Numero 1/2014

Intervista a Genovino Ferri1

 

di Nicola Sensale

 

Sensale: quali sono stati i suoi maestri?

Ferri: il mio maestro è stato Federico Navarro, allievo di Ola Raknes, a sua volta unico allievo e didatta europeo di Wilhelm Reich. Raknes andò a Napoli per alcuni anni e formò un certo numero di terapeuti, tra cui il loro leader Federico Navarro, che ho incontrato più tardi, ai miei 26 anni.

S: quale concetto la colpì maggiormente, o l’affascinò, della Teoria del Carattere?

F: il suo contenere implicitamente il gene della complessità e il passaggio alla corporeità. La possibilità, inoltre, di poter intervenire con acting di Vegetoterapia direttamente sui livelli corporei, per modificare gli stati energetici, psicoemozionali e le posizioni prototipiche delle relazioni oggettuali.

S: l'aggiornamento, la frequentazione di colleghi, gruppi di studio, congressi mantiene viva la professione dello psicoterapeuta e lo aiuta ad accettare le sfide che i cambiamenti sociali propongono e che hanno sempre ricadute sulla professione. Attualmente qual è il suo filone di studio, di ricerca, su cui si è prevalentemente orientato o che integra nel modello corporeo originario?

F: l’intersoggettività nella sua dimensione corporea, in particolare mi occupo del transfert e controtransfert di tratto e di livello corporeo corrispondente, che considero la doppia elica di un nuovo DNA-Relazione, intesa come forma vivente complessa.

S: l'”Analisi del Carattere” di Reich è del 1933. Tale teoria suggerisce di spostare lo sguardo dai sintomi al quadro comportamentale, dal cosa porta il paziente al come lo porta e quindi anche alle sue manifestazioni comportamentali. Suggerisce anche di guardare al corpo e alla sua forma, per rilevare i vari tipi. Per Reich erano 4: isterici, fallici, coatti e masochisti, per la bioenergetica 5 e con alcuni sottotipi. Come si trova nel suo lavoro a usare la caratteriologia corporea?  

F: gli illustri analisti che ci hanno preceduto non hanno considerato il periodo intrauterino, per cui la tipologia reichiana si arricchisce, per noi oggi, di altri tipi quali l’intrauterino e l’orale, oltre il coatto-muscolare, il fallico, l’isterico e il genitale. Per quanto riguarda il masochismo noi lo consideriamo, con il narcisismo e il sadismo, uno sviluppo su asse verticale e non un tratto, che si colora in sottotipo nelle finestre orizzontali di fase evolutiva. Per capirci, il masochismo lo incontriamo prototipicamente anche nell’intrauterino, quando un piccolo feto, in un rischio di angoscia di morte vera, va a sostenere la madre, provando a riattivare neurochimicamente la gravidanza.

Nel corpo c’è la memoria implicita, substrato delle architetture mentali future, a loro volta espressione di prevalenza di fase evolutiva, di tratto caratterologico, di livello corporeo segnato dalle relazioni oggettuali della propria storia.

S: che cosa ha un valore diagnostico prevalentemente per lei?

F: una diagnosi reichiana complessa si articola in almeno quattro diagnosi, quella analitico-caratteriale di tratto ne è una, quella clinica con quella corporea di livello interessato e con quella relazionale sono le altre tre. L’ultima citata tiene conto del controtransfert di tratto e livello corporeo dell’analista e la chiamiamo Analisi del Carattere della Relazione.

S: Reich diceva che il paziente voleva guarire il sintomo ma a condizione che il suo carattere, il suo modo di essere, venisse risparmiato. Una sorta di - voglio guarire, ma la mia agenda non va cambiata -. Per Reich tuttavia era inutile approcciare il sintomo se la resistenza caratteriale non era indicata ed eliminata, e di nuovo quando si ripresentava. Si deve tenere conto di questa indicazione quando si incontrano le persone e le loro resistenze? 

F: certamente, il sintomo è il sopra-soglia del tratto. Analisi del carattere è leggere il tratto che esprime il sintomo, è una lettura più ampia, direi meta, che individua il terreno su cui si edifica il sintomo. Il focus è su come il tratto si esprime anche nel linguaggio del corpo; per cui leggere il tratto è importante, ma passare da un insigt cognitivo-verbale ad uno corporeo-emozionale-energetico, con gli acting di Vegetoterapia, costituisce un imprinting con probabilità di cambiamento maggiore.

Parlo di probabilità, come si evince, perché noi dobbiamo tenere conto della possibilità di una persona di cambiare, individuare la sostenibilità che l’altro ha per poterlo fare, perciò parlo di un’economia possibile e di altre impossibili. È il linguaggio del limite, un linguaggio da tener in conto perché ci fa potenti se lo conosciamo e pseudo onnipotenti se non lo conosciamo!

S: mi interessa molto questo: l’intenzionalità, il vedere che cosa c’è dietro.

F: c’è sempre una relazione di economia energetica dietro, anche nella formazione di un tratto di carattere.

S: quindi posso smantellare, mi posso permettere di smantellare questa organizzazione?

F: la corazza ha una sua puntuale economia e molte volte la dobbiamo costruire, altre volte la dobbiamo organizzare meglio, la corazza è un punto di equilibrio e di protezione, non è da smantellare sempre, come per esempio di fronte ad una persona psicotica, che è già senza corazza alcuna.

S: quindi non si può considerare la barriera narcisistica in senso solo negativo?

F: certo, bisogna guardare in un’ottica che è diretta sempre all’economia neghentropica del Sé e alla sua storia di relazioni oggettuali vere, che hanno segnato i livelli corporei di fase e la loro economia di tratto.

S: Reich aveva fornito precise indicazioni di trattamento della parte corporea del carattere: la corazza o armatura. Suggeriva di lavorare sui 7 segmenti della corazza e sulla respirazione, per sciogliere blocchi e scaricare gli eccessi di energia. Lowen e Pierrakos sviluppano queste indicazioni nella bioenergetica e corenergetica. Questa tecnica corporea le sembra superata o ancora attuale?  

F: la trovo attualissima e d’avanguardia, introducendo un’equazione su cui ho fondato l’evoluzione del modello della nostra Scuola S.I.A.R.: fase evolutiva - tratto di carattere - livello corporeo delle relazioni oggettuali. Se noi facciamo questo introduciamo la freccia del tempo e della storia, coniugando il lì ed allora con il qui ed ora nella sua tridimensionalità. Possiamo articolare così una progettualità analitico-terapeutica più esatta e mirata funzionalmente sul livello corporeo, sul tratto di carattere, sul tempo di fase e sulla controtransferalità più congrua ed idonea per un’alleanza ed uno sviluppo sostenibile e neghentropico della relazione.

S: questo mi sembra straordinario.

F: straordinario, ne sono completamente innamorato ma anche certo; ho la conferma di questo ogni giorno da anni.

S: attraverso l’esperienza clinica?

F: sì. Quando parliamo, per esempio, di una relazione oggettuale intrauterina difettuale, noi parliamo praticamente di un disturbo borderline o di un disturbo psicotico, nonché di un ben preciso livello corporeo interessato: l’area ombelicale, che ho chiamato l’area della prima grande bocca per la sua oralità primaria. Il corpo è il più grande scrigno diagnostico che noi abbiamo, da leggere ed interrogare scoprendone l’immenso senso intelligente implicito! E abbiamo la possibilità di intervenire intelligentemente ed attivamente, per porci in nuove condizioni di stati d’energia, ma anche in nuove e possibili relazioni d’oggetto parziali ed intere.

S: io sono esterrefatto, da cultore della materia, da quello che mi sta dicendo, anche perché sono più di orientamento Core energetico, nemmeno Bio energetico, non conosco così approfonditamente la tecnica degli acting, come me la sta descrivendo lei nell’evoluzione di oggi.

F: gli acting sono gli ascensori del tempo interno, sono movimenti ontogenetici e quando li proponiamo sono molto precisi e neghentropici. Sono interessati tutti e 7 i livelli corporei, nella loro puntualità evolutiva di fase e di tratto, all’interno di una cornice relazionale fondata sull’accoppiamento strutturale, di tratti e livelli corporei, transferali e controtransferali, della relazione analitico-terapeutica. Sono anch’essi spalmati sulla freccia del tempo del paradigma reichiano, in quanto arrivano alcuni direttamente da Reich, altri da Ola Raknes e Federico Navarro, altri ancora da noi-S.I.A.R., c'è una storia documentata, di quattro generazioni di analisti, sugli acting.

S: all’epoca di Reich non si dava ancora grande importanza al controtransfert, all’ascolto somatico delle sensazioni interne del terapeuta come strumento per comprendere la psicologia caratteriale del paziente o anche per leggere un momento particolare dell'interazione bi-personale, nel corso della seduta. Secondo lei il terapeuta si ascolta e si mette in gioco nel corpo includendo nel processo terapeutico le sue caratteristiche personali, anche quelle non integrate?

F: se non lo dovesse fare sarebbe meglio che facesse un altro mestiere!

S: mi aspettavo questa risposta.

F: mi permetto di dire che ho definito il controtransfert di tratto ed il controtransfert di livello corporeo corrispondente, all’interno di un filo rosso epistemologico ad alta coerenza; non poteva essere altrimenti sulla scorta dell’analisi del carattere. Le posizioni controtransferali di tratto e livello corporeo muovono l’altro dai suoi tratti – livelli e si presuppone che io debba leggere, rispettare, sentire e vedere l’altro modulandomi nella mia flessibilità, per rendere possibile un contatto, per muovere l’altro dalla sua posizione.

S: fantastico, lo trovo molto interessante.

Per Reich e per Lowen vi sono persone che raramente sono in grado di protestare o di arrabbiarsi per qualcosa. Sovente sorridenti e gentili, chiedono poco, lavorano molto, salvo poi lamentarsi per la mancanza di piacere o di attenzione nei loro confronti. Da adulti sono ancora molto legati ai propri genitori, fisicamente sono descritti come grossi, tarchiati, pesanti. Il masochismo caratteriale era approcciato da Reich e anche da Lowen con particolari tecniche. A lei un corpo con sensazioni energetiche masochiste che effetto fa, come ci lavora?

F: il masochismo nelle sue molteplici declinazioni lo conosco bene, è l’interfaccia del narcisismo. Bisogna averne esperienza per sapere che non è come dicono loro.

Quello che hanno inquadrato, sia la psicoanalisi classica, che Reich e Lowen, è il carattere anale o coatto-muscolare, scambiandolo con il masochismo: questo è un tipo di masochismo. Il masochismo in realtà è in asse verticale e può esserci fin dall’inizio, nella possibilità del tempo intrauterino, poi a seconda della finestra che si apre orizzontale, sulla freccia del tempo evolutivo, si rappresenterà. Quindi può esistere anche un masochismo primario intrauterino: il bambino potrebbe imparare presto a sostenere la madre già durante la gravidanza, ed è già un bambino che potrebbe rinunciare ad esprimere l’adgredior, ma questo prototipo andrà a infiltrare i tratti possibili e successivi. Cambio mestiere se non è così! Poi possiamo incontrare il masochismo in fase oro labiale e ancora dopo quello individuato classicamente con il complesso d’Atlante, in fase coatto-fallica. I livelli corporei interessati sono proprio differenti in ciascun tipo di masochismo!

S: questa lettura del masochismo è per me affascinante, non l’avevo mai udita prima, straordinaria.

F: ci sono tante cose nuove. I grandi analisti che ci hanno preceduto non avevano ancora la lettura dell’intrauterino per una nosografia più completa: il post-partum arriva da un pre-partum. Per tornare al masochismo, quello della posizione coatta, è quello classico, quello più riconoscibile. In più, spesso c’è una confusione tra una depressione maggiore e un tratto masochistico, non sono proprio assimilabili!

S: è un po’ come dire che il masochismo coincide con degli atteggiamenti simbiotici, quello che lei dice sull’intrauterino?

F: si, ma è ancora di più, perché considero economica e vitale la necessità di un feto o di un embrione di iniziare uno schema di relazione masochistico-narcisistica, perché se dovesse nascere in quel tempo morirebbe, per cui si ha un’angoscia di morte reale quale substrato dello schema: sostenere la madre per sopravvivere!

Questo schema verrà facilmente reiterato anche nel post-partum, quando separarsi non sarebbe presagio di morte, ma il ricordo nella memoria implicita continua a sostenere lo schema.

S: quello che mi sta dicendo è così illuminante, sto pensando a Mauro Mancia, quando parla di memoria implicita.

F: il corpo offre supporto alle neuroscienze ed alla psicoanalisi, collegando questi due mondi straordinari.

S: lei parla di memoria procedurale, inconscio che non esiste, non c’è la maturazione cerebrale; come si fa a togliere uno script di questo tipo dalla mente della persona?

F: quando gli occhi vedono finalmente, si raccorda l’Es, con gli acting e la relazione terapeutica, alla corteccia prefrontale in modo implicito ed esplicito. L’inconscio è nel corpo, nella storia dei segni incisi depositati dalle nostre relazioni oggettuali, nella periferia e nella centralità del Sé, ed ancora è nel dialogo intersoggettivo della relazione analitico-terapeutica, l’inconscio c’è sempre, non è altro da, così come il corpo, non è altro da noi.

Il punto è che non ne siamo consci o meglio consapevoli.

S: molto illuminante. Tornando al transfert negativo, Reich sosteneva che una particolare resistenza del paziente era al terapeuta stesso, responsabile di minacciare il suo equilibrio, faticosamente raggiunto. Reich suggeriva di chiedere al paziente di comunicargli tutti i pensieri negativi nei suoi confronti. Ma occorre essere così diretti con il paziente?  

F: il transfert negativo e il transfert positivo in analisi reichiana sono di tratto ed emergono dalla specificità dell’accoppiamento strutturale della relazione analitico-terapeutica. Se noi abbiamo, per esempio, un tratto orale dipendente di personalità, è facile che si manifesti un transfert positivo, ma sotto c’è stratificato probabilmente un trasfert negativo, perché quella persona non si può permettere un’aggressività espressa diretta. La sua aggressività potrà evolvere se i tratti dell’analista si articoleranno funzionalmente a tale espressività. Ho fatto un esempio elementare ma spero chiaro. Noi dobbiamo essere funzionali alla persona che abbiamo davanti e la dobbiamo accompagnare ad una alleanza terapeutica, sapendo bene che potremmo essere minacciosi perché leggiamo e metacomunichiamo.

S: metacomunichiamo?

F: si, la metacomunicazione è analisi del carattere e, se mi concedi un guizzo, fare analisi del carattere della relazione è meta-metacomunicare.

S: non abbiamo sempre bisogno di parole, non abbiamo bisogno di interpretare la resistenza sempre mi sta dicendo?

F: certamente, abbiamo bisogno di leggere che cosa sta capitando, sapere dove sono, dove è, dove siamo, è analisi del carattere delle relazioni. La relazione è un sistema vivente, con questa affermazione e ovviamente con un articolo, fui richiesto come membro dell’ Accademia delle Scienze di New York nel ’99. E’ un terzo sistema tra me e l’altro e risponde anch’esso ad una lettura di tratto di carattere: noi possiamo avere nel setting cioè, una relazione orale, una relazione muscolare, una relazione intrauterina, risultanti dall’accoppiamento strutturale tra l’analizzato e l’analista.

S: grazie. Il contatto fisico è un elemento centrale nella terapia corporea, eppure per molti altri orientamenti esso non è ammissibile, oppure estraneo al metodo. I terapeuti reichiani o bioenergetici vengono preparati a tale pratica, nel rispetto del confine terapeutico. Nella sua esperienza i pazienti come reagiscono a tale modalità, vi sono benefici o più rischi o controindicazioni?

F: il contatto è possibile solo se è funzionale alla relazione, alla persona che ho davanti, alla sua combinazione di tratti e soprattutto ad un suo eventuale disturbo: in una situazione psicotica non posso toccare il paziente, perché debbo tener conto dell’interazione di campo energetico e, a meno che non governi in eccellenza il mio controtransfert, il rischio di insostenibilità dell’altro è altissimo. Così non è per esempio nei temi affettivi o ancora diversamente per i tratti pervasi di aggressività: Il rispetto dell’altro è fondamentale. Nel tema del contatto è implicito il come ed il tema della distanza: Quanta? Quale? Quando?

S: ora una domanda sugli esiti della terapia corporea: nonostante gli sforzi di entrambi talvolta essa arriva ad un punto morto o non procura beneficio. Sono state provate diverse modalità, esplorate le dinamiche, il transfert e il controtransfert, ma la situazione non ha dato gli esiti che pure si potevano attendere. Esistono secondo lei altre dimensioni per spiegare gli insuccessi, ad esempio la mancanza di volontà profonda, l’assenza di una comprensione non solo analitica dei propri processi vitali (il paziente è, per così dire, grossolano), o si dovrebbe smettere di ragionare in termini di risultati?

F: quando c’è uno stallo in terapia, è indicatore di uno stallo dell’accoppiamento strutturale, tra i tratti dell’analista e i tratti dell’analizzato: bisogna andare in supervisione, lavorare sull’analista, per poter riavere una propulsione neghentropica possibile sull’analizzato. È la mia specialità lavorare con acting corporei di Vegetoterapia sull’analista, per il caso specifico portato in supervisione, per poterlo muovere dalla fissità o meglio dalle resistenze del carattere della relazione. Formo supervisori in corsi quadriennali in varie parti del mondo.

S: la mia domanda era volutamente provocatoria, la maggior parte dei terapeuti risolvono la questione dicendo: - non ha volontà, non vuole cambiare - lei mi insegna invece che bisogna vedere il lavoro della coppia.

F: ho troppo rispetto per il paziente e per l’intelligenza della vita, mi piace trovare il senso delle cose in un’ottica neghentropico-sistemica complessa e mi metto dalla parte dell’altro, del paziente e non mi piace neanche chiamarlo paziente, è una persona, è una persona. Punto! E allora qual è la parte dell’analista nello stallo?

S: la ringrazio molto. Un’ultima domanda prima di concludere. Nel 1936 Rosenzweig parlò della teoria del Verdetto del Dodo: tutti hanno vinto, tutti devono ricevere un premio, intendendo con ciò che a prescindere dalla specifica terapia, un paziente ottiene miglioramenti per il solo fatto di avere qualcuno con cui parlare dei propri problemi. Sarebbe come dire che la psicoterapia riguarda prevalentemente l’esistenza di persone che sono state formate a fare bene o meglio, ciò che molte persone sanno già fare spontaneamente, ovvero essere di conforto ad altre. È così anche secondo lei? Quali sono le peculiarità della tecnica corporea? 

F: non sono d’accordo su questo, che diventa un accoppiamento strutturale per così dire caotico e occasionale, che può esserci nel novero delle possibilità di qualsiasi incontro.

Ritengo che possiamo fare semplicemente molto di più, leggendo la relazione, la sua intersoggettività cognitiva, emozionale, corporea, energetica, di tratto, così da poter inserire gli occhi su di essa, farla uscire dalle leggi del caos, fare ordine intelligente, avere consapevolezze ed assumersi responsabilità, per condurre delle buone analisi.

Non siamo tutti uguali, ritengo che esistano delle differenze di complessità nella comprensione e nel rispetto dell’altro, nei modelli e nei paradigmi.

S: ok, e quali sono le peculiarità della terapia corporea in questo caso?

F: la terapia corporea prende atto del corpo, che è sempre presente in qualsiasi psicoterapia. Se si prende atto di questa presenza straordinaria, di questo bagaglio, di questo scrigno intelligente in cui c’è depositato tutto e tutta la storia, dal big-bang alla corteccia prefrontale, di questo libro incredibile, un grande manoscritto, allora l’intelligenza diventa meta, perché ricombina il sentire e il vedere, l’intelligenza del solo futuro possibile. La presenza del corpo è bene metterla dentro, leggerla, includerla, il corpo ci offre sempre una ricetta, una linea guida. La terapia corporea non è che sia la migliore, non sto parlando di meglio o peggio, sto parlando di probabilità, di probabilità di avere più informazioni per fare meglio una grande professione.

S: più informazioni per fare meglio il mio mestiere, il corpo c’è, perché escluderlo?

F: certo, lo includiamo attraverso un alfabeto, una grammatica chiara, ad alta coerenza epistemologica. E’ un mondo straordinario che ha bisogno assoluto di metodo.

S: bene, penso che abbiamo esplorato tutti gli argomenti dell’indagine. Le chiedo infine di dirmi se c’è qualcosa che lei vuole aggiungere a quanto detto finora.  

F: no. Siamo andati su emozioni libere, associazioni libere, a sentire libero, a pensare libero e va bene così. 

 


 

[1] Questa intervista è un capitolo della tesi di specializzazione di Nicola Sensale in Psicologia Clinica presso l’Università di Aosta

 

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