Empatia e sintonizzazione

Empatia e sintonizzazione:
l'analista mindful

Robert Brumărescu*

 

Empatia e sintonizzazione: questa la chiave per una buona relazione terapeutica. Non solo tecnica. Le qualità personali dello specialista incidono sul successo della cura. Ma, come incrementare le capacità relazionali dello psicoterapeuta? Come accrescere la sua abilità di sintonizzazione sugli stati emotivi e mentali, come promuovere l’empatia verso il paziente? Partiamo da una premessa: la relazione, in terapia, è fondamentale, aldilà del modello o delle tecniche utilizzate (Roth e Fonagy, 2005).

Le neuroscienze possono aiutarci a capire: gli studi di neuroimaging evidenziano come la mente può dormire, sognare, emozionarsi, concentrarsi, oppure essere mindful (Kabat-Zinn, 2003). La meditazione mindfulness permette di coltivare uno stato di coscienza e apertura mentale, che abbracci il momento presente, senza ruminazioni sul passato o inutili infuturazioni. Sviluppare una mente mindful significa abbracciare la curiosità, l’accettazione incondizionata. Il motore pulsante della terapia è la sintonizzazione (Siegel, 2007).

Studi sperimentali mostrano come i circuiti neurali impiegati nella sintonizzazione del proprio Sé corrispondano alle aree corticali attivate durante la mindfulness (Siegel, 2007). La sintonizzazione interpersonale poggia sul circuito neurologico dei neuroni specchio (Gallese, Eagle, e Migone, 2007).

Attraverso questo sistema l’osservatore simula – riproduce in termini di connessioni neurali - le emozioni o le espressioni della persona che ha di fronte. La qualità o meglio l’abilità di rimanere focalizzati sul presente si rivela fondamentale nel processo di terapia. Sullivan (1953) definiva la psicoanalisi come la capacità di osservare se stessi, l’altro e il processo. Ebbene la mindfulness sviluppa proprio queste attitudini: osservare se stessi, dirigere l’attenzione verso il corpo e la mente, avere piena consapevolezza del paziente e coscienza del processo di terapia in corso.

L’abilità dell’analista risiede nel prendere coscienza dei propri tratti caratteriali, della propria storia evolutiva, della freccia del tempo che ha scandito la sua esistenza, posizionandosi al livello più neghentropico per il paziente e per la relazione, costituita nel setting. Incontrare la neghentropia, rendere la relazione terapeutica neghentropica (Ferri, Cimini, 2012) per smuovere, mutare, allentare le morse che attanagliano i tratti caratteriali dell’analizzato.

La mindfulness sembra muoversi proprio in questa direzione: l’analista non rimane in balia delle reazioni contro-transferali, sia perché si suppone abbia intrapreso un’analisi personale, sia perché è consapevole dei propri stati mentali, resta lucido e centrato nel momento presente, possedendo una mente mindful. Uno dei propulsori, della benzina che anima l’analisi è la sintonizzazione (Siegel, 2007). Sintonizzarsi con l’altro è un prerequisito base per la relazione. Il concetto di sintonizzazione deriva dalla letteratura neurobiologica, per descrivere il modo in cui una persona si focalizza sui propri e altrui stati mentali e sulla connessione con l’altro. “Ciò che si prova verso il paziente, verrà sperimentato a sua volta” (Stern, 1985).

Questo principio, per quanto elementare, è stato osservato nelle relazioni tra madri e figli: la sintonizzazione tra loro richiedeva una lettura accurata da parte del genitore dello stato in cui si trova il bambino, la capacità della madre di comunicare con lui e l’abilità dell’infante di riconoscere il suo stato in relazione al genitore (Beebe, 2004).

Se consideriamo pertanto la sintonizzazione come una qualità imprescindibile dell’analista, è necessario sapere che per sintonizzarsi nella relazione, il terapeuta necessita per primo di essere in contatto, centrato, sintonizzato con se stesso.

Studi EEG mostrano come i circuiti neurali impiegati nella sintonizzazione del proprio Sé corrispondano alle aree corticali attivate durante la mindfulness (Siegel, 2007). Allo stesso modo, una buona percezione di se stessi correla positivamente con un attaccamento sicuro (Bowlby, 1988; Winnicott, 1969).

La mindfulness può essere vista come una forma di attaccamento sicuro al proprio Sé. Il concetto di sintonizzazione interpersonale si sovrappone a quello di accettazione incondizionata, proposto da Roger (1957).

Il processo si basa su aspetti botton-up, dal corpo verso la mente: secondo la Teoria polivagale di Porges, il sistema nervoso valuta gli stimoli, gli input ambientali e orienta – stimolando la muscolatura – la risposta cognitiva.

Ma che cosa avviene, realmente, nella stanza di analisi? Che cosa permette il cambiamento, come si smussano i tratti caratteriali del paziente, come si leniscono i sintomi, il malessere dell’analizzato? Le moderne terapie sembrano inclini a sostenere la qualità della relazione nel setting, l’esperienza emozionale – relazionale correttiva (Alexander e French, 1946) che si sviluppa sul lettino. Così, quando il terapeuta contiene (holding) il paziente, quando resta attento, focalizzato al momento presente e sintonizzato, il paziente, nel tempo muta, elabora nuovi pattern relazionali, cambiando le lenti con cui guarda il mondo, gli altri e se stessi. 

Quale posto per l’empatia? Secondo Siegel (2007) la meditazione mindfulness sviluppa anche l’empatia. Essere empatici nella relazione terapeutica significa prestare continua attenzione all’altro e a Sé, captare i segnali del paziente, regolando di volta in volta la giusta distanza o vicinanza, proprio come farebbe una madre con il proprio infante (Sander, 1962).

immagine BrumarescuChe cosa rende pertanto la relazione neghentropica? Una buona alleanza terapeutica, fondata su empatia e sintonizzazione – qualità indispensabile dell’analista. Durante le analisi, spesso interminabili perché impantanate, si affacciano momenti di stallo in cui la relazione annaspa. Sono momenti critici sia per l’alleanza terapeutica che per il proseguo dell’analisi. Smuovere la relazione, uscire dallo stallo, recuperare fratture interpersonali, rotture della sintonizzazione, può avvenire solo se il terapeuta manifesta consapevolezza di sé, dell’altro e della relazione. Si tratta dunque di proporre un nuovo contributo allo sviluppo dell’analisi caratteriale della relazione (Ferri, Cimini, 2012) mediante la mindfulness.

Seguendo la strada aperta dalla simulazione incarnata, per osmosi, anche il paziente avvertirà un soffio diverso. Potrà così a sua volta modificare e incrementare la sintonizzazione con il proprio Sé, esportando l’accettazione incondizionata della propria storia evolutiva aldilà del setting, nelle relazioni che lo attendono nel mondo. L’utilizzo del setting – e delle regole che lo costituiscono – la stanza, il lettino, il tempo della seduta, creano uno stato psichico di contenimento, holding, concetto sviluppato dalle osservazioni cliniche di Winnicott (1969). Lo stesso Kohut (1971) riconosce – all’interno della terapia – uno stato in cui il paziente interiorizza aspetti, qualità, tratti provenienti dall’analista. Così il paziente, interiorizzando l’empatia espressa dal terapeuta, sviluppa la capacità di riflette, accettare e contenere le proprie emozioni e bisogni (Siegel, 2007). Ovvero il terapeuta costruisce reti neurali nella corteccia prefrontale del paziente, permettendogli così di regolare le emozioni, attenuare la paura, non reagire alle avversità.

Come sostenuto da Freud (1912/1958, pp. 109-120), "l’attenzione dell’analista deve rimanere fluttuante", mentre Bion (1970) enfatizza la capacità del terapeuta di entrare in seduta senza desiderio né memoria, seguendo semplicemente il momento presente e la dimensione onirica, qualità in linea con le componenti essenziali della mindfulness.

La pratica mindfulness è stata ampiamente introdotta nella psicoterapia – si veda la terapia dialettica comportamentale (Linehan, 1993), la terapia basata sull’accettazione (Hayes, 2003), e la terapia cognitivo comportamentale basata sulla mindfulness.

Perché non utilizzarla tra un paziente e l’altro? Esercizi semplici quali sintonizzarsi sul respiro, percepire il corpo e lo stato mentale in cui ci si trova, alcuni validi suggerimenti, prima di aprire la porta al paziente. Per riprendere una celebre frase di Gandhi: “Dobbiamo essere il cambiamento che sogniamo”.

 


Bibliografia
  • ALEXANDER, F. G., & FRENCH, T. M. (1946), Psychoanalytic psychotherapy: Principles and application. New York, NY: Ronald.
  • BEEBE, B. (2004), Faces in relation: A case study. Psychoanalytic Dialogues, 14(1), 1–51.
  • BION, W. R. (1970), Attention and interpretation. London, England: Tavistock.
  • BOWLBY, J. (1988), A secure base: Parent– child attachment and healthy human development. London, England: Routledge.
  • FERRI, G., CIMINI, G. (2012), Psicopatologia e carattere. Roma: Alpes
  • FREUD, S. (1958), Recommendations to physicians practicing psycho-analysis. In J. Strachey (Ed. and Trans.), The standard edition of the complete psychological works of Sigmund Freud, Vol. 12 (pp. 109–120). London, England: Hogarth Press. (Original work published 1912)
  • GALLESE, V., EAGLE, M. E., & MIGONE, P. (2007), Intentional attunement: Mirror neurons and the neural underpinnings of interpersonal relations. Journal of the American Psychoanalytic Association, 55(1), 131–176.
  • HAYES, S. C., STROSAHL, K. D., & WILSON, K. G. (1999), Acceptance and commitment psychotherapy: An experiential approach to behavior change. New York, NY: Guilford Press.
  • KABAT-ZINN, J. (2003), Mindfulness-based interventions in context: Past, present, and future. Clinical Psychology: Science and Practice, 10(2), 144–156.
  • KOHUT, H. (1971), The analysis of the self. New York, NY: International University Press.
  • LINEHAN, M. M. (1993), Cognitive behavioral treatment of borderline personality disorder. New York, NY: Guilford Press.
  • ROTH, A., & FONAGY, P. (2005), What works for whom: A critical review of psychotherapy research (2nd ed.). London, England: Guilford Press.
  • SANDER, L. W. (1962), Issues in early mother–child interaction. Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry, 1, 141–166.
  • SIEGEL, D. J. (2007), The mindful brain: Reflection and attunement in the cultivation of well-being. New York, NY: Norton.
  • STERN, D. N. (1985), The interpersonal world of the infant: A view from psychoanalysis and developmental psychology. New York, NY: Basic Books.
  • SULLIVAN, H. S. (1953), The interpersonal theory of psychiatry. New York, NY: Norton.
  • WINNICOTT, D. W. (1969). The use of an object. International Journal of Psychoanalysis, 50, 711–716.
 
* Psicologo, Ph. D
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