LA VITA INVISIBILE DI EURÍDICE GUSMÃO
regia di Karim Aïnouz -Brasile 2019
a cura di Luisa Barbato[*]
La vita invisibile di Eurídice Gusmão è il bellissimo film brasiliano di Karim Aïnouz, adattamento dell’omonimo romanzo della scrittrice e giornalista brasiliana Martha Batalha. Il film è arrivato nelle sale italiane nel settembre dello scorso anno dopo aver vinto il premio come miglior film nella sezione “Un certain regard” del festival di Cannes. Ha avuto anche la candidatura agli Oscar per il Brasile come miglior film straniero ed è stato designato miglior film dal Sindacato nazionale dei critici italiani.
Siamo nel Brasile degli anni cinquanta, in una famiglia tradizionale in cui vivono due sorelle molto somiglianti e insieme molto diverse, per questo unite da un forte legame e dalla vicinanza di età: Eurídice (una strepitosa Carol Duarte), ha 18 anni e Guida (un'altrettanto brava Julia Stockler) ne ha 20. Eurídice è più tradizionale e riservata, ha la passione della musica e sogna di diventare una grande pianista. Guida è più estroversa e sogna il grande amore che la porti via da casa per una vita fuori dai canoni. Entrambe vivono in una cultura patriarcale personificata da un padre tirannico e tradizionale, cui si affianca una madre debole e succube delle scelte del marito. Entrambe si scontreranno con i vincoli e i limiti imposti da questa cultura, pur sognando di seguire i propri desideri e aspirazioni.
Il film segue la vita delle due donne per un cinquantennio, fino ai giorni nostri, in parallelo alle trasformazioni economiche e culturali del Brasile, tracciando un affresco dell’evoluzione di una cultura e delle sue ripercussioni sulla vita delle donne, per diventare una riflessione sulla condizione della donna nel Paese.
Eurídice non ha il coraggio di ribellarsi e cerca di incarnare le aspettative dei genitori nel ruolo di moglie-madre apparentemente sottomessa alla tradizione maschilista borghese, nella speranza di portare avanti la carriera di pianista, ma anche questa realizzazione le sarà alla fine negata. Guida, più esuberante, si affida con totale passione amorosa a un marinaio greco, ma presto sarà abbandonata dopo essere stata messa incinta, secondo un cliché purtroppo diffuso all’epoca. Per questo viene ripudiata dal padre e separata per sempre dall’amata sorella. Faticosamente trova un suo percorso, lavora come operaia, forma una famiglia alternativa e proletaria, ma per essere finalmente libera paga il prezzo di dover sparire, seppellendo il proprio nome.
Le due sorelle non si incontreranno mai più, ma tra di loro rimarrà una comunicazione intensa, più simbolica che reale, tramite un epistolario a voce unica che scandisce le tappe e i tempi della storia, quasi un legame fantasmatico. Guida continuerà per tutta la vita a scrivere a Eurídice, pur non ricevendo mai risposta, Eurídice telepaticamente le risponderà con i suoi amorevoli pensieri, e tutto il percorso delle due vite sarà raccontato, sognato, immaginato.
La regia di Aïnouz è quasi fisica, piena di naturalismo e al tempo stesso di simbologia. Le immagini sono sature di colori, secondo la bellissima fotografia di Hélène Louvart, la natura lussureggiante è incombente, profonda e minacciosa al tempo stesso, come i vincoli sociali che opprimono le due sorelle. È un Brasile pieno di contraddizioni, allora come adesso, con una società urbana rigida e classista, ma anche piena di solidarietà sociale e di sopravvivenza nelle classi più povere. Il Cristo Redentore del Corcovado è l’unico elemento riconoscibile della città di Rio, è una figura lontana, appena visibile, di spalle, come a simboleggiare la possibilità lontana di una redenzione anche nel Brasile della deriva autoritaria e regressiva di oggi.
A tratti il film ricalca lo stile narrativo mélo della fiction televisiva, soprattutto nel finale di molti decenni dopo, quando la saudade riempie gli occhi profondi di Fernanda Montenegro, nei panni di una Eurídice ormai anziana, icona novantenne del cinema e della tv carioca. Per un’ennesima svolta del destino, Eurídice ritrova finalmente la sua Guida, ne ricostruisce il percorso e la rievoca di nuovo giovane, battagliera, autonoma, con una vita da costruire, con i sogni ancora da realizzare, così come si era aperto il film nel calore equatoriale della natura delle colline di Rio.
Come molte pellicole di valore, il film può essere letto secondo diversi registri narrativi. Più epidermicamente abbiamo una vicenda a tratti mélo, con i suoi drammi familiari e la prevalenza di sentimenti intensi. La storia attraversa poi gli ultimi decenni del Brasile, con le sue contraddizioni, le rigide divisioni di classe e la complessità di una società composita e multiculturale. Ma esiste anche una riflessione sulla società patriarcale tradizionale e sulla condizione della donna. Questa riflessione è amara e quasi senza speranza. Le due sorelle, pur così diverse nei loro temperamenti, sono destinate a una disillusione delle loro aspirazioni. Sia che si segua la strada dell’adesione, o forse sarebbe meglio dire della sottomissione, alle regole sociali sia che si scelga la ribellione alle stesse regole, il destino rimane molto simile: l’impossibilità a realizzare i propri desideri, l’imposizione di regole rigide e violente che negano la soggettività femminile.
Ci sono tuttavia delle differenze, o forse delle gradazioni, in queste negazioni. Nelle classi sociali più povere esiste una certa solidarietà, soprattutto tra donne, che permette di affrontare le difficoltà e l’abbrutimento di una vita fatta prevalentemente di sopravvivenza. Questa solidarietà restituisce dignità e fierezza alle donne, che vivono e condividono, anche quando il sistema sociale richiede l’annullamento della propria identità come accade a Guida. Dall’altra parte, il sistema borghese rampante, a cavallo tra tradizione maschilista e sviluppo economico, trova sistemi più sottili, ma comunque annichilenti della dignità femminile, che non permettono la realizzazione delle proprie aspirazioni, come accade ad Eurídice.
Nel Brasile attuale, quello mostrato nell’epilogo del film, tutto questo appare superato, ma rimane comunque nel retroterra come sfondo arcaico di una cultura, delle sue radici. Lo sviluppo economico mette solo una patina e spesso dà un’illusione di emancipazione femminile, ma le spinte profonde legate ad istinti antichi e alle culture tradizionali rimangono presenti, seppellite nell’inconscio, come le tante storie, purtroppo ancora attuali, di femminicidio continuano a testimoniare nel nostro Paese.
Le storie di Eurídice e Guida sono le storie di tutte le donne, della condizione femminile che rimane ancora terribile in moltissimi Paesi del mondo e in parte anche nei nostri Paesi sviluppati e apparentemente più civilizzati.
[*] Psicoterapeuta, analista S.I.A.R., vice Presidente SIPAP. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. indirizzo professionale: Via Valadier,44-Roma