Numero 1/2021

NOMADLAND

                                                                      di Chloé Zhao USA, 2020

 

a cura di Luisa Barbato[*]

 

     Nomadland è un film pluripremiato: ha vinto il Leone d'Oro al festival di Venezia del 2020, i Golden Globes 2021 per miglior film drammatico e miglior regia, gli Oscar 2021 per miglior film, regia e attrice protagonista. 

     Pur occupandosi di realtà di provincia, si tratta di un curioso mix internazionale: la regista, Chloé Zhao, è cinese, la protagonista, Frances Mcdormand, è francese, l’ambientazione è americana.

     Racconta la storia di Fern, una donna di mezza età rimasta vedova che, a una vita sedentaria e stabile, ne preferisce una lungo la strada, vivendo nel suo camper e spostandosi di città in città. Nel suo peregrinare incontrerà molti che vivono come lei, per scelta o per necessità o per entrambe, sono i nuovi nomadi d’America.

     La personalità di Fern è al limite, marginale, al di fuori di ogni schema precostituito, una personalità che non trova casa nell’America contemporanea. Allo stesso tempo è proprio questa marginalità, questa mancanza di radici o di riferimenti certi che rappresenta il sottofondo dell’America contemporanea smarrita, senza certezze, senza radici culturali ed economiche. E ad esprimere tutto questo sono soprattutto le minoranze, gli emarginati e i nuovi poveri che, dopo la crisi economica del 2008 e il crescere della pressione migratoria,  costituiscono una parte non più tanto minoritaria del Paese. È la sintesi degli Stati Uniti d’America dove i nuovi poveri non sono più solo le minoranze etniche o razziali, ma anche i bianchi di mezza età, ex borghesi tagliati fuori dalla crisi economica, che scelgono di rimanere autonomi reinventando lo spirito tradizionale del Paese ossia il viaggio alla scoperta di nuove terre, la ricerca del selvaggio West. Non ci sono più cavalli e carovane, ma camper e furgoni a fare da casa a una vita nomade.

     Si potrebbe quasi pensare a un western moderno, ma lo stile narrativo è diverso, le storie dei nomadi attuali sono raccontate in modo semplice, quasi casuale, evitando scene drammatiche o vittimistiche perché tutti abbracciano l’idea di aver scelto quella vita, ne sono in qualche modo fieri o forse hanno voluto dimenticare di esserci stati costretti. Questo coinvolge molto lo spettatore che non può fare a meno di empatizzare con la solidarietà, condivisione e spirito di comunità di queste persone. Un inno al saper fare del proprio meglio anche quando non si ha più niente di materiale e non si vedono prospettive per il futuro, al saper chiedere aiuto e, al contempo, saperlo dare.

IMG recensione film Nomadland 1Immagine dal film "Nomadland"     Frances Mcdromand ha completamente meritato l’Oscar, riesce a restituire tutte le incertezze e le sfumature di un’esistenza precaria, ma senza curarsi della stabilità, anzi è un personaggio quasi austero nella sua riservatezza e autonomia, a tratti rasenta l’integralismo. Fern sembra quasi incapace di provare emozioni e in ogni caso decisa a non cogliere le opportunità di fermarsi in una vita più stabile che pure le vengono offerte. In questo ritratto di donna orgogliosa e solitaria si legge la mano femminile della regista. Non ci viene data risposta se Fern sia così per sua propria natura o perché indurita dalle avversità della vita, in particolare la morte dell’amato marito. Ma in fondo che importa stabilirlo, si intuisce un cuore tenero, gentile con il prossimo, che si è chiuso nel tempo per il dolore e forse anche la paura di una vita così precaria.

     Tutto questo non colpirebbe così tanto lo spettatore se non ci fossero a fare da contorno paesaggi spettacolari, immagini di rara potenza e silenzi contemplativi nei quali smarrirsi. Perché uno dei premi per questa vita incerta è il ritorno alla natura ossia i  vasti orizzonti dell’America, soprattutto  gli Stati Uniti occidentali; Nevada, Idaho, New Mexico, California. mirabilmente colti dal direttore della fotografia, Joshua James Richards, che cattura l’aspra bellezza degli stati del Midwest. A volte il film sembra un tour in un altro pianeta deserto, specialmente quando si dirige verso il parco nazionale delle Badlands nel Sud Dakota. In più, a fare da sottofondo alle immagini ci sono le musiche di Luigi Einaudi che come sempre ci arrivano dritte al cuore.

     Forse con questa perfezione evocativa delle immagini, con i tanti tramonti e con la musica di Einaudi, il film strizza un po’ l’occhio a un gusto più commerciale, più semplice da vendere, ma il pacchetto finale comunque coglie nel segno.

     Si potrebbe anche osservare che il film abborda solo marginalmente le questioni di critica sociale che inevitabilmente la vita di questi nomadi moderni richiama. Tutto questo è la sintesi di una società produttiva spinta oltre i limiti, di tutte le battaglie dei lavoratori perdute, degli unici lavori possibili che sono quelli precari e stagionali, e infatti l’unico lavoro stagionale che Fern ottiene è in un magazzino Amazon al cui interno la regista è stata miracolosamente autorizzata a filmare. Ma forse il film vuole solo raccontarci che, di fronte al fallimento di un capitalismo sempre più esasperato, la possibile soluzione è il ritorno allo spirito libero e nomade dei pionieri d’America, ossia alla radici storiche e culturali del Paese. 

[*] Psicoterapeuta, analista S.I.A.R., vice Presidente SIPAP. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

Indirizzo professionale: via Valadier, 44. 00193 Roma.

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