Numero 1/2019

 

EMANUELE E LA SUA MEMORIA IMPLICITA

Marina Pompei[*]

      Emanuele arriva nel mio studio accompagnato dai genitori. Ha 12 anni, longilineo, lo sguardo si muove velocemente in tutte le direzioni e quando si ferma è rivolto verso il basso.
      Entrambi i genitori appaiono colti, gentili, ansiosi, delusi. Sono preoccupati per i mediocri risultati scolastici del ragazzo, inadeguati rispetto alla sua intelligenza, all'ambiente culturale della famiglia e alla loro attenzione verso quest'unico figlio desiderato e accolto amorevolmente.
 
     Lui, invece, centra subito un altro tema: la sua insicurezza, che vuole superare; l'insicurezza che gli rende difficilissimo parlare a voce alta durante le interrogazioni a scuola, che lo fa balbettare e sudare col cuore che batte velocissimo davanti alle ragazze.
 
     Nel percorso psicoterapeutico che intraprendiamo cerco le cause di questo disagio. I genitori denunciavano un problema di mancanza di voglia di vincere, di pigrizia e di scarso impegno, ma il sudore e la balbuzie mi parlavano di altro. Quanto vedevano i genitori era reale, ma conseguenza di qualcosa ancora da individuare.
     Emerge presto il peso delle aspettative genitoriali: unico figlio maschio di una famiglia benestante, con genitori professionisti, deve essere in grado di affermarsi nella società, e le premesse non sono considerate rassicuranti.
 
     L'ambiente e la cultura dominante spingono verso la competizione: non bisogna accontentarsi della mediocrità, bisogna emergere, lottare per superare gli altri, vincere le sfide che la nostra società ci presenta senza sosta. Bisogna essere belli, vestiti alla moda, atletici, sportivi, svegli, intelligenti, brillanti, astuti, come si dice oggi: smart.
 
     Viviamo in una società che ha scambiato la sana affermatività di sé con l'annientamento dell'altro, ma per riuscire vincitori ci vuole molta energia e soprattutto energia espressa. Quella di Emanuele è un'energia trattenuta.
     Balbettare vuol dire iniziare un movimento espressivo e poi fermarlo, ricominciare, fermare di nuovo e così via. Il sudore e il cuore che batte velocissimo dicono della sua ansia. Emanuele si sente pressato dalle richieste e ha paura di non farcela? Questa è una possibile chiave di lettura, ragionevole e probabilmente esatta, suggerisce di lavorare anche con i genitori per renderli consapevoli degli effetti non voluti del loro atteggiamento apprensivo, che diventa per il ragazzo oppressivo e compressivo della sua energia che così non può esprimersi, a dispetto delle intenzioni.
 
     Questa è una prima lettura dello stato attuale che Emanuele sta vivendo. Contribuisce anche la scuola a questo? Quale sarà l'atteggiamento degli insegnanti? Avranno saputo costruire una piccola comunità di relazioni e di ricerca della conoscenza o saranno attenti solo a tener conto dei parametri richiesti? Avranno saputo conciliare il raggiungimento dei risultati con la costruzione di relazioni vitali tra loro e i ragazzi e tra i ragazzi stessi?
     
Probabilmente bisognerà guardarlo di più Emanuele, a casa e a scuola, fuori da obiettivi standardizzati. Come mai sente di non poter parlare a voce alta davanti ai professori? Perché non può dire la parola tutta intera e la ricomincia sempre? Perché trattiene la sua energia?
 
     Per cercare una lettura più articolata e complessa, oltre quella in ottica relazionale e socio-culturale, dobbiamo cercare nella profondità del tempo della sua storia, a cominciare dal concepimento. L'inizio della sua vita intrauterina è stato carico di belle promesse. Primo figlio desiderato, genitori che si vogliono bene, giovani e entusiasti: una bella carica di energia per il piccolo embrione che si sta formando.
 
     La modalità dell'incontro tra i gameti maschile e femminile durante il concepimento, non trasmette solo informazioni e organizzazioni genetiche al nuovo nucleo di energia, ma anche un'impronta energetico-relazionale ed emotivo-affettiva: ogni nucleo primordiale dell'essere umano porta nel Sé questa impronta, la quale con i suoi contenuti può svolgere un importante ruolo di orientamento nella formazione del carattere della persona (Soldera, 2000-2018); possiamo parlare di densità energetica dell'embrione (Ferri e Cimini, 2014) , di carica vitale propulsiva del Sé che dura per tutta l'esistenza.
 
     Ma i mesi successivi al concepimento hanno portato problemi al futuro Emanuele: a cinque mesi una perdita di liquido amniotico, con la necessità di ridurre al minimo i movimenti della madre per il rischio di un parto prematuro. L'ansia è grande. A sette mesi uno stato di sofferenza fetale ha reso necessario un parto cesareo. Il bambino dovrà poi restare dieci giorni in incubatrice, e poi finalmente potrà cominciare a conoscere le braccia della madre e del padre, l'atmosfera della sua casa. Pochi giorni dopo, però, il piccolo ha dovuto subire un'ulteriore ospedalizzazione per un intervento chirurgico reso necessario dalla lussazione dell'anca.
 
     Che cosa significano tutte queste vicende per il piccolo esserino in formazione? Siamo in tempi pre-verbali, molto lontani dalla cognitività. Tempi però in cui già si vivono relazioni: con l'utero, con gli ormoni, con i suoni, con le atmosfere, con le presenze e con le assenze.
pompeiFoto di Tawny van Breda
 
       La breve storia dei mesi della gestazione e dei primi dopo la nascita è di enorme importanza perché determina la memoria implicita, la memoria non consapevole, quella che si è formata prima della possibilità del pieno funzionamento della neocortex e che quindi si attiverà nella vita dopo la nascita indipendentemente dalla neocortex e faticherà a coordinarsi con quella.
 
     Non sto parlando dell'inconscio freudiano, che possiamo intendere come un processo di rimozione della memoria esplicita della persona, la memoria legata all'elaborazione del linguaggio. Mi riferisco alla memoria inconsapevole implicita, che rappresenta il contenitore delle rappresentazioni pre-verbali che non hanno raggiunto la coscienza. (Mancia 2004, 2007).
 
     Oggi, con le straordinarie acquisizioni documentate delle neuroscienze, possiamo affermare che il modo di essere della futura persona ha le radici nel tempo intrauterino e nei primi mesi dopo la nascita.
     Già Wilhelm Reich nella prima metà del 1900 affermava che “L'organismo della madre è il primo fattore sociale dell'embrione non ancora nato". (Reich 1976, pp.311-314).
     Oggi sappiamo che quel tempo iniziale di vita è un tempo di grande dialogo intercorporeo mediato dai neurotrasmettitori, dagli ormoni, dalla muscolatura materna.
 
     Per il nostro futuro Emanuele l'ansia della madre e il rischio di aborto si sono tradotti nella produzione di specifici ormoni, che hanno un ruolo fondamentale nel determinare il modo di essere della struttura di personalità del piccolo.
 
     Ci sono molti studi su un particolare ormone che ci interessa in questo caso: il cortisolo in relazione al coping del piccolo (Schmid, 2015), relativo cioè, a come la quantità di cortisolo agisce sulla costruzione della sua capacità di affrontare situazioni difficili e trovare un adattamento funzionale.
     Il cortisolo è considerato, a ragione, l'ormone della sopravvivenza. Un ritmo fisiologico del cortisolo favorisce un coping attivo, che darà la forza di affrontare le situazioni difficili, proteggerà dalle infiammazioni e da aggressori esterni, perché è un regolatore di tutto l'organismo, degli altri cicli ormonali, delle risposte emotive ai fattori stressanti e regola le principali funzioni del sistema immunitario.
     Un ritmo disturbato di questo ormone inibisce gli stimoli vitali e il bambino dopo la nascita, potrà diventare aggressivo o potrà chiudersi in sé.
 
     Il feto, in condizioni fisiologiche, non produce ancora cortisolo. La sua ghiandola surrenale è inattiva fino al VII-VIII mese di gravidanza. Se la mamma subisce degli stress più o meno intensi, ma alternati a fasi di benessere, la placenta è in grado di neutralizzare l'arrivo di cortisolo materno in eccesso e protegge il bambino.
     La placenta[*] ha anche il compito di mantenere un'omeostasi rispetto a tutto il movimento in atto.
     Se la madre dovesse subire uno stress acuto, un trauma, un'estrema fatica duratura, il cortisolo passerà la placenta e raggiungerà il feto, che reagirà con movimenti agitati, spinto dalla carica energetica dell'attacco, poi, scaricata la tensione, tornerà alla calma. Per un giorno o due si muoverà molto poco, poi tornerà all'omeostasi.
     Nel caso di tensioni croniche il feto attiverà prematuramente la propria ghiandola surrenale, producendo cortisolo prima del tempo.
     Le conseguenze potranno essere diverse: dall'avvio di un parto prematuro all'organizzazione disfunzionale cerebrale per cui si strutturano circuiti che si basano su quel dosaggio alto di cortisolo, che indurrà in futuro il bisogno di quei dosaggi alti per funzionare, creando una specie di dipendenza da stress. Il bambino sarà sempre agitato, difficile da calmare perché quello sarà il suo stato abituale/normale.
     Per fortuna questo non ha conseguenze irreversibili, per esempio un buon allattamento potrà mitigare poi questa situazione.
 
     In situazioni fisiologiche il feto comincia, invece a produrre cortisolo solo alcune settimane prima del parto, quando la placenta comincia a ridurre la sua funzione per procedere verso l'espulsione. Il feto vive piccoli stress ed entra in gioco il cortisolo, a quel punto necessario per affrontare il travaglio.
     Anticipare medicalmente il parto significa far nascere un bambino con minore capacità di adattamento e coping. Tirarlo fuori dall'utero senza travaglio, per esempio con un cesareo non necessario, significa lasciarlo con una carica alta di cortisolo non utilizzata, senza la possibilità di scaricarla. Non solo: mancherà la percezione di propri confini corporei e dell'esperienza di aver affrontato un passaggio difficile con successo. Abbiamo verificato in numerosissime storie cliniche che la modalità del parto determina il modo dei passaggi evolutivi successivi della persona.
 
     Torniamo al nostro Emanuele: dal quinto mese di gestazione la perdita di liquido e la relativa ansia della madre e, due mesi dopo, la nascita prematura con parto cesareo con le conseguenze di cui abbiamo detto. Quindi giorni in incubatrice, arrivo a casa e subito nuova ospedalizzazione per intervento chirurgico all’anca. Possiamo ipotizzare il suo vissuto secondo questa progressione: buona carica energetica iniziale – allarme per le problematiche fisiologiche e per quelle psicologiche materne e paterne – attivazione prematura del cortisolo – impossibilità di agire con il proprio movimento attivo la carica energetica attivata. Questo go – stop –go – stop lo ritroviamo nella sua balbuzie di oggi, l’ansia di allora è esplicita oggi, la sua carica energetica non sa trovare modi fluidi ed efficaci di espressione.
 
     Quella che sembra pigrizia è il risultato di un’energia frenata ben segnata nella sua memoria implicita.
     Mi arriva presto una conferma inaspettata di questa ipotesi. Parlando della gravidanza da cui è nato mi dice: “Io mi muovevo troppo, scalciavo troppo, e così si è rotto l’utero!”. Immagino che questa sconcertante affermazione sia la sua rielaborazione del racconto materno della perdita di liquido amniotico al quinto mese. Quale deve essere stato il suo vissuto emozionale! Il racconto è andato a formare la percezione della propria identità, innestandosi sulla memoria implicita dei primi giorni di vita: nascita con cesareo – lussazione dell’anca – intervento chirurgico – immobilizzazione delle gambe. La sua energia c’è, ma è impedita ad esprimersi, non ne è autorizzata!
 
     L’autoritratto che gli chiedo di disegnare lo esplicita: comincia a disegnare una grande testa al centro dello spazio bianco del foglio e prosegue verso il basso; la parte superiore delle cosce arriva al limite del bordo inferiore del foglio. Non c’è posto per le gambe e per i piedi.  
     Il padre mi diceva: Emanuele scappa dalla realtà, si sente mediocre.” E la madre: “Perché non mostra la sua parte migliore?” Per tutto questo.
     Averne potuto parlare e sentire la mia affermazione decisa: “Non sono stati i tuoi calci a rompere il sacco amniotico” è stato per lui liberatorio.
     Qualche tempo più tardi mi dirà che ha usato la sua racchetta da tennis con più grinta e che sente di poter esultare quando fa un punto.
 
     Perché l’acquisizione cognitiva e il sentire emozionale possano diventare consapevolezza profonda e modificare il suo comportamento, il progetto terapeutico per Emanuele prevede anche l’utilizzazione di quella che chiamiamo attivazione incarnata (Ferri, 2017), la realizzazione, cioè, di specifici movimenti (acting) dei distretti corporei in cui si è fissato il blocco energetico; nel caso di Emanuele il diaframma e le gambe.
     Sarà necessario fargli sperimentare che può respirare in un modo diverso e usare con potenza le gambe attraversando la paura di essere pericoloso, per arrivare a goderne.
     La memoria implicita inscritta nelle sue cellule potrà non essere più così condizionante la narrazione della propria storia. Il passato può essere elaborato non solo cognitivamente, emozionalmente ed affettivamente, ma anche corporalmente (Pompei, 2017).
 
     Marcello Carosi, medico antroposofo diceva ai suoi pazienti: “Noi possiamo rammentare (con la mente), ricordare (e questo ha a che fare con il cuore) e rimembrare (e questo ha a che fare con le membra).

 

        

[*] Psicoterapeuta, Analista S.I.A.R.

 

[*] La placenta è, infatti, un organo unico, ma composto da due parti differenti: una appartiene alla madre, l'altra al feto. In questo senso, è anche l’organo simbolo della unicità e duplicità contemporanea di madre e feto; è un organo complesso e plurifunzionale, che contemporaneamente divide e collega. La placenta, che in origine si è andata formando attorno alla zona da cui parte il cordone ombelicale, la zona dell’annidamento, è il vero organo della comunicazione tra madre e feto, il ponte e il regolatore di scambio reciproco di informazioni (neurotrasmettitori, ormoni, messaggi biochimici), il canale di nutrimento, di ossigenazione e di scambio emozionale.

                                                        

                                                         Bibliografia 

Ferri, G., Cimini, G. (2014), Picopatologia e carattere. Roma: Alpes.

Ferri, G. (2017), Il corpo sa. Roma: Alpes

Mancia, M. (2004), Sentire le parole. Milano: Bollati Boringhieri.

Mancia, M. (2007), Psicoanalisi e neuroscienze. Milano: Springer Verlag.

Pompei, M. (2017), Agire sulla memoria implicita con la Vegetoterapia, in www. Psicoterapia Analitica Reichiana, n. 2/2017.

Reich, W. (1976), Biopatia del cancro. Milano: Sugarco.

Schmid, V. (2015), Il coping del bambino, prima durante e dopo la nascita, in “Il Giornale Italiano di Psicologia e di Educazione Prenatale”. Anno 14 n. 28 Treviso: ANPEP.

Soldera, G. (2000-2018), Rivista “Il Giornale Italiano di Psicologia e di Educazione Perinatale”. Treviso: ANPEP.

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