ENCANTO 

diretto da Byron Howard, Jared Bush

USA 2021 

A cura di R. Dolce*

  

     Encanto è l’ultimo film di animazione prodotto dalla Walt Disney Pictures. Racconta la storia di una famiglia straordinaria, matriarcale, che si chiama Madrigal, che vive tra le montagne colombiane, in una casa magica, la casita, edificata per effetto di un miracolo e situata in un luogo meraviglioso chiamato Encanto.

     Durante la fuga da un conflitto armato nel suo villaggio, la capostipite Madrigal, Alma, perde il marito prematuramente, ma riesce a salvare i suoi 3 figli gemelli neonati e la candela che teneva in mano acquista un potere prodigioso. Esso consiste nel donare ad ognuno dei suoi discendenti, al compimento dei cinque anni, un potere unico, uno straordinario talento magico che ognuno deve mettere al servizio di tutto il villaggio, talento che li caratterizza, che li rende speciali, ma che allo stesso tempo li condanna, poiché completamente identificati con esso, finendo per plasmare la loro psicologia. Abuela Alma incarna le regole a cui tutta la famiglia dovrà attenersi. Incarna il Super-Io. La sua severità esigente si riflette anche nel suo aspetto: è un personaggio tradizionalista, che veste in modo austero ed è sempre misurata nelle parole e nei movimenti. Le aspettative della nonna in primis e di tutti i membri familiari imprigionano gli stessi nel ruolo deciso dalla magia per ognuno di loro, rimangono invischiati rispondendo alle aspettative pur di non perdere l’accettazione e l’amore degli altri componenti del clan. Un meccanismo spesso presente nelle famiglie, poiché tutti gli esseri umani hanno bisogno di sentirsi parte di una famiglia, cercando di uniformarsi alle richieste più o meno esplicite del sistema. Spesso i genitori (in questo caso la nonna) proiettano sui figli le proprie aspettative, finendo per sovrapporre il proprio progetto al processo di vita dei figli. Se i figli rispondono al progetto, vi aderiscono inconsciamente e dovranno faticare tanto per poter affermare una propria autonomia psicologica di vita.

ENCANTO IMMAGINE buonaEncanto     Un esempio è Luisa, che ha una forza sovrumana capace di alzare e portare sulle spalle una chiesa intera o numerosi asini, soffre del complesso di Atlante. Il suo Super-Io la spinge a considerare i bisogni altrui più importanti dei suoi. Pertanto risponde a tutte le richieste di aiuto degli abitanti del villaggio. Luisa è una struttura di personalità con masochismo primario di secondo tipo, quello da richiesta affettiva. Luisa non può avere una sua vita, perché trattenuta dalle richieste familiari e non ha la forza di contravvenirle, pena la paura di rischiare di perdere l’amore della nonna e della famiglia tutta. Lo esprime perfettamente nella canzone “La pressione sale”.

     Isabel, invece, incarna il ruolo della perfezione, ingabbiata nel talento di essere sempre la più bella e di fare tutto in modo perfetto. Fa crescere le piante e fa sbocciare meravigliosi fiori primaverili. È la figlia perfetta che si sente prediletta e quindi obbligata ad essere perfetta in tutto. Il contraltare è la paura di commettere errori e di non soddisfare le aspettative della famiglia. Ovviamente si sente non libera e infelice. Starà per sposare un uomo che non ama. È lei che intona la canzone dal titolo “Cos’altro farò?” rivelando il suo desiderio di sentirsi libera di esprimersi, senza la paura di sbagliare, quindi di essere perfetta nella sua imperfezione. Mentre canta, i petali di rose si tramutano in splendidi cactus, le cui spine rappresentano la possibilità di esprimere parti di sé più anticonformistiche.

     Tutti i membri della famiglia hanno un talento tranne Mirabel, la protagonista, che si fa in quattro per farsi vedere dai suoi familiari, per sentirsi degna ai loro occhi. Senza avere un talento come gli altri familiari si sente inadeguata e ha paura di non essere accettata. È un'adolescente che cerca di capire qual è il suo posto nel mondo, cercando approvazione da coloro che ama senza deluderli o farli soffrire.

     È la prima protagonista Disney ad indossare gli occhiali da vista. In verità non sembra miope, tutt’altro: è una ragazza con occhi vivaci, grandi e tondi, attenti, che vede fin troppo bene quello che accade intorno a lei, con un grande senso di realtà e in grado di entrare in risonanza con il sentire dell’altro. Il nome Mirabel ha la radice del verbo mirar, ossia vedere e contiene bel, bello: colei che guarda bene! vede la sofferenza delle sorelle, imprigionate nel loro ruolo; vede la sofferenza dello zio, incompreso e allontanato; e infine vedrà anche il dolore della nonna, prigioniera di un lutto mai elaborato e del sacrificio del nonno, non adeguatamente onorato. Potendo vedere dà la possibilità anche agli altri componenti della famiglia di liberarsi, in ostaggio dei propri talenti per rispondere alle aspettative della nonna, un femminile dominante e poco accogliente, richiedente, seppur con le migliori intenzioni.

     È lei che vede che le mura della casita iniziano a creparsi, lasciandole intuire che la magia sia in pericolo (le crepe sono espressione della fragilità della famiglia). Tutti, identificati solo nel loro talento, sono impauriti, poiché temono che senza magia saranno persi; ma per Mirabel è diverso, non possedendo un talento (esplicito) è libera di intraprendere un percorso di crescita personale e familiare, che la spinge a cercare la causa che sta facendo crepare la casita, mettendosi alla ricerca di suo zio Bruno, bandito dalla famiglia tanti anni prima, poiché aveva previsto il crollo della casa e sceglie di vivere nascosto tra le sue mura rattoppando in segreto le sue crepe. Non parlare di zio Bruno e far finta che lui e le sue predizioni non esistano sembra per la famiglia la soluzione, la rimozione come espediente umano per non sentire la paura e far finta che la causa di quest’ultima non esista. Ma il corpo non dimentica e le paure continuano ad abitare in noi, facendosi prima o poi sentire attraverso i sintomi: per qualcuno è una somatizzazione, per altri è un attacco d’ansia, per altri ancora una fobia e così via. Gli ostacoli più grandi verso l’evoluzione, la crescita e il cambiamento spesso siamo noi stessi. Ed è così che le crepe aumentano sempre più fino ad essere insanabili.

     Pur considerata la sfortunata senza talento, in verità Mirabel ne possiede tanti: ha la capacità di ascolto degli altri, un ascolto attento e partecipe; ha la capacità di comunicare con il cuore, di incoraggiare, di sostenere; ha la forza di andare oltre le proprie delusioni; è una ragazza in grado di fare un percorso di consapevolezza e autoconsapevolezza. E non da ultimo è una adolescente di 15 anni, pertanto nel pieno della sua forza vitale, il tempo in cui la grande energia è una spinta alla vita che non le fa perdere mai la forza di andare avanti. Mirabel è un esempio di resilienza ed è forse questo il suo più grande talento, che le viene dall’essere stata amata e accettata dai suoi genitori. In una bellissima scena Mirabel è confortata e rassicurata dai suoi genitori con amore, benevolenza e considerazione. E la mamma Julieta le guarisce con il suo talento e con tanta tenerezza amorevole un taglio che ha sulla mano. L’amore e l’accettazione dei suoi genitori è ciò che le dà forza ed energia per aiutare tutto il sistema familiare ad evolvere e guarire.

     Ed è questo amore incondizionato genitoriale che le permette di accettarsi, che non significa rassegnarsi a quello che sembra imprescindibile, come può sembrare all’inizio del film quando Mirabel racconta e alza spesso le spalle. L’accettazione di se stessi e dei propri limiti, dei propri desideri e delle proprie ambizioni prescinde dal talento innato che possediamo, dall’immagine di noi che restituiamo all’esterno. Accettarsi è un processo lento e faticoso, qualche volta sofferto e doloroso. Un processo che ogni persona è chiamata ad affrontare nella propria vita, una o più volte. Nel film Mirabel compie un viaggio alla scoperta di se stessa ma anche della storia della propria famiglia, confrontandosi con le proprie emozioni e quelle dei suoi familiari. La vita è una ricerca della libertà di essere ciò che siamo o desideriamo essere e di proteggere la nostra autenticità. Ma spesso non ci riusciamo perché abbiamo bisogno di essere ascoltati, riconosciuti nella nostra unicità.

     Che cos’è che alla fine salva la magia della casita? il legame sincero e affettuoso. Quando la nonna racconta a Mirabel la sua storia, le sue emozioni e i suoi sentimenti, è il loro abbraccio che ha un grande potere di connessione. Le neuroscienze ci raccontano che 30 secondi di abbraccio sono in grado di stimolare l’aumento dell’ossitocina, l’ormone dell’amore.

 

*Rosa Dolce, Psicologa, Psicoterapeuta, Docente della S.I.A.R., Membro del Comitato Direttivo S.I.A.R. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. indirizzo studio professionale: Via Cesare Federici, 2 - 00147 Roma e Via Valadier, 44 - 00193 Roma.

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