Numero 2/2019

LA PSICOTERAPIA DEL TRAUMA COMPLESSO

 

Giulia Fiorentino[*]

 

Abstract

      L’esperienza traumatica ha acquisito una connotazione articolata e sottile, culminata con il tentativo di una nuova definizione diagnostica (complex trauma). Da un punto di vista terapeutico, il trattamento del trauma si connota con approcci differenti, dal momento che ad oggi non esiste un punto di vista unico su quale sia la pratica più adatta. La letteratura sottolinea comunque come il lavoro sul paziente debba incentrarsi sugli aspetti dissociativi traumatici; in particolare, il focus terapeutico risiede nell’integrazione delle parti emotive, che risultano notevolmente frammentate nella rete dei ricordi del paziente. 

 

Parole chiave

       Complex trauma – dissociazione –psicoterapia – PTSD – psicologia psicodinamica – memoria emozionale.

 

Abstract

       Nowadays, the description of traumatic experience is getting more difficult and subtle, leading to a new diagnostic definition (complex trauma) try. From a therapeutic point of view, the treatment of trauma is featured by different approaches, since there is no single point of view on which is the most suitable practice today. today's literature emphasizes how working on the patient must focus on traumatic dissociative aspects; in particular, the therapeutic focus lies in the integration of the emotional parts, which are significantly fragmented in the patient's memory network. 

 

Keywords

Complex traum – dissociation – psychotherapy – PTSD - psychodynamic psychology - emotional memory.

 

     Nell’immaginario comune, la parola trauma viene associata a situazioni che determinano uno stato di shock, scenari apocalittici, guerre, terrorismo o condizioni fisiche fortemente invalidanti. In un certo senso, la definizione di trauma più in voga nello scenario collettivo ricorda quella riportata da Krystal: “il trauma psichico catastrofico è definito una resa a ciò che viene vissuto come inevitabile di origine esterna o interna. È la realtà psichica della resa a ciò che viene vissuto come una situazione intollerabile senza via d’uscita che fa sì che si abbandonino le attività cha salvaguardano la vita. La valutazione che la situazione è di estremo pericolo e la resa ad essa danno inizio al processo traumatico” (2007, p. 200). 

     Parallelamente, esiste una dimensione del trauma silente, intrapsichica, nascosta, che ha affascinato ed è stata esplorata da noti autori della psicologia, i quali ne hanno approfondito le dimensioni e dato la propria lettura.  Kahn (1963) constata che, in psicoanalisi, ogni fase della costruzione teorica ha influenzato l’attuale definizione di trauma e la sua valutazione clinica. In effetti, dobbiamo grandi contributi ad autori come Freud, Janet, Ferencsi, Spitz, Fonagy, Liotti, Bucci e Bromberg (solo per citarne alcuni), che hanno illuminato aspetti significativi di una tematica così eterogenea. Freud ha indagato la condizione traumatica prima come forma di abuso sessuale, poi come fantasia inaccettabile e, infine, come una condizione di impotenza dovuta alla perdita dell’oggetto amato. Allo stesso tempo, è innegabile il grande contributo fornito da Janet nello studio del funzionamento mentale e di ciò che oggi definiamo dissociazione; questi ultimi concetti hanno goduto di una valorizzazione solo recentemente dando modo ad autori come Bromberg, Schore, Liotti e Bucci di basare le loro esplorazioni teoriche sul concetto di funzionamento mentale janetiano della mente disarmonica. Inoltre gli stessi Shore e Liotti, l’uno trattando le conseguenze sullo sviluppo neurologico che deriva dal trauma relazionale e l’altro parlando delle dinamiche implicite tra vittima e persecutore, hanno seguito le orme già tracciate prima da Ferenczi (1932), con la “Confusione delle lingue tra adulti e bambini”, e poi dalla Teoria dell’Attaccamento e dagli autori di scuola relazionale.

     L’enfasi posta sull’importanza della relazione tra genitore e bambino come incipit e causa di processi intrapsichici ed evolutivi porta alla costruzione di concetti come i Modelli Operativi Interni, che nel trauma infantile prendono forme più o meno disorganizzate (Liotti, 2005; 2008; 2011) o come la capacità di mentalizzazione (Fonagy, 1991), intesa come mancanza di riflessività carente nei contesti di caregiving problematici. Tutte le esperienze vissute nello scenario evolutivo-relazionale rimangono registrate nella memoria dell’individuo su vari livelli, più o meno in collegamento tra di loro, che determinano la capacità di simbolizzare le informazioni apprese dal contesto di crescita infantile (Bucci, 1997). Le dinamiche acquisite dal bambino potranno derivare, nei casi peggiori in cui la relazione è caratterizzata dal maltrattamento, sia da forme di intrusività genitoriale che di negligenza grave, in cui il piccolo è lasciato solo in balia delle esperienze quotidiane, senza nessun filtro o supporto dell’adulto. Si delinea dunque un quadro in cui le esperienze traumatiche divengono più sottili rispetto al classico abuso sessuale, coinvolgendo e minando molti aspetti della storia individuale. Le ricerche epidemiologiche, infatti, rivelano che le esperienze traumatiche in senso lato si presentano con una frequenza del 50% rispetto ai maltrattamenti subiti durante lo sviluppo costituendo una vera e propria epidemia nascosta (Lanius et al., 2012).IMG FIORENTINO OKEgon Schiele, Studio di coppia, 1912

     Quanto detto si concretizza in manifestazioni sintomatologiche che non sempre si ritrovano nei manuali diagnostici sotto la categoria più rappresentativa della condizione traumatica (Disturbo post-traumatico da stress). Il punto di vista tassonomico sul trauma ha di certo ampliato la visione degli aspetti descrittivi, esperienziali e sintomatologici, a cui i professionisti si riferiscono per individuare gli evidenti motivi di sofferenza dei pazienti e per costruire dei percorsi di cura idonei. Inoltre, il forte dibattito condotto dalle task force dei manuali diagnostici in relazione alla categoria del Disturbo pos-traumatico si è declinata in un forte input verso la ricerca empirica di quegli ambiti di transizione, tra il quadro traumatico vero e proprio e le categorie confinanti con esso. Tuttavia, come afferma Van Der Kolk (2004), “anche se la psichiatria psicodinamica ci fornisce un validissimo ausilio per comprendere gli andamenti caratteriali ai ricordi del trauma […] il problema centrale è costituito dall’incapacità di assimilare la realtà di specifiche esperienze con la conseguente riattualizzazione ripetitiva del trauma in immagini, comportamenti, sentimenti, stati fisiologici e relazioni interpersonali” (p. 23). Inoltre, numerosi pazienti non hanno una diagnosi di riferimento che copra il trauma inter-relazionale e le sue conseguenze. Da queste motivazioni nasce la nozione di trauma complesso, che enfatizza l’aspetto cumulativo del trauma e l’impatto che comporta su diverse aree di funzionamento infantile che, con lo sviluppo, si traducono in manifestazioni sintomatologiche.

     L’indefinitezza che caratterizza questo ambito da un punto di vista diagnostico in realtà è contrastata da connotazioni ben specifiche, costituite da costellazioni sintomatologiche e storie individuali di pazienti che si fanno portavoce di esperienze comuni, vissute con un’intensità più marcata, le quali lasciano segni che prescindono dal loro controllo consapevole.

 

Approcci psicoterapeutici al trauma

     Negli ultimi anni, la cura della sintomatologia dissociativa e della frammentazione del sé, nel caso di pazienti con trauma complesso, ha beneficiato di numerosi contributi di ricerca, che hanno approfondito, in termini teorici, i meccanismi patogenetici che intercorrono in tali sintomatologie.   Inoltre, la meticolosità e la ridefinizione che ha contraddistinto la classificazione dei disturbi dissociativi nei sistemi di riferimento diagnostici ha parallelamente fornito ulteriori elementi di attenzione sulle strategie terapeutiche. Tuttavia, sebbene ci si riferisca ad una categoria patologica specifica, “non c’è un unico trattamento standard che possa andare bene per tutti i pazienti che pure condividono la stessa diagnosi. Ogni singola esperienza terapeutica con un paziente affetto da un disturbo dissociativo appare il più delle volte come assolutamente unica ed irripetibile, essendo il trattamento della sintomatologia sempre da ‘ritagliare’ attentamente, e in maniera esclusiva, sul singolo paziente” (Miti & Onofri, 2011, p. 74). Anche Van Der Kolk (2015) concorda nell’affermare che “non esiste un 'trattamento elettivo' per il trauma”, ed aggiunge: “qualsiasi terapeuta che creda che il suo particolare metodo sia la sola risposta possibile ai vostri problemi è da considerarsi un ideologo e, non di certo, qualcuno interessato seriamente al vostro benessere” (Van Der Kolk, 2015, p. 243). Di conseguenza, le diverse tecniche centrate sulla sintomatologia traumatica devono essere utilizzate dal terapeuta con la “massima ecletticità e creatività” (Miti & Onofri, 2011), facendo uso di risorse diverse adeguate alle problematiche che si presentano nella stanza di analisi.

     Poiché la letteratura sul trauma evolutivo concorda sulla centralità dell’esperienza traumatica come causa della dissociazione, negli ultimi anni il focus terapeutico concerne il confronto e l’integrazione dei ricordi traumatici come mezzo principale per raggiungere il benessere del paziente. Il conseguimento di tale obiettivo è ritenuto imprescindibile dalla gestione emotiva degli affetti associati alle circostanze del trauma, i quali investono il paziente come esperienze corporee che, con il lavoro terapeutico, trovano prima una veste linguistica e descrittiva e poi l’integrazione negli schemi relazionali preesistenti. Questo processo, che caratterizza la terapia detta a fasi, risulta trasversale ad approcci più specifici (come quelle psicodinamiche, cognitivo-comportamentali, relazionali, sensomotorie corporee ed EMDR[1]). Inoltre, anche i terapeuti che si riferiscono ad un approccio psicoanalitico classico, sono lontani dal considerare il trauma come la causa scatenante di un conflitto psichico dovuto alla frustrazione di desideri inconsci.

     Il sostegno sociale e interpersonale vengono universalmente considerati supporti essenziali per il paziente, che deve affrontare le emozioni negative e la loro rievocazione; inoltre, tale sostegno è un ulteriore fonte di confronto, oltre al terapeuta, per i significati attribuiti all’esperienza traumatica.

     Sebbene siano largamente diffusi in letteratura studi e meta-analisi riguardo la psicoterapia del PTSD, risultano carenti le ricerche riguardo l’efficacia dei trattamenti per il Complex Trauma ed i Disturbi Dissociativi (Brand et al. 2009). Ciò nonostante, è emerso dagli studi di Sar e colleghi (2002) che i pazienti trattati con diversi approcci presentano miglioramenti, in particolare nell’integrazione della personalità (Coons & Bowman, 2001). Inoltre, l’applicazione di tecniche cognitivo-comportamentali (Martinez-Taboas & Rodriguez-Cay,1997), cognitivo-analitiche (Kellet 2005) e nell’approccio EMDR (Young, 1994), (Miti & Onofri, 2011 p.76) hanno presentato sviluppi notevoli. Nonostante ciò, occorre ampliare l'esplorazione dei suddetti modelli per due questioni fondamentali: in primo luogo, a causa della difficoltà nell’indagare una popolazione clinica problematica nel trattamento e nella rilevazione (nei termini di campioni poco numerosi, misure non standardizzate ecc.); in secondo luogo, a causa di una difficoltà della risoluzione dei sintomi anche dopo i trattamenti (infatti un terzo dei pazienti dissociativi conserva sintomi cronici) (Ellason & Ross, 2004).

[1] Eye Movement Desensitiation and Reprocessing

 

Bibliografia

Brand, B.L., Classen, C.C., McNarly, S.W. & Zaveri, P. (2009), A review of dissociative disorder treatment studies. J. Nerv. Ment. Dis., 197(9), 649-54.

       Bucci, W. (1997), Psicoanalisi e scienza cognitiva, Fioriti, Roma.

Coons, P.M. & Bowman, E.S. (2001), Ten-year follow-up study of patiens with dissociative identity disorder. Journal of Trauma and Dissociation, 2, 73-89.

Ellason, J.W. & Ross, C.A., (2004), SCL-90-R Norms for Dissociative Identity Disorder. Journal of Trauma and Dissociation, 5, 85-91.

Ferenczi S. (1932), La confusione delle lingue tra adulti e bambini. In Opere, vol. 4, Cortina, Milano 2002.

Fonagy, P., Steele, J. & Steele, M. (1991), Maternal representations of attachment during pregnancy predict the organization of infant-mother attachment at one-year of age. Child Development, 62:891-905 42.

Kahn, M. (1963), The Concept of Cumulative Trauma. The Psichoanalytic Study of the Child, vol. 18, Issue 1, 286-306.

        Krystal, H. (2007), Affetto, trauma, alessitimia. Roma, Astrolabio edizioni.

Lanius, R. A., Vermetten E. & Pain C. (2012), L’impatto del trauma infantile sulla salute e sulla malattia. L’epidemia nascosta. Giovanni Fioriti Editore Roma.

Liotti, G. (2005), La dimensione interpersonale della coscienza. Carocci, Roma.

Miti, G. & Onofri, A. (2011), La psicoterapia dei disturbi dissociativi: dalle tecniche cognitivo-comportamentali all’approccio EMDR. In Cognitivismo clinico (2011) 8,1, 73-91.

        Sar, V., Ozturk, E., Kindakci, T. (2002), Psychotherapy of an adolescent with dissociative identity         disorder: change in Rorschach patterns. Journal of Trauma and Dissociation, 3, 81-95.

Van Der Kolk, B.A. (2015), Il corpo accusa il colpo, Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche, Raffaello Cortina Editore, Milano.

Van Der Kolk, B.A, McFarlane A.C & Weisaeth, L. (2004), Stress Traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili. Magi, Roma.

[*] Psicologa
 
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