VEGETOTERAPIA IN CONTESTI NON TERAPEUTICI

Seminario di coscienza corporeo emozionale

 

VEGETOTHERAPY IN NON THERAPEUTIC

Seminar of emotional body consciousness

DOI:  10.57613/SIAR22

 

Giuseppe Armezzani[*]

Marcello Mannella**

 

Abstract
     Lavorare sui nostri modi di essere a partire dal corpo significa dischiudere una memoria corporea ed emotiva. Con il nostro lavoro dunque miriamo a costruire situazioni in cui individualmente o in esperienze in coppia o in gruppo, si possa prendere coscienza dei propri modi tipici di comportarsi e riflettere su quanto possano essere di aiuto o di ostacolo nella propria attività professionale.
 
Parole chiave
     Vegetoterapia - respirazione funzionale – emozione – relazione.
 
 
Abstract
     Working on our ways of being starting from the body means to disclose a physical and emotional memory. With our work we aim to build circumstances where, individually, via couple experiences or in groups, it is possible to become aware of own typical behaviors and think about how they can help or obstruct the professional activity.
 
Key words
     Vegetotherapy – Functional breathing – Emotion – Relation.

 

Come nasce l’idea di questo seminario?[1]

     Per spiegarne il senso è opportuno innanzitutto fare riferimento al  titolo: “Applicazione di acting di Vegetoterapia[2] e di tecniche di respirazione diaframmatica[3] funzionale in contesti non terapeutici”. Siamo abituati a sperimentare gli acting di Vegetoterapia o di respirazione diaframmatica funzionale nell’ambito delle nostre analisi personali, oppure come professionisti. E in tali ambiti sono nati e sono stati pensati nella tradizione reichiana. Nello stesso tempo appartiene alla tradizione reichiana, come suo momento costitutivo, l’attenzione per il sociale e per la prevenzione. Reich, ancora psicoanalista, a Vienna e a Berlino, aveva aperto dei servizi di consulenza sessuale per i giovani e i lavoratori. Egli era convinto che la sola attività terapeutica non fosse in grado di ridurre la sofferenza umana e sociale e che un ruolo decisivo in tal senso poteva e doveva essere assunto dall’attività di educazione e prevenzione.

     Bene, è proprio a partire da questo assunto, che, ormai quasi trent’anni fa, abbiamo deciso di utilizzare le nostre competenze professionali come strumenti di educazione e prevenzione. Siccome condividiamo non solo la formazione psicoterapeutica, ma anche l’esperienza di insegnanti, abbiamo approntato dei progetti per le scuole. Il lavoro con gli insegnanti[4] ci è sembrato particolarmente importante perché ad essi è affidata la cura e la formazione dei giovani. Abbiamo negli anni portato avanti numerosi progetti in tante scuole di Roma e provincia e, col tempo, abbiamo avuto modo di appurare che le nostre tecniche corporee erano efficaci anche in ambito educativo e più in generale in tutte quelle attività e professioni che implicano la relazione, anzi, in cui la relazione costituisce di fatto l’elemento portante e fondamentale. Abbiamo appurato che il nostro lavoro era in grado di far crescere nelle persone la capacità di sentirsi/sentire e le competenze empatiche/relazionali.

Ma perché gli acting di vegetoterapia e di respirazione diaframmatica funzionale si rivelano degli strumenti efficaci?

     Essi hanno un’efficacia terapeutica specifica perché rappresentano un’attivazione incarnata, un’esperienza enattiva. Essi sono capaci di suscitare vissuti che coinvolgono insieme la dimensione motoria/emotiva e cognitiva e sono in grado di farci ri-vivere esperienze che hanno una chiara valenza emotiva. Sappiamo dalla nostra esperienza terapeutica quando sia decisiva per l’elaborazione di una problematica fare emergere gli affetti legati alle nostre esperienze di vita.

     Lavorare sui nostri modi di essere e relazionarci a partire dal corpo significa dischiudere una memoria corporea ed emotiva. Significa poter rivivere i vissuti cristallizzati nel corpo. Ciò permette di sperimentare e definire nuove modalità comportamentali, di modificare le proiezioni cerebrali di quegli stessi vissuti attraverso un continuo rimando di informazioni fra la periferia del sistema vivente uomo – il corpo - e la struttura cerebrale.

     Non dimentichiamo del resto che la comunicazione umana è soprattutto analogica, corporea – ricordiamoci della realtà dei neuroni mirror – e che è dunque molto importante prendere coscienza della propria presenza corporea nel mondo, di quello che il corpo comunica a prescindere dai contenuti e dalle intenzioni. Il corpo nelle professioni che implicano la relazione rappresenta pertanto il più importante strumento di lavoro.

img armezz e mann     Qual è la differenza di funzione se applicati in ambiti di prevenzione ed educativo?È evidente che lavorare con educatori, insegnanti, studenti, medici, infermieri, per aiutarli a comunicare in maniera empatica non significa fare psicoterapia. Ricordiamo che l’analisi della domanda è fondamentale nella nostra professione. Che cosa ci sta chiedendo l’altro? Qual è il contesto in cui mi trovo ad operare? Come debbo allora impostare la mia azione?

     Il lavoro terapeutico è volto a far prendere coscienza del proprio modo di essere e di relazionarsi, ma soprattutto ad aiutare il paziente ad elaborare i propri tratti caratteriali e trasformarli. Per fare ciò è necessario un lavoro di scavo volto a far emergere il ricordo delle esperienze primarie che hanno determinato quella difesa, quel tratto caratteriale. Nella nostra pratica psicoterapeutica, pertanto, così come ci ha insegnato Reich, partiamo dal significato attuale - qual è il senso, da cosa ci si difende attraverso di esso - un comportamento, una postura, un tratto, fino a stimolare attraverso domande ed esperienze corporee mirate, la possibilità di rintracciare l’origine di quei comportamenti nei vissuti familiari ed infantili.

     Le cose non possono svolgersi alla stessa maniera nel lavoro di prevenzione.In tale ambito noi dobbiamo semplicemente aiutare l’utente a prendere coscienza del suo tratto, del suo modo di essere e di comunicare e poi aiutarlo a comprendere il significato attuale della difesa. Dobbiamo dunque fermarci in superficie, al primo stadio del lavoro analitico. Questo significa operare affinché si diano le condizioni per un cambiamento.

     Non dimentichiamo che solitamente abbiamo a che fare con persone – educatori, medici, insegnanti – che non hanno minimamente pensato di partecipare ad un nostro seminario per iniziare un lavoro di analisi psicologica. Spesso sono persone fortemente difese, che hanno trovato il coraggio e l’onesta di incominciare a mettersi in discussione, magari a partire dalla propria vita professionale. Un lavoro di scavo e interpretazione psicologica, oltre che indebiti, avrebbero il risultato di farli chiudere o addirittura fuggire. Se la persona è pronta, o in seguito lo diventerà, sarà ella stessa a chiederci o farci capire che può sostenere qualcosa di maggiore impegno.

     Con il nostro lavoro noi dunque miriamo a costruire situazioni in cui individualmente o in esperienze in coppia o in gruppo, si possa prendere coscienza dei propri tratti, dei propri modi tipici di comportarsi e relazionarsi e riflettere su quanto possano essere di aiuto o di ostacolo nella propria attività professionale.

 

Un esempio di utilizzo degli acting di Vegetoterapia

L’acting del  punto fisso in coppia

     Nei seminari rivolti agli insegnanti è giocoforza creare delle situazioni esperenziali in cui i partecipanti possano prendere coscienza del proprio modo di vedere/guardare gli altri. Gli occhi infatti rappresentano un distretto corporeo assai attivo nella funzione insegnante. Gli occhi degli insegnanti possono però vedere/ guardare gli studenti in differenti maniere.

     Possono guardare in maniera inquisitiva, pronti a cogliere e a sorprendere il sia pur minimo movimento sospetto, potenzialmente disturbante o irriverente (atteggiamento autoritario o controllante). Possono guardare con paura, o essere seduttivi e accondiscendenti nel tentativo di accattivarsi la benevolenza degli studenti (atteggiamento impotente). Possono ancora essere capaci di incontrare (vedere) gli occhi degli studenti ed esprimere il piacere di esserci e di partecipare all’impresa comune della lezione (atteggiamento autorevole).

     Esemplificazione: Seduti a gambe incrociate, o comunque in posizione comoda, l’uno di fronte all’altro. Si chiudono gli occhi, ci si concentra sul proprio respiro e progressivamente si porta l’attenzione alla presenza dell’altro cercando di armonizzare i respiri. Dopo qualche minuto, si sollevano delicatamente le palpebre e si incontrano gli occhi dell’altro. Chi è veramente l’altro? Qual è il suo stato d’animo? Se si vuole si può anche stabilire un piccolo contatto corporeo.

     La richiesta di incontrarsi attraverso un contatto oculare diretto in genere risulta difficile e impegnativa. La consegna infatti non è di guardare, ma di vedere e di lasciarsi vedere. C’è una profonda differenza fra le due azioni. L’atto del guardare è unidirezionale: siamo impegnati ad osservare qualcosa, in genere per una finalità pratica. Nell’atto del guardare, inoltre, generalmente proponiamo in maniera inconsapevole tutta una serie di strategie volte a carpire la simpatia, l’accettazione dell’altro o a tenerlo a distanza. I nostri occhi possono essere richiedenti, seduttivi, oppure freddi, inespressivi, impaurenti.

     L’atto del vedere ha una diversa valenza, esprime una diversa attitudine verso la vita. Poter vedere l’altro è possibile soltanto quando anch’io sono disposto a farmi vedere. Implica un’apertura, la disponibilità ad entrare in una relazione autentica e fiduciosa. Nella quotidianità e, soprattutto, nel luogo di lavoro e nel mondo sociale, difficilmente questo accade, perché ognuno di noi va nel mondo con una maschera che protegge e nasconde.

     Il suggerimento è pertanto di disporsi a vedere e lasciarsi vedere senza sovrastrutture mentali di sorta. L’esperienza è vissuta in genere con un senso di pronunciato imbarazzo, ma non di rado è seguita dallo stupore per l’intensità del contatto e da manifestazioni di apprezzamento perché ha consentito la presa di coscienza della personale modalità di guardare il mondo e gli altri, punto di partenza per poter incominciare a sperimentarne altre, diverse e consapevoli.

 

Bibliografia

Armezzani G., (a cura di) (2006) “L'esperienza emotiva nei processi di apprendimento” (ilmiolibro.it)

Armezzani G., Mannella M. “Ascoltare/Insegnare/Educare” in Annuario del Liceo “Russell” Numero 7 - A.S. 2005/2006 - Casa Editrice Ruggero Risa

Mannella M. (2018) L’educazione del corpomente. Cosa significa educare nella società postmoderna, Roma: Alpes

Reich W.(1994) Analisi del carattere, Milano: SugarCo

[*] Giuseppe Armezzani, Psicoterapeuta di formazione S.E.Or. Studio professionale in Via Passalacqua, 38 -00185 Roma.

** Marcello Mannella, Psicologo, psicoterapeuta, analista Siar. Studio professionale in Via Valadier, 44 - 00193 Roma. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..


[1] Questo Seminario è una delle attività formative dell'Ordinamento Didattico della Scuola Italiana di Analisi Reichiana.

[2] La vegetoterapia è un metodo terapeutico che agisce sui sistemi nervoso vegetativo (da cui si origina il nome), muscolare, neuroendocrino e sulla pulsazione energetica dell’organismo. Opera con actings corporei (movimenti corporei tesi a far rivivere momenti dello sviluppo ontogenetico) per favorire una distribuzione più funzionale della libido. Agisce sulla psiche attraverso l’analisi del carattere che emerge dal linguaggio del corpo. Reich (1994) ha individuato sette livelli corporei (organi e muscoli che sono in relazione funzionale e che esprimono moti emozionali). Essi sono: I occhi-orecchie e naso, II bocca, III collo, IV torace e braccia, V diaframma, VI addome, VII pelvi e gambe."

[3] La respirazione diaframmatica funzionale, elaborata da Francesco Dragotto Presidente della S.E.Or.[3] mira al sentire lo scorrimento energetico dall’alto verso il basso e viceversa (asse verticale); a scoprire eventuali punti di resistenza a questo scorrimento cercando di scioglierli lentamente, rafforzando così la propria individuazione: chi sono, cosa voglio, dove sento gli eventuali blocchi, come posso costruire un IO ben strutturato che poi, attraverso la sensorialità, si confronti con gli altri per costruire insieme una sana identificazione (asse orizzontale). È una meditazione corporea che porta ad una presa di coscienza del proprio essere energetico.

Anche se è possibile condurla in piedi o seduti, la posizione ottimale è da distesi, con le ginocchia piegate ed i piedi bene a contatto con la terra, le palpebre abbassate, gli occhi e la mandibola rilassati. Le due regole fondamentali sono: fare tutto molto lentamente; evitare qualsiasi tipo di sforzo.

S’inizia con degli ampi e lenti respiri attraverso la bocca trovando il diaframma ed aspettando che richieda il respiro. La respirazione avviene in quattro tempi: inspirazione – pausa/espirazione - pausa. Poi pian piano, sempre lentamente e senza sforzo, si passa ad inspirare attraverso il naso con tre nastrini di respiro (inspirazione - pausa per ciascuno) cercando di sollevare il meno possibile petto e addome. In questa fase, i due fili di respiro che attraversano le narici, vanno meccanicamente nei polmoni ma generano una corrente energetica dapprima immaginata e poi sempre più sentita che, attraversando la volta cranica dall’interno, scorre potenzialmente lungo la spina dorsale fino al bacino, femori, tibia e piedi stimolando così i centri nervosi che incontrano nel loro cammino. Nell’espirazione, che avviene attraverso la bocca e che è bene favorire accompagnandola con un suono, il percorso è all’inverso e va dai piedi agli occhi.

È chiaro che questa breve e sintetica nota non rende l’intensità ed anche le eventuali difficoltà provate nell’esperienza reale e che verranno comunicate ai terapeuti conduttori nel Circle time fina.

[4] Il Seminario è stato rivolto anche agli studenti

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