Numero 2/2023

IL PIACERE DEL RESPIRO

THE PLEASURE OF BREATH
 

 Giuseppe Ciardiello[*]

 

 

Abstract

         Il respiro è la funzione principe di ogni organismo vivente e, come la vita, non ha un suo momento iniziale perché è trasfuso da un elemento all’altro. Accompagna ogni essere dal concepimento ed è centrale per lo svolgimento di qualsiasi attività per le quali assume forme e caratteri congeniali. Legato al movimento e alla relazione, se questi sono sacrificati per l’emergenza Covid19, allora bisogna imparare a prendersene cura badando alla conservazione della sua elasticità.

Parole chiave

        Movimento – relazione – plasticità – violenza – aggressività.

 

Abstract 

        Breathing is the main function of every living creature and, as life itself, it does not have its own begin because is continually transferred from one element to the other. It accompanies every being since its conception and is crucial to the performance of any activity, according to which it adopts fitting characteristics and features. Breathing is related to movement and relationships, if these are compromised by the Covid-19 emergency, we therefore need to learn to look after it by paying attention to the preservation of its flexibility.

 Key-words

        Movement – relationship – plasticity – violence – aggression.

 

        Per ogni organismo vivente la funzione più importante è quella del respiro. Per mezzo della volontà gli organismi umani possono dilazionare la soddisfazione di qualsiasi bisogno ma non possono rimandare il respiro. Per l’uomo la funzione respiratoria si pone a margine tra l’atto volontario e quello automatico per cui si può dire che non si è responsabili della funzione cardiaca, di quella digestiva o escretoria perché sono funzioni che non possono essere poste sotto il controllo dell’Io. Al contrario, essendo la funzione respiratoria non del tutto automatica, il respiro può essere trattenuto sorprendentemente a lungo e i polmoni sanno adattarsi a ritmi diversi[1]. Il fatto che la funzione polmonare è adattabile significa che si può imparare a modificare il ritmo respiratorio al variare della condizione fisica ed emotiva. Del resto la frequenza respiratoria non è sempre la stessa nel corso dell’evoluzione e passa dai 30-60 atti respiratori al minuto nei bambini ai 12-20 negli adulti.

     In condizioni di normalità sono distinguibili[2]:

Dispnea – respirazione affannosa, difficoltosa. Può essere conseguenza di uno sforzo fisico oppure conseguenza di un evento di malattia come asma, polmonite, ischemia cardiaca, malattia polmonare interstiziale, problemi alla laringe o trachea e cause psicogene. È la cosiddetta fame d’aria.

Apnea – si resta senza respiro per più di 15 secondi. Quest’interruzione può essere volontaria, dovuta a farmaci, all’ostruzione delle vie respiratorie o ad eventi patologici gravi (encefaliti ecc…)

Tachipneaaumento della frequenza respiratoria sopra i 20 atti al minuto. Può essere causata da sforzi fisici, insufficienza cardiaca e turbe dei centri respiratori, polmoniti, dolore toracico e stati febbrili.

Bradipnea – diminuzione degli atti respiratori sotto i 12 al minuto. Dovuto alla depressione del centro respiratorio bulbare. Può dipendere da un trauma cranico, shock, disturbi endocrini e neurologici o dalla somministrazione di sostanze tossiche.

Iperpnea – aumento della respirazione non tanto nel numero di atti respiratori ma per profondità e frequenza con esito di maggiore ventilazione polmonare. Consegue a tensione emotiva, abuso di alcol o sforzo fisico. Può accompagnarsi ad alcune patologie (acidosi, sinusite ecc…).

 

Respirazione perinatale e natale[3]

     Il respiro accompagna ogni funzione dell’organismo umano fin dal concepimento!

     Esso consiste in a) una respirazione esterna (polmonare) con cui l’organismo scambia l’ossigeno proveniente dall’esterno (atmosferico) con l’anidride carbonica proveniente dalle cellule. Lo scambio avviene nei polmoni, a livello degli alveoli, dove l’ossigeno si spande per poi passare nei capillari circostanti. Si lega al sangue ed è trasportato a tutte le cellule del corpo e b) una interna (cellulare) dove: L’ossigeno, trasportato alle cellule dal sangue, viene utilizzato per l’ossidazione dei metaboliti cellulari con la conseguente produzione di anidride carbonica e formazione di composti ad alta energia. L’anidride carbonica prodotta nelle cellule, passa, per diffusione, attraverso la membrana cellulare nei capillari sanguigni che la condurranno agli alveoli polmonari, attraverso i quali verrà eliminata nell’ambiente esterno. (Loddo, 2018)

     Non essendoci un momento d’inizio dell’attività respiratoria (interna), si può dire che il respiro si trasfonde e che, come la vita, passa da un organismo all’altro. Per mezzo delle cellule riproduttive la respirazione si trasmette dagli organismi genitoriali al concepito e poi, attraverso l’apporto di sangue portato dal cordone ombelicale, da quello materno al bambino.

     Qualunque anomalia interferente con la funzione respiratoria durante tutto il periodo di gestazione può causare una sofferenza fetale determinando un danno cerebrale da asfissia fetale e/o neonatale (perinatale). 

     Lo sviluppo del polmone fetale comincia a svilupparsi a 6 settimane di età gestazionale e continua fino ai 2 anni di età (formazione e allargamento degli alveoli). Durante lo sviluppo intrauterino nel polmone si produce un liquido, la cui componente elettrolitica è diversa sia dal liquido amniotico sia da quella del plasma, che prenderà a ridursi solo nelle fasi del travaglio, al momento della nascita. Questo liquido è usato come fluido respiratorio per l’esercizio delle scansioni polmonari per le quali attività il bambino, dal terzo trimestre in poi, impiegherà il 40% del tempo, tipicamente durante la fase REM del sonno[4].

        Solo alla nascita l’attività respiratoria si svincola dall’attività elettrocorticale e diventa funzione dei gas plasmatici.

fotoeffetti.com final 672015862521961103

 

Respirazione, relazione e movimento

     La vita sulla terra è rappresentata da un complesso sistema di funzioni interdipendenti che solo per comodità di osservazione sono parcellizzate e localizzate separatamente nei singoli organismi. Tutto il sistema e le diverse funzioni che lo compongono si caratterizzano per due processi particolari: il movimento e la relazione.

     Nell’essere umano sia il movimento che la relazione sono legati al respiro che, permeandoli, li rende interdipendenti.

     Qualunque movimento neonatale, poi infantile e poi adulto, si vincola al modo di respirare di ognuno che definisce, a sua volta, il modo in cui ogni persona si relaziona. Eventuali patologie muscolari, ossee o tendinee, si riflettono sul modo di respirare perché l’organismo cerca e realizza il miglior adattamento fisico possibile, di natura posturale e deambulatorio, per l’apporto ottimale di ossigeno.

     Per quanto attiene alla comunicazione, la semiautomaticità dell’atto respiratorio consente alle fini calibrazioni dell’espressione comunicativa (verbale e motoria) di essere apprese, condizionate e ricondizionate nel corso dell’intera esistenza[5]. È ciò che consente l’apprendimento delle diverse lingue, gli atteggiamenti da tenere per certe espressioni verbali, le posture da assumere in società e nei diversi gruppi.

     Questa plasticità fa sì che l’organismo si adatti agevolmente alle richieste sociali (si pensi ai primi adattamenti alle famiglie d’origine) e che poi si possa anche cambiare, intenzionalmente, nel corso della crescita evolutiva.

     È tutto questo a rendere l’atto respiratorio una delle funzioni più importanti dell’organismo, di cui è necessario prendersi cura e farsi carico.

     Ma spesso questa consapevolezza è assente e la necessità di prendersene cura viene disattesa ignorando gli esiti di una respirazione deficitaria e insufficiente anche in una vita che, per il resto, appare condotta normalmente! Una corretta respirazione produce maggiore energia nell’organismo.

     Garantendo un sufficiente apporto di ossigeno alle cellule permette di svolgere le attività fisiche e cognitive nel migliore dei modi e senza avvertirne la fatica. Al contrario le posizioni faticose e artificiose, assunte per fingere stati d’animo doverosi e non congeniali alla propria personalità o ai propri desideri, vuoi per motivi di lavoro o per motivi relazionali, comportano una ridotta capacità di approvvigionamento energetico (leggi d’ossigeno) che a sua volta consolida l’assunzione di posture e atteggiamenti corrispondentemente ridotti.

     Ciò comporta il coincidere della respirazione con una corrispondente struttura muscolare che, alimentata negli anni, tende ad assumere una forma sempre più definitiva. Una volta stabilizzatasi, non si avverte più perché si è trasformata in una identità corporea. Insomma ci si abitua alla propria forma fisica ed espressiva fino a non avvertirla più come elemento estraneo ma arrivando a essere quel carattere e quella persona (Reich, 1996).

 

Il carattere nel respiro

     La forma personale e soggettiva assunta dall’organismo nell’atto respiratorio, colora tutti gli aspetti della vita, anche quelli intimi e affettivi arrivando a segnare anche le espressioni sessuali fin dalla prima infanzia. È nelle prime fasi evolutive che i bambini imparano a respirare meno profondamente per conservare il controllo delle proprie emozioni e delle sensazioni intime[6].

     È fin da bambini che s’impara a sacrificare parti intime di sé e, trattenendo il respiro, fermare tutto: pianto, lacrime ed ogni emozione. Così si apprende a non essere in collera (a reprimerla), sacrificando parti (cattive) di sé e così, a lungo andare, si diventa protagonisti di quelle società nelle quali si respira poco e male e la violenza è intravista in ogni atto aggressivo[7].

     Nell’impatto con un’educazione eccessivamente repressiva il respiro completo e profondo viene confuso e avvertito come qualcosa di selvaggio che, declinato negativamente, va a toccare le parti più intime e private dell’essere mettendo in crisi la capacità di controllo. Mentre invece è il contrario e, come nelle parole di Rovetto, il vissuto selvaggio in natura si accompagna alla libertà e corrisponde a quel qualcosa che è riconducibile alla vitalità e non va confuso con la violenza.

     ‘La violenza è un particolare atto inflitto al soggetto contro la sua volontà, o una forma di restrizione, più o meno improvvisa, della libertà di disporre di sé e del proprio corpo. L’aggressività positiva rappresenta un comportamento diretto a superare tutto ciò che costituisce un ostacolo o una minaccia per l’integrità fisica o psicologica di un organismo vivente’. Rovetto: www.rovetto.net/1-violenza-psicopatologiaComportamentiCriminaliDSM.ppt.

     Nella realtà della vita quotidiana accade che, anche se l’organismo può imparare a bypassare l’esigenza di respirare profondamente, lo può fare solo per spazi di tempo limitati, né è possibile annullare definitivamente il profondo e costante bisogno di esprimersi in maniera compiuta e libera. Allora il sacrificio della spontaneità e della naturalezza porta con sé il rischio di esplosioni improvvise e immotivate di aggressività che, dopo tanta repressione e a causa delle improvvise intemperanze e inspiegabili deflagrazioni, sono confuse come espressioni immotivate di violenza.

 

Il Covid 19 e il respiro

     Non è un caso che nell’epoca attuale esploda, all’improvviso (all’improvviso?), una minaccia così grave come quella che si sta vivendo ora per mezzo del Corona virus. Tant’è vero che l’umanità non sembra comunque rendersi conto del tutto di quello per cui la natura sta reclamando. Forse vuol dire che ci si è arrivati gradatamente, in sordina, lentamente, inavvertitamente e maldestramente complici. Forse lo si è voluto!(?)

     Allora verrebbe da dire che la natura di questo virus coglie la parte vitale e relazionale dell’organismo umano. Impedisce la vicinanza, si frappone all’abbraccio, vieta il contatto e minaccia di danneggiare la funzione respiratoria. In questo implicito divieto trasgredire vuol dire rischiare la funzione principe della vitalità organismica, la fonte primaria di rifornimento energetico che alimenta tutte le altre funzioni metaboliche. Quella che tiene in vita il corpo per mezzo di continui scambi (movimenti) con la realtà esterna (relazioni).

     È significativo il fatto che il contrario di questi due processi (movimento e relazione) si trovi realizzato solo nei momenti di declino fisico e convalescenza per cui limitarne l’espressione, anche solo per prudenza e prevenzione, comporta l’innesco automatico di vissuti di solitudine, di paura della morte, di mancanza di senso delle cose e di libertà.

     Ma se anche tutto il pianeta sta soffocando c’è qualcosa che ognuno può ancora fare nel suo piccolo per reagire ed evitare di restare invischiato nel vortice del malessere. L’alternativa è continuare, o cominciare, a prendersi cura del respiro.

     È necessario comprendere che se non si respira pienamente, non si può vivere pienamente. Se manca il respiro, si sente e si avverte che manca qualcosa e che questo qualcosa è trattenuto e limitato nella sua espressività in tutti i processi, in tutte le dimensioni psicologiche umane. Si è limitati perfino nell’amore e nel sesso e anche parlando, dialogando e interagendo si sente di non esprimersi completamente e anche solo camminando, correndo e saltando non si è compiutamente se stessi. Si avverte invece una pretestuosità nei gesti che carica gli atti e i movimenti di una faticosa artificiosità.

     Un respiro superficiale, un respiro incompleto e fatto solo per recuperare il minimo indispensabile di energia necessaria per sopravvivere, si forma, si lega ed è legato a una struttura muscolare fissa, poco flessibile e rigida. Stupisce il paradosso che questo stato di sofferenza sembra una condizione comoda quando la si osserva prendendone coscienza. È ancora di più sorprende vederla connaturata agli individui e alle società sotto forma di controllo indiscusso e automatico delle interazioni sociali mentre, nel contempo, le forme di spontaneità, d’imprevedibilità e impulsività sono assimilate ad espressioni selvagge e violente dell’aggressività così da escluderle implicitamente da ogni espressione comportamentale. Non ci si accorge che così facendo si sacrificano anche espressioni come l’espansività, l’amore, la gioia, la creatività, la libertà.

     Certo non è facile tornare a respirare come nel periodo neonatale o a piangere a calde lacrime e a piena voce o tornare a esultare senza vergogna come si faceva da bambini. Ma curare il proprio respiro è sempre possibile, è doveroso e salutare. Anche quando ci si accorge di essersi ingabbiati in un torace che ha perso gran parte della sua elasticità, si può tornare ad ammorbidirlo riprendendo ad alimentare l’interiore piacere e desiderio di vita.

     Alla fine basta poco! Bisogna solo esercitarsi a vivere, di più e meglio. Siccome sembra che si abbia sempre più bisogno di prescrizioni mediche, allora proviamo a darcene anche per respirare prendendo ad esempio un breve esercizio di respirazione tratto dalla Meditazione Dinamica di Osho[8] descritta dettagliatamente nel testo di ‘Tecniche di liberazione’ cui si rimanda (Verni, 1977). L’esercizio completo consta di quattro step il primo dei quali modificato può diventare il seguente: cinque minuti di respirazione soffiando veloce l’aria dal naso seguiti da altri cinque minuti di respiro veloce di bocca emettendo un suono, Uh! Uh! Uh!

     Come pillole, da ripetere due volte al giorno!

 

 

[1] “La respirazione è una funzione automatica, ma è anche sottoposta a un controllo volontario o emozionale dipendente dalla corteccia somato-motrice e limbica.” (Souchard, 1996, p. 78).

[2] Note tratte da internet dall’articolo: Respiro patologico e le sue caratteristiche . Pubblicato il 22.03.18 di Ivan Loddo. Aggiornato il 12.09.18 sul sito: Nurse24+it

[3] Riferimenti tratti da internet dall’articolo:  La respirazione fetale di Ciro Comparetto, Unità Operativa di Ostetricia,  Azienda Ospedaliera Careggi, Firenze.

[4] Anche se gli scambi respiratori avvengono a livello placentare, circa il 40% del III trimestre è trascorso dal feto in attività respiratoria, tipicamente durante la fase REM del sonno. (Vedi nota precedente:  La respirazione fetale)

[5] ‘L’apprendimento senso motorio tuttavia non si limita alla prima infanzia, poiché le capacità sensoriali e motorie rimangono plastiche e vitali nel corso di tutta la vita. La vita del corpo non viene mai del tutto sostituita dalla vita della mente. Mente e corpo rimangono in costante dialogo, spesso in una tensione dialettica.’ (Cornell,  2017, p. 158)

[6] ‘Ogni aggressione di carattere neuro-psichico o somatico aumenta il tono neuro-muscolare. … ogni messaggio nocicettivo tenderà ad aumentare l’accorciamento e la rigidità dei muscoli della statica e, tra questi, quella dei muscoli inspiratori. D’altro canto il controllo emozionale della respirazione può indurre un aumento considerevole dell’attività dei muscoli della respirazione. La paura blocca provvisoriamente la respirazione, l’angoscia l’altera in maniera permanente. … Ciò si realizza sempre in termini di blocco inspiratorio. Souchard, 1966,  p. 86)

[7] Winnicott intendeva il movimento (motricità) come intrinsecamente connesso all’aggressività, non nel senso di espressione di ostilità, ma come capacità di esplorare il proprio ambiente.’ (Cornell, 2017, p. 72)

[8] Con il nome di ‘Bhagwan Shree Rajneesh’ (conosciuto nel mondo come Osho  11/12/1931 -  19/01/1990) nel 1977 fu pubblicato un libretto dal titolo: ‘Tecniche di Liberazione’, curato da Piero Verni (Swami Geet Govind) edito da La Salamandra. Nei diversi brevi capitoli, svolti in forma di dialogo con Rajneesh, il libro descrive nel dettaglio un importante esercizio ‘catartico’ di consapevolezza: ‘la meditazione dinamica’.

Fin dalla fanciullezza Osho si pone in contrasto con le norme religiose del suo tempo proclamando, con fede sicura e piglio autorevole, le certezze buddhiste di cui si fa relatore in maniera personalizzata. Nel 1956 termina gli studi laureandosi in filosofia e continua come professore ad insegnare al Sanskrit College di Rajpur. Prosegue poi come rettore alla cattedra di filosofia all’università di Jabalpur. Molto seguito, dal 1964 Osho organizza Campi di Meditazione in cui propone tecniche: ‘in grado di aiutare a cogliere quel Silenzio oltre i silenzi in cui la nostra vera natura si manifesta’ (p. 240) perché ‘L’illuminazione non è una meta, bensì la semplice comprensione che noi abbiamo solo questo momento presente da vivere. Il prossimo è assoluta incertezza… può venire, come non venire. E in verità, il domani non arriva mai…’ (p. 14) (‘Il libro della saggezza’, Osho, ed. del cigno, 1997). Tali tecniche dovevano servire a risvegliare l’uomo moderno dallo stato di torpore e sonno in cui lo conduce l’emancipazione economica e il benessere sociale che allontanano dall’essenzialità umana. Nel 1966 fonda un ashram a Bombay traferito poi a Pune nel 1974 diventata sede universitaria “Multiuniversità dell’essere” con corsi di crescita interiore.

Le tecniche di Osho sono ancora praticate nella comunità italiana di ‘Osho Miasto’ a Frosini in provincia di Siena.

 

Bibliografia

Cornell, F., W.(2017), L’esperienza somatica in psicoanalisi e psicoterapia. Armando ed.

Reich, W. (1933), Analisi del carattere. Sugarco.

Souchard, Ph. (1996), La respirazione. Marrapese Ed.

Verni, P. (a cura di): Rajneesh Shree Bhagwan, ‘Tecniche di liberazione, il corpo psichedelico al di là della follia: yoga sessualità, meditazione, energia creativa’, ed. La Salamandra, 1977.

Winnicott, D. W. (1991), Dalla pediatria alla psicoanalisi. Ed. Psycho G. Martinelli e C., 1991

Rovetto, F. www.rovetto.net

 

 [*]Psicologo e Psicoterapeuta, Analista Reichiano, membro del Comitato Scientifico LIDAP (Lega Italiana per il Disturbo di Attacchi di Panico e Agorafobia). Collaboratore per la formazione di facilitatori per gruppi di Auto Mutuo Aiuto (AMA) AdV Riconoscere di Roma. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

 
What do you want to do ?
New mail
Share