Numero 1/2014

VINCENT VAN GOGH

Rosa Albano*

 

Un giorno d’inverno arriva timidamente nel mio studio Vincent Van Gogh; non è solo, ma è accompagnato da Theo, suo fratello. 

Sono attratta subito dai suoi grandi occhi color ghiaccio, limpidi, cristallini che sembrano raccontare un’infinita tristezza. Le sue labbra, lisce e carnose, sbucano da una folta barba quasi color arancione. Il suo collo, grande e rigido, assume le sembianze di una colonna marmorea e poggia su un corpo altrettanto rigido e non molto allungato. Mi racconta la sua storia.

Vincent ha 36 anni ed ha una grande passione: la pittura. Ha dato vita a ben 864 dipinti, 150 acquerelli e 10 litografie. Ma non riesce a vendere i suoi quadri e la sua unica fonte di sostentamento economico è suo fratello Theo, la persona più importante della sua vita. Mi racconta del suo mal di vivere, della sua tristezza, della sua angoscia; mi parla della sua impulsività e di quante volte è stata per lui distruttiva. Desidera incontrare una donna da cui possa sentirsi finalmente amato e non più respinto, come sempre è accaduto nella sua vita. Il dolore che Vincent porta è immenso, ma accanto ad esso sento in lui una grande forza, un grande desiderio di vivere. Mi chiede di aiutarlo a venir fuori da tutto questo!

Tanta tristezza ho provato nell’ascoltarlo, non mi ero sbagliata, i suoi occhi ne erano pieni!

Per  un'ipotesi di diagnosi

Provo a fare una prima diagnosi, cercandola tridimensionale, secondo il modello S.I.A.R.: l’analisi dei livelli corporei, dei tratti caratteriali e delle fasi evolutive.

 

L’attenzione è, dunque, posta alla storia del paziente, nella quale si raccolgono i segni incisi, quegli eventi che hanno determinato nel tempo specifici tratti caratteriali.

Una freccia del tempo che, come la pellicola di un film, attraversa e ripercorre tutta la nostra storia, dal concepimento ad oggi, aggiungendo una dimensione di profondità e di complessità. (Ferri, Cimini, 2012) 

Segni incisi e tratti caratteriali

Il primo segno inciso nella vita di Vincent è la sua nascita: viene al mondo il 30 marzo del 1853, esattamente lo stesso giorno, ma dell’anno successivo, in cui era nato e subito dopo morto il fratello Vincent. È possibile che questa esperienza di lutto abbia intriso la gravidanza (quale primo terreno e prima atmosfera di incontro con l’Altro da Sé) di paura, angoscia di morte, allarme. Una fissazione in questa fase così precoce e delicata, può determinare un tratto intrauterino, che Vincent manifesta attraverso la sua costante richiesta di accettazione e che ben esprime in una delle tante lettere al fratello Theo: “cosa sono io agli occhi della gente? Una nullità, un uomo eccentrico e sgradevole? Ebbene se così fosse vorrei che le mie opere mostrassero cosa c’è nel cuore di questo eccentrico, di questo nessuno” (Bernard, 1986); ma anche attraverso la sua straordinaria intelligenza sensoriale, cognitiva-oculare, che raggiunge la massima espressione nella pittura. Il livello corporeo qui principalmente interessato è il sesto, l’addome.

 

Non ci sono informazioni sull’allattamento e svezzamento; forse Vincent si sarà nutrito di poco latte o di un latte dato da una madre triste, angosciata, totalmente assorta dal suo lutto e, forse, una madre così assorta non può accogliere un piccolo e vivere con lui un contatto profondo. Se ciò fosse accaduto, un altro segno inciso lo troveremmo qui e potrebbe spiegare il terreno depressivo che ha dato forma alla sua vita e che, sin dalla sua infanzia, lo ha reso così triste e malinconico. Il dolore, nato da un mancato contatto profondo vissuto in tenera età e dall’assenza di un materno in grado di accoglierlo e sostenerlo, si è costantemente riacceso in tutti i suoi amori impossibili. L’amore di Vincent era sempre rivolto a donne che non erano innamorate di lui e dalle quali così non poteva ricevere nessun contatto affettivo, confermando l’antico vissuto di relazione con la madre.

 

È possibile, dunque, ipotizzare una grande difettualità di fase oro-labiale; questa condizione ha determinato in Vincent un tratto orale, che si esprime con un Io vulnerabile, malumore, pessimismo, disistima e, soprattutto, con un tema di dipendenza, che ritroviamo nel rapporto col fratello Theo, suo unico supporto affettivo ed economico. Il livello corporeo coinvolto qui è il secondo, la bocca.

 

altVincent Van Gogh a 13 anniVincent Van Gogh a 13 anniContinuando a scorrere la sua storia vediamo che, quando Vincent ha due anni, nasce Anna Cornelia, e, con la nascita della sorellina, probabilmente sente di perdere le cure e le attenzioni che, come primogenito, riceveva. Ciò ha potuto generare un vissuto di abbandono da parte della madre, già così poco presente. Un altro segno inciso arriva all’età di 11 anni, quando, per volere del padre, lascia la famiglia e va in collegio; questa separazione non desiderata e così precoce ha rafforzato il suo vissuto di abbandono, rendendolo ancora più fragile.

 

A 20 anni, dopo il rifiuto di Eugenie, Vincent cade in una profonda crisi depressiva e poco dopo scoppia il suo furore mistico che prende le vesti di una missione: portare aiuto a tutti quelli che soffrono. Forse, questa missione, rappresenta il disperato tentativo di allontanarsi da quel vuoto affettivo che aveva incontrato nella relazione con la madre e la possibilità di raggiungere una maggiore organizzazione entrando nel progetto paterno. Desiderava lenire la sofferenza delle persone più disagiate, donare loro sostegno e conforto e ciò probabilmente rifletteva il suo grande bisogno di essere amato, aiutato; o forse, nel sostenere l’altro, c’era il tentativo di sostenere quella madre triste e angosciata che ormai era dentro di sé.

 

Donando aiuto agli altri, probabilmente si prendeva cura anche di sé, e ciò poteva rappresentare per lui un buon nutrimento e una buona cura. Cura che, accanto al supporto affettivo di Theo, probabilmente ha sostenuto un ulteriore e significativo passaggio, una vera e propria salita neghentropica: Vincent ha trovato la forza per uscire dal progetto paterno scoprendo e approdando alla pittura. Smise di prendersi cura di tutte le persone bisognose che incontrava e iniziò a convogliare tutta la sua energia, su ciò che diventò, insieme a Theo, il più forte sostegno della sua vita: l’arte, con i suoi colori e le sue forme. Anche in essa realizzò gradualmente un passaggio neghentropico, passò da colori scuri, tetri, pesanti, a colori sempre più brillanti e vibranti di vita, fino a scoprire il giallo che illuminò molti dei suoi capolavori.

Vincent era sbocciato; proprio come nasce dal seme, in tutta la sua bellezza, un tenero fiore. La sua luce interiore iniziò ad espandersi e più si allontanava dal vuoto materno, più brillava.

I genitori

Dei suoi genitori dice che sono molto buoni, ma non comprendono i suoi sentimenti più intimi, e non si rendono conto di quello che sente veramente. Lo amano con tutto il cuore e lui li ama profondamente; ma purtroppo spesso non lo comprendono.

Nella vita di Vincent ciò che risalta è l’assenza del calore materno; dalla sua storia, trapela l’immagine di un femminile poco accogliente, che non approvava mai il figlio, né nelle scelte lavorative, né nelle storie d’amore che viveva.

altPadre di Van GoghPadre di Van GoghDiverso, ma non migliore, era il rapporto col padre; i rapporti con lui furono molto difficili e conflittuali. Accanto all’ardente desiderio d’amore e di approvazione, viveva in Vincent una grande insofferenza per il suo austero rigore morale, per la sua ristrettezza mentale, per la sua fede bigotta, per il suo autoritarismo. In una delle sue lettere al fratello Theo scrisse che il padre non avrebbe potuto comprenderlo e seguirlo, e che lui non avrebbe potuto accettare il suo sistema che lo opprimeva e lo avrebbe soffocato. Voleva essere libero e indipendente in molte cose (Bernard, 1986).

E in un’altra lettera spedita dopo una violenta scenata, nella quale il padre gli gridò di andarsene di casa, affermò che, finché i genitori avessero continuato su quella linea di condotta, non si sarebbe rimangiato nemmeno una parola; qualora avessero deciso ad essere più umani, più sensibili e più onesti sarebbe stato lieto di ritirare tutto ciò che aveva detto (Bernard, 1986).

Mesi dopo, l’amarezza di quella rottura ritornò, e in una lettera al fratello scrisse che le cose sarebbero state diverse se il padre si fosse fidato un po’ più di lui e fosse stato meno sospettoso nei suoi riguardi; se, anziché considerarlo come una persona che poteva soltanto sbagliare, avesse dimostrato una maggiore pazienza per capire le sue intenzioni, avrebbero sofferto meno entrambi (Bernard, 1986).

Vincent aveva conosciuto e introiettato un femminile distante e triste, e un maschile rigido e castrante; la madre e il padre rappresentavano per lui rigidi muri contro i quali si scontrava ad ogni suo movimento. Proprio da un femminile così freddo e distante nasce il terreno depressivo su cui Vincent ha faticosamente costruito la propria esistenza e forse ancora prima, quando era nel grembo di sua madre, ha preso vita una posizione masochista primaria di primo tipo, che generalmente nasce da una forte paura e allarme esperiti dal feto, in seguito a condizioni stressanti vissute dalla madre in gravidanza, o a minacce abortive. In questa condizione il piccolo, se ha una buona densità di energia, la passa alla madre-utero, la sostiene e la protegge perché da solo non riesce ancora a vivere, ha bisogno di lei. Come avrà vissuto i mesi della gravidanza e l’avvicinarsi del parto la madre di Vincent? L’anno precedente, il suo primo bambino era morto poco dopo la nascita! Forse, avrà atteso l’evento con rinnovata speranza ma anche con grande inquietudine, allarme, angoscia, paura.

altMadre di Van GoghMadre di Van GoghHo ipotizzato anche la presenza di una posizione narcisistica primaria di primo tipo: probabilmente, sin dagli albori della sua vita, Vincent ha lottato narcisisticamente, proteggendo e sostenendo una madre profondamente spaventata e angosciata dal lutto vissuto appena l’anno precedente la sua nascita; e, forse, proprio da questo segno inciso così antico ha preso forma, sull’asse narcisistico, tutta la sua esistenza. Un narcisismo che ha rappresentato, per lui, l’unica direzione percorribile di sopravvivenza; una risposta quasi obbligata, prodotta dall’angoscia di morte che ha incontrato nel grembo materno, ma anche una spinta che lo ha, poi, sempre sostenuto. Nelle sue parole ”L’uomo non sta sulla terra per essere felice e neppure per essere semplicemente onesto, vi si trova per realizzare grandi cose per l’umanità e andare oltre la volgarità in cui si trascina l’esistenza” (Bernard, 1986) ben esprime la sua spinta narcisistica. Qui i suoi occhi non si fermano alla realtà ma rincorrono l’ideale; e sia quando nella missione mistica il suo desiderio è di aiutare le persone che soffrono, sia quando con la scoperta della pittura non si accontenta di creare quadri, ma si spinge oltre, progettando la nascita di un Atelier del Sud. A dare forza a tutto ciò, è sempre il suo ideale narcisistico.

Ma se da una parte, questa spinta è il suo sostentamento, dall’altra è anche ciò che lo brucia; quando il suo ideale si frantuma, emerge la temuta non accettazione e sprofonda in una posizione depressiva. Forse questo spiega le cadute depressive che seguivano sia il rifiuto delle donne di cui si innamorava, sia il rifiuto dell’amico Gauguin che, stanco dei suoi atteggiamenti, decide di andare via facendo crollare il sogno dell’Atelier del Sud. Vincent si era scontrato con un Gauguin reale che non aveva aderito al suo progetto ed era sfuggito ai suoi strani comportamenti, ciò tradiva l’immagine dell’amico ideale che aveva costruito e così tanto atteso e, non riuscendo a sostenere la ferita narcisistica derivante dal suo abbandono, cade nel baratro depressivo.

Vincent Van Gogh nel 1871Vincent Van Gogh nel 1871Si affianca a questa posizione narcisistica primaria, una posizione narcisistica secondaria di secondo tipo che nasce da un investimento progettuale superegoico parentale: i maschi della famiglia Van Gogh, di generazione in generazione, intraprendevano due tipi di attività: quella di mercante d’arte o di pastore protestante, ed essendo Vincent primo figlio maschio della famiglia, fu molto probabile che il padre, leader di secondo campo, avesse investito su di lui, inducendolo a scegliere queste attività. Pur infilandosi in questo progetto, mantenne ed agì sempre una grande aggressività e distruttività verso esso, portando a fallimento qualsiasi attività intraprendesse. Ciò gli permetteva di riappropriarsi della sua libertà, ma allo stesso tempo di dare spazio ad un grande senso di colpa per i pesanti fallimenti a cui andava incontro, e questo a sua volta rafforzava la propria disistima.

 Da un terreno depressivo ho immaginato l'alternarsi di slanci neghentropici dal sesto al primo livello (dall'addome agli occhi): quando questo si realizzava, attraverso la pittura, la sua energia vitale raggiungeva la massima espressione, diventando la sua ancora di salvezza, con ricadute poi entropiche dagli occhi alla pancia. Ciò si manifestava attraverso liti furibonde, fino ad arrivare al taglio dell'orecchio sinistro, o attraverso stati di profonda depressione. Solo Theo rappresentava per lui un posto dove poter attingere amore e comprensione e, una volta nutritosi di essi, continuare la lotta per la sua vita.

Progettualità analitico terapeutica

Come si potrebbe aiutarlo a recuperare quella parte di sé più creativa e vitale, evitando la caduta in un baratro senza risalita? Accettare di accompagnarlo è sicuramente un compito molto arduo! Ho immaginato per lui un viaggio che potesse sostenere e arricchire quella luce interiore che aveva scoperto in Provenza, aiutandolo ad allontanarsi, con consapevolezza, dal baratro del buio della sua depressione.

Dopo aver raccolto la sua anamnesi, sceglierei di pormi in una posizione di calda accoglienzache potrebbe fargli incontrare quella dimensione materna a lui poco conosciuta. Affiancherei a ciò una posizione strutturante; introdurrei cioè, una posizione non rigida, come quella già vissuta col padre, ma morbida ecapace allo stesso tempo di dare solidi confini.

AutoritrattoAutoritrattoInizialmente lo inviterei a stendersi sul lettino e a mostrarmi il suo respiro; inizierei così, un lavoro di respirazione toracico-nasale, invitandolo a sentire l’appoggio dei piedi e della colonna vertebrale, due parti del corpo che potrebbero donargli presenza e stabilità. Vincent ha un’alta densità energetica e tenendo conto di ciò, sulla base di una progettualità mirata, proporrei poi un acting: la rotazione degli occhi, in grado di energizzare il primo livello evitando cadute entropiche al sesto. Esso consente una risalita neghentropica e un allargamento del campo di coscienza; ciò potrebbe aiutarlo a tenersi su dal baratro depressivo. Proporrei in seguito un acting che lavori sull’affermatività; Vincent viveva molte difficoltà nel gestire la propria aggressività, non riusciva a canalizzarla e a trasformarla in sano adgredior e l’unico modo che riusciva a trovare per liberarla era l’esplosione, con comportamenti distruttivi o autolesivi. Un acting che potrebbe restituire sia una maggiore organizzazione al suo adgredior che anche maggiore serotonina. Lo aiuterei, infine, ad umanizzare il suo ideale, ovvero ad ammorbidire la posizione narcisistica così dominante. Ciò potrebbe fortificarlo in situazioni in cui può sentirsi rifiutato o abbandonato, consentendogli di rispondere con modalità meno estreme ed impulsive.

Attraverso questo viaggio senza tempo esterno, il mio desiderio è quello di aiutare Vincent a nutrire la sua gioia di vivere, a trovare l’amore che tanto aveva cercato e soprattutto a seguire i suoi desideri senza ostacoli.

***

Ma, nella realtà, la morte arrivò proprio quando il suo riferimento più grande venne a mancare; il fratello Theo si ammalò, lasciandolo in un mare di sconforto e solitudine. A questa ennesima caduta entropica non seguì nessuna risalita e nemmeno l’amore per la pittura riuscì a consolarlo. Vincent non riuscì a sostenere la perdita di chi lo aveva sempre nutrito e aiutato, ormai era solo!

Così, sprofondando nell’abisso della sua depressione, si sparò un colpo di pistola al torace, culla del cuore, luogo di affetto e amore.

 

Bibliografia
  • Bernard, B. (1986), Van Gogh, la vita e le opere attraverso i suoi scritti. Novara: Istituto Geografico De Agostini.
  • Ferri, G., Cimini, G. (2012), Psicopatologia e Carattere. Roma: Alpes

[* ] Psicoterapeuta, Analista Reichiana

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