Numero 1/2022

 

PSICOLOGIA CORPOREA E ARTE

Una lettura reichiana

 

BODY PSYCHOLOGY AND ART

A reichian reading

DOI:  10.57613/SIAR19

 

Marika Bertuccioli[*]

 

 Abstract

     Attraverso i corpi rappresentati nelle opere d’arte indagheremo i livelli corporei della relazione e che cosa essi ci raccontano della storia di vita di chi li ha creati, in una prospettiva psicosomatica complessa che appartiene alla visione analitica reichiana. La psicologia corporea analizza la storia della persona con uno sguardo integrato sulla mente, le emozioni, il corpo e l’ambiente. Come la mente, anche il corpo ha una memoria che contiene le tracce di vissuti e relazioni. L’arte è una delle dimensioni comunicative ed espressive analogiche per eccellenza e una creazione artistica è capace di parlarci della vita stessa del suo autore.

Parole chiave 

      Psicologia corporea - corpo - mente - livelli corporei – arte – relazioni – storie di vita – analisi reichiana  - opere d’arte

 

Abstract

     Through the bodies represented in the artworks we will investigate corporeal levels of the relationship and what they tell us about the life story of those who created them, in a complex psychosomatic perspective that belongs to the Reichian analytic vision. Body psychology analyzes the person's history with an integrated look at the mind, emotions, body and environment. Like the mind, the body also has a memory that contains the traces of experiences and relationship. Art is one of the communicative and expressive analogical dimensions par excellence and an artistic creation is capable of telling us about the very life of its author 

Key Words

        Body psychology - body - mind - corporeal levels - art - relationships - life stories - reichian analysis – artworks.

 

      Che cosa ci direbbero le opere d’arte se potessero parlare? Quale storia ci racconterebbero? I ricordi di vita sono conservati nella mente a partire dal terzo anno di età, ma il corpo umano custodisce la storia dell’individuo sin dal concepimento. Il corpo è il luogo dove si inscrivono le relazioni vissute nel tempo. Queste sono le storie che ci raccontano i corpi rappresentati nelle opere d'arte.

     Oggi noi analisti post-reichiani[1] lavoriamo come psicoterapeuti clinici basandoci sulla complessità dell’individuo, che comprende una visione integrale e integrata della persona: biologica, psicologica, relazionale, sociale. La corporeità così intesa è produttrice di sensi e significati ed è anche contenitore e memoria che raccoglie accadimenti fin dai primi momenti di vita. I livelli corporei sono i luoghi periferici che contengono e portano questi imprinting che denominiamo segni incisi. I segni incisi sono le impronte delle relazioni e delle emozioni che abbiamo vissuto fin dal concepimento. E così il nostro corpo parla di noi ancor prima dell’arrivo del linguaggio verbale. Le mamme che vivono un buon contatto con se stesse e con gli altri, già durante la gravidanza riescono a sentire e ad intuire il temperamento e le reazioni del figlio/a in arrivo, che calcia frequentemente o al contrario se ne sta tranquillo/a[2] senza quasi farsi sentire. Ma di preciso, dove rimane il ricordo, l’impronta, il segno inciso di quella relazione? Andiamo a cercarlo nel corpo. E facciamolo attraverso una delle dimensioni comunicative ed espressive analogiche per eccellenza: l’ARTE.

 

Vitruvio full color

 

     Le zone colorate sul corpo dell’Uomo Vitruviano di Leonardo Da Vinci (1490 ca.) ci mostrano i livelli corporei identificati da Reich:

I° livello: occhi (orecchie e naso);

II° livello: bocca;

III° livello: collo;

IV° livello: torace e braccia;

V° livello: diaframma;

VI° livello: addome;

VII° livello: pelvi e gambe.

Donna incinta ChagallDonna incinta - M. Chagall     

     Ogni livello (o segmento) comprende gli organi di quel determinato distretto corporeo e la loro funzionalità. Questa funzionalità del sistema di organi di ogni livello è collegata a una fase evolutiva: ciascuno di essi ha un suo linguaggio all’interno dello sviluppo dell’individuo. La nostra storia inizia con la nostra vita intrauterina: siamo contenuti nella pancia delle nostre madri. Ed è proprio il VI livello, quello addominale, il primo ad accogliere le tracce di quella prima relazione. È questo aspetto che andremo ad esplorare in questo articolo, quello dei vissuti in fase intrauterina, ricordando che gli esiti complessi della vita non possono essere letti solo sulla base di un unico fattore, per quanto importante esso non può essere staccato dalle successive fasi dello sviluppo.

     Entriamo nel vivo del nostro discorso. Senza pensare al significato delle opere, proviamo a fermarci ed osservare due dipinti: quali sensazioni, emozioni e pensieri ci arrivano?

     Ipotizziamo di stare guardando due storie di vita. L’utero e il bacino della madre sono il primo luogo che ci contiene e ci protegge. Grazie alle nuove tecnologie a disposizione noi ora sappiamo quasi tutto di quello che succede durante la gestazione, ma ciò che l’immagine artistica riesce a fare, a differenza di un’immagine ecografica, è farci percepire un vissuto emozionale.   Ciò che succede in questo primo periodo di vita è stato tralasciato spesso anche dalla psicoanalisi: si è passati dal desiderio di diventare genitore all’attesa di vedere il neonato, alla nascita. Ma il bambino dentro la pancia, è già un essere vivente, esiste. E sebbene ancora in formazione, sente e porta in sé tracce di quel periodo. Sono memorie biologiche, sensoriali, analogiche, corporee.

     Lasciamoci attraversare dai colori e dalle forme dei due dipinti: è opinione di chi scrive che la prima opera richiami un senso di vitalità, che possa parlare di un pieno, di emozioni positive e di un senso di fiducia. Si è raggiunti da una bella e luminosa forza espressiva della relazione oggettuale primaria.

     La seconda opera invece, con i suoi colori cupi e quelle forme umane ripiegate su se stesse, può farci arrivare un senso di angoscia, di sofferenza, di solitudine, di paura, di vuoto, di ineluttabilità. Possiamo provare anche a immaginarle come due stati successivi: forse un evento improvviso arriva a turbare una precedente quiete, forse la mamma cade, ha una minaccia d’aborto, subisce un incidente o un importante stress emotivo. Se invece le consideriamo rappresentazioni di due vissuti differenti, potremmo ipotizzare essere l’incipit di due storie che avranno esiti diversi anche nella costruzione dell’identità e delle relazioni future del bambino. In situazioni di eccesso, troveremo individui che fanno fatica a staccarsi da quel cordone ombelicale perché uniti da un legame materno troppo bello oppure troppo soffocante. In situazioni di difetto, individui che non riescono a separarsi per paura di morire, di trovarsi in pericolo o di non farcela da soli.

 la madre mortaLa madre morta - E. Schiele    Possiamo definire la zona ombelicale come la prima grande bocca, in quanto veniamo nutriti per quasi nove mesi attraverso il cordone. Quanto nutrimento ci arriva? Che qualità ha quel nutrimento? È solo una questione fisiologica o porta con sé un correlato emotivo? Attraverso i colori, le forme e il come i soggetti sono rappresentati in queste due opere d’arte, nel primo caso possiamo pensare a una gravidanza florida e in buona salute, con un nutrimento biologico ed emozionale che dona vitalità ed energia al bambino che verrà e nel secondo una situazione più difficile, di sofferenza della coppia madre-bambino, che in qualche modo lascerà traccia di sé proprio a partire da quella prima zona ombelicale. I due dipinti sono rispettivamente La donna incinta di Marc Chagall (1913) e La madre morta di Egon Schiele (1910).

     Ognuno di noi osservandoli reagirà e sussulterà diversamente, non solo in relazione e reazione all’espressione figurativa in sé per sé, ma anche rispetto alla nostra stessa storia di vita, che influenza e condiziona la soggettiva sensibilità rispetto alle due immagini. Esse risuoneranno dentro di noi a seconda della nostra esperienza intrauterina, delle emozioni materne in gravidanza, dell’atmosfera e delle aspettative e desideri presenti quando siamo venuti al mondo. L’esperienza di fruizione di un’opera d’arte è quindi influenzata dai nostri vissuti personali e lo stesso possiamo dire dei processi psicologici che operano nella sua produzione.

     Apriamo una finestra sulle vite dei due artisti: appaiono due vissuti diversi della vita intrauterina. Sappiamo che il giorno in cui nacque Marc Chagall (il cui vero nome in ebraico è Moishe Segal, 1887-1985), primogenito di nove figli, il suo villaggio fu incendiato e mamma e figlio furono portati via in fretta. “Io sono nato morto” scrisse l'artista. “Si dovette pungere il neonato con gli aghi e tuffarlo nell'acqua fredda perché emettesse un flebile pigolio”. Eppure, nonostante questo allarme al momento del parto, possiamo ipotizzare una buona densità relazionale di quel primo periodo intrauterino. La guerra, la paura, lo spavento, la minaccia alla vita, sono eventi che misero realmente in pericolo la vita del piccolo Chagall al momento della nascita, che tuttavia fu salvato dall’incendio e da un abbassamento dell’energia vitale. Le evidenze successive confermano che la sua vitalità fu ristabilita: egli riuscì a perseguire il suo sogno di diventare artista nonostante la religione ebraica e la famiglia lo vietassero, una realizzazione che può essere letta come espressione di una forza interiore che gli permise di continuare a generare le bellissime opere che conosciamo nonostante i continui viaggi e spostamenti e la partecipazione attiva alla rivoluzione russa. In termini psicologici analitici reichiani possiamo definire questa forza dell’Io come una buona densità e spessore energetico del suo Sé che derivano da quell’antica e significativa relazione primaria con la madre. Un legame strettissimo e vitale, che rimane inciso nel sesto livello corporeo, l’addome. Un rapporto consolidato e rafforzato da una prima infanzia relativamente serena, là in quella amata terra natìa che dovette lasciare ma che sempre continuerà a conservare nel cuore, nell’anima e nelle sue opere. Quella stessa terra dove incontrò anche il grande amore che poi diventò sua moglie. Rintracciamo inoltre ne La donna incinta un concetto generativo più ampio che possiamo dedurre dal vestiario della donna rappresentata in abiti tradizionali russi. La donna diventa il simbolo della patria dove l’artista è nato, che Chagall porterà sempre nel suo cuore e dalla quale non si staccherà mai nonostante i tanti anni trascorsi lontano. La prospettiva si amplia e diventa bio-psico-sociale: il legame materno della diade madre-bambino, che comunica psicologicamente ed emozionalmente attraverso il corpo e la biologia è quindi inserito in un campo relazionale più ampio, quello di un dato sistema sociale e culturale, con la quale la madre è già in interazione e che influenzerà, con usanze-tradizioni- credenze la sua relazione con il figlio. Successivamente, in un’altra fase dello sviluppo, il bambino entrerà in relazione direttamente con l’ambiente sociale stesso e la reciprocità di questo incontro sarà in parte anche già influenzata da quella primissima relazione materna.

madre cieca hiLa madre cieca - E. Schiele

     Egon Schiele fu un pittore e un incisore austriaco (1890-1918), uno dei massimi esponenti del primo espressionismo viennese, un talento precoce con una produzione numerosissima di opere. Egli morì molto giovane, a soli 28 anni. Egon fu il terzo di quattro figli, unico maschio. Quando si parla della sua infanzia spesso viene ricordata la malattia mentale del padre e poi la sua perdita a causa della sifilide quando Schiele aveva 15 anni.  È stata rintracciata da molti critici una correlazione tra il tormento e l’angoscia per la perdita del padre e l’influenza che ne ebbe sulla sua rappresentazione dei corpi, dei nudi e della sessualità. Ma fu davvero solo il rapporto con il maschile a condizionarne l’opera? Quale fu la sua relazione oggettuale primaria? Di quali emozioni e di quali colori si può immaginare imprintato nel livello addominale quel primo rapporto con il materno? Forse non lo sapremo mai, ma possiamo fare alcune congetture derivandole dal vissuto relazionale che segue: sappiamo che il rapporto tra Schiele e sua madre era conflittuale. In una loro corrispondenza leggiamo: “Quanti soldi sperperi... Hai tempo per tutto e tutti... solo per tua madre non ne hai! Dio ti perdoni, io non posso... Chi cambia così i suoi sentimenti... maledizione lo colpisca e la maledizione di una madre resta per sempre...". Schiele rispose: "Cara madre! Ammetto tutto […] Dal niente, senza l'aiuto di nessuno, ho creato la mia esistenza...". Senza l’aiuto di nessuno risponde Schiele, senza l’aiuto della madre, traduciamo noi.

Progetto_senza_titolo_7.pngGestante e morte - E. Schiele     Anche nel quadro Gestante e morte (1911) una donna incinta è collegata alla morte, in netto contrasto rispetto alla connessione evocata in Chagall, dove il legame materno riconduce alla vita. In entrambi gli autori dunque rintracciamo energia creativa ed espressiva: nella breve esistenza di Schiele sono presenti una gran quantità di produzioni artistiche e di esperienze amorose e sessuali, ma sembra che a mancare siano una reciprocità e un riconoscimento relazionale. Egon è un bambino nato in quale momento del ciclo vitale di quella famiglia? Cosa desiderava la madre? Cosa stava vivendo? Quale la sua relazione con il marito? Quali i bisogni della donna? Quali proiezioni sul suo bambino?  Forse la risposta possiamo trovarla in un dipinto del 1914, La madre cieca, da intendersi senza occhi, non come disabilità fisica, ma come un’incapacità psicologica di vedere e riconoscere quel suo bambino alla ricerca di nutrimento e che quasi sembra sia lui a sostenersi da sé. Immaginiamo un bambino che non è stato mai veramente visto, considerato e soddisfatto nei suoi bisogni emotivi.

     Questa analisi sui personaggi storici è solo un’ipotesi di lettura, una possibile interpretazione fondata su informazioni storiche parziali, che andrebbero necessariamente integrate qualora si volesse esplorare più a fondo il vissuto esistenziale dei due artisti. Senza pretesa di esaustività né sulla vita degli autori né sulla lettura complessa che ogni opera d’arte porta con sé, concludiamo ricordando il concetto di base sicura di cui parla John Bowlby: un legame di attaccamento che trova la sua funzione biologica nella protezione da parte dell’adulto verso il bambino e che trova la sua coloritura psicologica qualitativa nell’intensità dell’emozione che lo accompagna. Scrive Bowlby: “Se la relazione è buona, c’è gioia e senso di sicurezza. Se è minacciata, c’è gelosia, angoscia e rabbia. Se è stata interrotta, c’è dolore e angoscia” (J.Bowlby, Una base sicura, pag.4).

     Come psicoterapeuti corporei possiamo affermare che questa relazione inizia già nel periodo intrauterino e lascia tracce invisibili all’occhio, difficilmente misurabili, ma sicuramente percepibili se integriamo nella psicoanalisi il corpo e la sensorialità. Impronte che si depositano sul nostro sesto livello, l’addome.

 

 

Bibliografia

Ferri G., Cimini G. (2012), Psicopatologia e carattere. Roma: Alpes

De Bonis M. C. e Pompei M. (a cura di) (2015), Come sarà il tuo bambino?  Roma: Alpes.

Bowlby J.(1989), Una base sicura. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Reich W. (1973), Analisi del carattere. Milano: SugarcoEdizioni.

 

Sitografia:

https://it.wikipedia.org/wiki/Marc_Chagall

https://www.parrocchiaporporano.it/03CCHAGALL_MILANO_2014.pdf

https://www.librarte.eu/post/egon-schiele-e-la-sua-pittura-tormentata

https://www.finestresullarte.info/opere-e-artisti/egon-schiele-a-vienna-capolavori-per-conoscere-artista

[1] Agli inizi del 1900 Wilhelm Reich, medico, psichiatra e psicoanalista, introdusse il concetto di identità funzionale di psiche e soma, ipotizzò cioè che ci fosse una stretta correlazione tra i processi psichici e quelli corporei, ipotesi che attualmente è confermata e spiegata dalle recenti scoperte neuroscientifiche. Reich fu tra i primi occidentali a riportare il corpo all’interno della psicoanalisi e per questo viene considerato il padre delle psicoterapie corporee.

[2] Per facilitare lo scorrere della lettura, da qui in poi si sceglie di mantenere il suffisso maschile, ma ogni volta ci si riferirà a bambine e bambini indistintamente, senza differenze di genere.

[*] Psicologa, psicoterapeuta, analista S.I.A.R. Esperta in metodologie psicocorporee, psico-oncologia e dipendenze tecnologiche. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.  Studio professionale: P.zza XX Settembre 35, 61032 Fano (PU).
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