umana e alle attribuzioni che le sono state date nel corso della storia e quindi continua ad avere questo potere così grande.

Nella psicoanalisi c’è una correlazione simbolica tra la madre, le immagini di interno, come la dimora, il rifugio, la grotta, il ventre. E’ associata quindi all’utero materno. La caverna è il luogo della nascita, della rigenerazione e dell’iniziazione. Iniziazione intesa come una sorta di nuova nascita che si realizza attraverso prove da superare.

La grotta è un luogo di passaggio, dal cielo alla terra e dalla terra al cielo; un percorso che permette di accedere ad un sapere superiore e ad una rivelazione (ne è un esempio il mito della caverna di Platone).

Inoltre, con la sua oscurità e il suo silenzio, la grotta evoca sensazioni e immagini legate al riposo, alla solitudine e alla meditazione. (Bachelard, 1994).

Per quello che ho potuto sperimentare in grotta, essa può rappresentare simbolicamente il luogo dell’identificazione, cioè di quel processo d’interiorizzazione psicologica, mediante il quale Io divento me stessa e raggiungo una sorta di maturità e sicuramente di consapevolezza e fiducia in me. Nel percorso terapeutico il risultato è lo stesso: le due esperienze per quanto mi riguarda si intersecano per i vissuti che emergono.

Sono due esperienze che segnano la mia interiorità: non sono più la stessa di prima, inizia dentro di me un processo, non sono più solo una semplice spettatrice che osserva in modo distaccato e passivo, subordinata alle emozioni e ai sentimenti; io divento protagonista, interagisco con le difficoltà di una nuova realtà e questo mi permette di trovare nuove strategie e di tirare fuori qualcosa da me che non pensavo di avere. C’è un salto che si compie, ed è un salto dettato dalla nuova esperienza.

In questo senso sia la speleologia che la terapia sono una rappresentazione di prove nel cammino verso un luogo nascosto: una ricerca!

In entrambe queste due esperienze, ci sono complessi percorsi sotterranei che rivelano una dimensione d’angoscia: l’angoscia di perdersi, di smarrirsi, di non trovare più la via del ritorno, di rimanere intrappolati o anche di impazzire. Si va a toccare in entrambi i casi una sofferenza legata a qualcosa di antico e legato all’infanzia: la paura.

Una cosa che mi ha colpito molto e a cui inizialmente non avevo badato è che in grotta si scende: la discesa e la risalita sono movimenti specifici della speleologia. Il percorso all’interno della terra ha un andamento verticale. Per noi della S.I.A.R. il movimento verticale (la freccia del tempo) è il cuore pulsante, la chiave neghentropica dell’essere vivente e la spiegazione delle cose che sono accadute e il come e quando e in quale fase della vita sono accadute e dove si sono bloccate. Pertanto per noi la combinazione delle fasi evolutive con i livelli corporei ha introdotto la dimensione verticale del tempo nella stratificazione orizzontale dei segmenti corporei.

Seguendo la relazione tempo/psiche/corpo, un certo tratto caratteriale viene associato alla fase evolutiva della storia individuale. In questo modo, il tempo interagisce nel corpo sul quale incide i segni psico-affettivi. La speleologia e la terapia per quello che ho potuto sperimentare, sono due discipline interiori. I percorsi sono entrambi difficili e faticosi; in alcuni momenti mi è sembrato di sottopormi anche ad una violenza (rischiando di mollare, soprattutto in terapia) ma, con l’andare avanti nel tempo si è innescato un processo di ordine e di equilibrio interiore e di riflesso, anche esteriore.

Quest’armonia ed equilibrio mi hanno dato e continuano a darmi l’opportunità di scoprire e sentire aspetti di me che fino a poco tempo fa non mi era facile raggiungere. Sia in grotta che in terapia, l'interruzione dell’ordinario rapporto con il mondo mi dà la possibilità di entrare più facilmente in contatto me stessa; mi permette di accedere alle parti più profonde del mio essere, aumentando di gran lunga l’attenzione per ciò che avviene nel corpo.

I pensieri si quietano, si placano e si calmano; sono particolarmente attenta a quello che faccio e sento che la mia presenza è totale.

La solitudine è uno degli aspetti che caratterizzano la speleologia; anche se si è in gruppo. In terapia si è insieme al terapeuta ma in alcuni momenti mi sono sentita molto sola. Quando non mi sono più spaventata della solitudine e ho imparato a restare con lei, ho capito che ha una particolarità molto importante: è un’intimità con se stessi e ci si deve fare i conti. Diventa armonia!

 

Bibliografia

Bachelard, G. (1994), La terra e il riposo. Como: edizioni red.



* Psicoterapeuta di formazione S.I.A.R. e speleologa

Share