AUTOLESIONISMO: UNA STORIA

 

Marina Pompei[*]

 

 Abstract

        L'articolo presenta la storia di un ragazzo e della sua esperienza di autolesionismo. Se ne cercano le origini nella sua storia e anche nel contesto sociale scolastico e cittadino in cui vive. Si legge il sintomo come una domanda implicita da decifrare.

 

Parole chiave

         Autolesionismo – Sistema neurovegetativo – Contesto familiare e sociale - Sofferenza urbana.

 

Abstract

     The article tells the story of a boy and his self-harm experience. The roots are sought in the boy’s history as well as in his social, educational, and urban background. Symptom is viewed as an implicit question to be deciphered.

 

Key words

     Self-harm – Vegetative nervous system- Family and social context – Urban distress.

 

     Alessandro è uno studente difficile, è un ex paziente del reparto di neuropsichiatria infantile di un ospedale di una grande città, è un rapper, Alessandro è un ragazzo che cerca di raccontarsi. Lo fa in tanti modi che possono essere etichettati dai protocolli istituzionali o letti nella loro complessità. Tra la terza media e l'inizio del liceo sono sempre più evidenti le sue difficoltà relazionali con gli altri ragazzi e con gli adulti e si taglia braccia e gambe sempre più spesso.

     Sono tanti i ragazzi che mettono in atto questi comportamenti, in modo più o meno grave. Sono tanti i ragazzi che soffrono un profondo disagio manifestandolo nei modi più vari: aggressività, autolesionismo, ritiro sociale, produzione di sintomi invalidanti la loro vita, dipendenza da sostanze o da videogiochi. Le statistiche sono allarmanti, ci ricorda il prof. Stefano Vicari, responsabile del reparto di neuropsichiatria infantile dell'ospedale Bambin Gesù di Roma: il 16% degli adolescenti e il 10% dei bambini soffre di disturbi mentali; tra i 10 e i 25 anni il suicidio è la seconda causa di morte. Ma dentro le statistiche ci sono i singoli, specifici ragazzi, e per aiutarli dobbiamo entrare nelle loro storie individuali.

     Per Alessandro l'esplosione dei sintomi coincide con il periodo in cui i suoi genitori, dopo anni di conflittualità, si separano e il padre va via di casa. È il tempo della sua adolescenza, del dover entrare nel mondo adulto e non sapere come fare: “Non ero in grado di costruire qualcosa, non avevo gli strumenti giusti” racconterà poi in un video (Real time TV).

     Non si sente in grado di avere relazioni soddisfacenti con i compagni, di rispondere alle richieste della scuola, di immaginare un futuro degno di essere vissuto. Lo stato emozionale manifesto è di ansia, quello subito sottostante è di grande rabbia, ancora più nel profondo possiamo ipotizzare paura.

     Ci sono a disposizione i social, surrogati di relazioni vere[1] che illudono di essere insieme, in realtà sono strumenti di comunicazioni virtuali e non sono contatti che coinvolgono corpo ed emozioni. Suscitano emozioni che non sono condivisibili con altri esseri umani, non supportate dall'attivazione dei neuroni mirror (Rizzolatti, Sinigallia, 2006) che ci permettono di cogliere empaticamente l'altro e farci cogliere/accogliere dall'altro.

 

L'autolesionismo

     Alessandro comincia a tagliarsi: entriamo dentro al sintomo, leggiamolo  attraverso le sue parole: “non lo facevo per morire, era un piacere liberatorio”. Liberatorio da cosa? Dalla sua rabbia, dalla sua energia ingabbiata, dal dolore del suo animo. La sua energia adolescenziale è viva, vorrebbe esprimersi, ma non ne è capace, e allora implode dentro di lui.

INVIATO IMG POMPEI Dipinto di Donna LaryDipinto di Donna Lary

     Un'altra ragazza, con lo pseudonimo di Donna L'ary, ha scritto: ”Ricordi, sensazioni, e pensieri cattivi che mi convincono che la sola via d'uscita, l'unico modo per non soffrire è tagliarsi le mani e le braccia. Tutto si tinge di rosso e il dolore mentale sparisce, lasciando il posto al dolore fisico, che è molto meno penoso” (Donna L’ary, 2016, pag. 9).

     Gli studi di Van Der Kolk e altri (2004) confermano quanto già aveva affermato Reich (1994) nel suo Saggio sul masochismo: “Molti di coloro che normalmente raticano l'autolesionismo volontario riferiscono che l'automutilazione li fa sentire meglio e riporta in loro la sensazione di essere vivi”. (Van Der Kolk e altri, 2004, pag. 196).

     Un tentativo di sentire il proprio corpo vivo, di sentire emozioni forti. La richiesta sottostante è la ricerca di un senso della vita.

     Un tentativo di via di uscita che per Alessandro non è risolutivo, allora l'individuazione di un'altra via “creativa”, come lui dice: Farsi delle docce alzando al massimo la temperatura dell'acqua, immergersi in quel calore fino al collasso. Dopo scoprirà che il suo cuore è debole per problemi congeniti.

     Anche in questa seconda modalità non vuole morire, ma “rimanere lì, arrivare al limite”.

     “Perché non vuoi morire ma non vuoi neanche una vita di merda”.

     Comincia però ad aver paura di uccidersi davvero e chiede aiuto. Prima incontra una psicologa, con lei parla di sé e della possibilità di un ricovero in ospedale. Una settimana in un luogo che definirà poi “rassicurante”. Con due punti di riferimento: la psicologa e lo psichiatra, e con la possibilità di incontrare quel mondo di matti a cui aveva paura di appartenere.

     Come entriamo dentro questi due eventi (doccia bollente e ricovero rassicurante) per leggerli nella loro significatività profonda?

     Alessandro si sente inadeguato, sente ma non sa di avere un cuore debole. Il suo corpo gli racconta quello che il suo pensiero non sa. Se percepiamo anche senza averne coscienza, di essere deboli, il mondo intorno lo sentiamo molto più forte di noi, inarrivabile o addirittura minaccioso. Su questo terreno di instabilità lui ha cominciato a costruire la propria immagine di sé. E  quando a questo terreno debole si è aggiunta la conflittualità genitoriale, l'allarme si è innalzato. I bambini e i ragazzi hanno necessità di sentirsi all'interno di un sistema protettivo e nutriente, prima di avventurarsi nel mondo difficile dell'età adulta. Il difficilissimo compito dei genitori, o dei caregiver che si prendono cura di loro, è quello di accogliere incondizionatamente, proteggere e nutrire i piccoli, ascoltarli e osservarli crescere per trovare le modalità su misura per loro di sperimentazione della propria autonomia, supportata dall'incoraggiamento degli adulti. Un'immagine esplicativa: nei primi tempi della vita i caregiver, si danno la mano per formare un cerchio protettivo intorno ai piccoli, man mano che loro crescono il cerchio si apre permettendogli di iniziare a camminare nel mondo, ma gli adulti continuano a tenersi per mano, in alleanza, per restare saldamente alle loro spalle, come garanti.

     Per Alessandro, quando arriva la rottura del sistema familiare, con la separazione dei genitori, l'allarme supera la soglia di tollerabilità. Sente il mondo ancora più pericoloso, si sente solo e aggredito. La doccia fornisce calore rasicurante, è vasodilatarice, calma, ma non è sufficiente: ha bisogno di più e più calore, non per morire, ma perché la paura interiore gli dà tanto freddo.

     Quell'eccesso di calore tuttavia non basta a rassicurarlo: ansia, allarme, paura sono le emozioni dominanti, e allora il suo sistema neurovegetativo reagisce in modo primitivo, come ci dicono gli studi di Mac Lean (1984) prima e quelli di Porges (2014) poi. Quando la paura non può essere più circoscritta e affrontata dal sistema cognitivo e da quello muscolare, rimane un'ultima via d'uscita: come negli animali assaliti da un predatore, quando non è possibile reagire né contrattaccando né fuggendo, c'è la soluzione del fingersi morto: immobilità, collasso. Questo ha messo in atto Alessandro.

      Non ha gli strumenti per leggere tutto questo, ma ha una sufficiente energia vitale che gli permette di chiedere aiuto, e così arriva in ospedale, un luogo che sentirà rassicurante: lo chiama il bunker, c'è una porta blindata che isola e protegge il reparto, a sostituire il cerchio familiare che si è rotto, ci sono, per di più, una psicologa donna e uno psichiatra uomo su cui può agire un transfert genitoriale positivo (e allora vuol dire che, pur nelle loro difficoltà i suoi genitori hanno avuto anche valenze positive per lui), ci sono farmaci che danno cibo speciale per diventare più forti: è quello di cui ha bisogno in quel momento di emergenza.

     Dopo una settimana però, quel recinto rassicurante diventa troppo stretto, noioso, non c'è sufficiente vita per lui che ne è alla ricerca. Deve uscire. Non si sente guarito, ma sente che ce la può fare.

     Trova il coraggio di esprimere quello che sente, sapendo che non è cosa da matti. Cantare diventa la sua forma evoluta di terapia e il suo modo di contattare il mondo. La sua voce è l'espressione del suo corpo e del suo animo insieme, questa volta sintonici.

 

Il suo canto racconta

Mio padre se n'è andato ormai da tempo

mia madre piange in camera da letto

sento

strani pensieri intricarmi nella mia testa

resta

solamente il bisogno di stare bene

ma quando stai all'inferno è il diavolo che chiede

non avevo le passioni ma pressioni sull'umore

l'apatia distrugge la felicità delle persone

faceva freddo fuori quindi entravo nella doccia

e ad ogni goccia che scendeva un problema che

mi lasciava.

 

     Il cerchio protettivo e nutriente della famiglia si è rotto con una separazione che i due genitori non hanno saputo gestire in modo rassicurante e protettivo: Divisi come coppia non hanno saputo/potuto rimanere alleati nella funzione genitoriale. Un inferno gelido lo avvolge. Cos'altro c'è intorno a cui aggrapparsi? Gli amici? La scuola?

...

perché nei corridoi

nessuno che ti parla, nessuno che ti salva

neanche i professori

non parlavo con i miei compagni,

NO

venivo sempre allontanato

ricordo quelle volte che mi prendevate in giro

avete messo un muro che nessuno ha valicato

ancora.

...

Bocciato di nuovo

mi vesto di nero

abituato al giudizio

non provo più odio.

 

     Il primo sistema sociale che accoglie i bambini e li accompagna fino alla giovinezza è la scuola, con funzione di insegnamento e sperimentazione di regole funzionali al crescere civile. Ma è sempre così? Quante volte la ricerca dell'efficienza e le esigenze dei bilanci contabili si sovrappongono e schiacciano le finalità pedagogiche? Quanto sono formati e supportati i genitori e gli insegnanti per un compito difficile e in controtendenza rispetto agli imperativi culturali di una società dominata da individualismo rampante e dal bisogno di correre e vincere? A quali valori possono far riferimento i ragazzi in un contesto di piccoli valori provvisori e circoscritti che non suscitano passioni evolutive ma ansia da prestazione e disorientamento? I malesseri nati all'interno dei nuclei familiari si amplificano enormemente in un contesto sociale che non rispetta e accoglie la persona. La sofferenza individuale è sempre anche sofferenza di una società. Bauman (2011) ci fa vedere la nostra società liquida, dai confini sempre variabili e non prevedibili, priva di forme riconoscibili con cui rapportarsi, incapace di accogliere identità in formazione.

     È proprio sulla formazione, dal concepimento (De Bonis, Pompei, 2015) alla maturità (Mannella, 2018) che si gioca il nostro futuro, e sembra che in pochi se ne siano accorti!

 

Sofferenza urbana 

     I video di Alessandro divenuto rapper sono ambientati in un contesto urbano privo di bellezza e segni di relazioni, un contesto degradato e degradante, che non illumina orizzonti, un ambiente senza identità.

     Da qualche tempo, in piccoli contesti di avanguardia, è nata un'attenzione  a quella che è stata definita Sofferenza Urbana: la sofferenza che nasce dalla difficile interazione tra individui e contesti sociali urbanizzati. Ci  si interroga e si lavora su quella sofferenza esistenziale che non è catalogabile con i parametri medici e psichiatrici, ma che, se non viene intercettata, se non  le si dà dignità, degenera presto in patologia. Dati ISTAT ci dicono che il 10% dei giovani tra i 12 e i 25 anni si dichiarano insoddisfatti della propria vita, delle relazioni amicali e familiari e della loro salute.

     “Dove vado se sono infelice” è l'efficace titolo di un paragrafo del libro Intelligenze evolutive e processi di sofferenza urbana[†], di Loredana Sucato e Antonella Messina, nato da una bella esperienza del centro Agorà, all'interno dell'Azienda Sanitaria Pubblica 3 di Catania, che, oltre ad osservare e studiare questa specifica sofferenza, cerca una modalità di intervento che aiuti le persone a ritrovare il tempo e lo spazio del proprio corpo frammentato nella nostra società liquida e frammentata anch'essa.

     A livello internazionale, il gruppo di studio intorno alla rivista “SouQuaderni” affronta il fenomeno della sofferenza che si genera nelle grandi metropoli, promuove e presenta reti e connessioni con le grandi città del mondo che vivono situazioni simili, contesti analoghi di urbanizzazione e quindi di marginalizzazione e di nuove povertà.

     Faccio mia l'affermazione conclusiva del libro di Sucato e Messina: “Pensiamo sia opportuno, in questa fase, lasciarci con domande aperte che speriamo di poter condividere con tutti quelli che, preposti o meno alla cura e all'attenzione del malessere dell'uomo, vorranno farlo”.

[†]  Sucato, L., Messina, A. Intelligenze evolutive e processi di sofferenza urbana (2019)


[1] Secondo i dati dell'Osservatorio sulle Comunicazioni a cura dell'AGCOM, a settembre 2018, 42,7 milioni di utenti unici si sono collegati a Internet per circa 70 ore di navigazione per persona.

 

 

Bibliografia

 

Donna L'ary (2016), Ai miei occhi.  Roma: Alpes.

Mac Lean, P., (1984), Evoluzione del cervello e comportamento umano. Torino: Einaudi

Porges, S. W. (2014), La teoria Polivagale: fondamenti neurofisiologici delle emozioni. Roma: Giovanni Fioriti editore

Rizzolatti, G., Sinigaglia, C. (2006), So quel  che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio. Milano: Raffaello Cortina editore.

Sucato, L., Messina, A. (2019), Intelligenze evolutive e processi di sofferenza urbana. Catania: Marcor D'.

Van Der Kolk e altri (2004), Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili. Roma: Magi.

[*] Psicologa psicoterapeuta, analista e didatta supervisore S.I.A.R.
Share