ALTRE CULTURE ALTRI TEMPI
OTHER CULTURES OTHER TIMES
DOI: 10.57613/SIAR14
Antonella Messina[*]
Abstract
L’articolo propone riflessioni sull’organizzazione del tempo all’interno della società occidentale contemporanea. L’accelerazione e la vita di fretta possono confrontarsi con altri modi di organizzare il tempo in altre culture (africana, cinese, buriata, cristiano ortodossa). Chi legge potrà riflettere sul tempo come categoria culturalmente determinata.
Parole chiave
Tempo – culture – differenze.
Abstract
The article proposes reflections on the organization of time within contemporary western society. The speeding up and life in a hurry can confront other ways of organizing time in other cultures (African, Chinese, Buryat, Orthodox Christian). Readers will be able to reflect on time as a culturally determined category.
Keywords
Time – Cultures – Differences.
Se è vero che “l’invenzione determinante
per l’età industriale non è il motore ma l’orologio[1],
allora nell’epoca post industriale
dovrebbe emergere una nuova esperienza del tempo
Raimon Panikkar
Una rotazione degli occhi sull'accelerazione occidentale contemporanea
La società occidentale contemporanea, sembra, nella maggioranza dei processi organizzativi e relazionali, essere improntata sulla cultura del tempo esterno, misurabile e d’orologio, lineare, progettuale, passibile di un’accelerazione utile ad arrivare il prima possibile e velocemente a degli obiettivi prefissati. Intenzione dell’articolo è esplorare come altre culture abbiano elaborato modalità differenti di gestire il tempo, per aprire ad una pensabilità di altri come utili ad organizzare il tempo. L’idea dell’articolo nasce dalla volontà di occuparsi delle sempre più numerose esperienze di ansie, sensi di inadeguatezza, impotenze, insostenibilità, spaesamenti, legati alla percezione del “non avere tempo”. Prendiamo atto con le parole del filosofo e teologo Panikkar (2021) del fatto che l’impostazione di quella che chiamiamo “Era tecnologica moderna” deriva direttamente da una certa civiltà, la quale presuppone una certa concezione della vita, che -a ragione o a torto- non è affatto universale”. (Panikkar, 2021, pag.16).
Può essere importante interrogarsi, anche come psicologi, su che tipo di civiltà stiamo vivendo e su come questa possa incarnarsi nei sistemi mente/corpo. Come recita il titolo di un libro di un etnopsichiatra francese, Tobie Nathan, Non siamo soli al mondo: è importante tenerne conto per riflettere sulle proprie radici e sull’impatto che gli incontri con altri modi di vivere possono avere su di noi.
L’intento di questo lavoro è dialogare anche con chi lavora con le relazioni di cura, per proporre una visione, meta e consapevole, della possibilità che il tempo esterno, così’ come lo pensiamo, viviamo, abitiamo, organizziamo è una costruzione culturale, socio-economica, veicolata da dispositivi sociali che contribuiscono alla soggettività (Guarrasi, 2012) e propone un tempo veloce accelerato competitivo ansiogeno, frammentato, deprivato del corpo. Lungo questo processo potrebbe essere possibile esplorare la possibilità che alcuni dei disagi contemporanei (accelerazioni, competitività insostenibili e relative ansie, disattenzione al corpo) possano essere contestualizzati, riconosciuti come una delle risposte possibili dentro una cultura, occidentale e contemporanea, dal tono perfomante, allarmato e fondato su un tempo esterno scollato dai ritmi interni del corpo (sonno, riposo, respiro, battito del cuore, per citarne alcuni).
In questa ottica l’articolo propone una rotazione degli occhi[2], una possibilità di ruotare lo sguardo circondando il circondante, circondando la cultura che ci circonda, per accedere a visioni di altri tempi possibili ed appropriati.
Si tratta di osservazioni verso l’esterno rimanendo in ascolto del proprio tempo interno, lasciando poi emergere il cosa ci abita dentro, quando, compiuta la rotazione, torniamo allo sguardo con cui ci muoviamo solitamente nel mondo; in termini simbolici si tratta anche di sentire come risuona il nostro modo di organizzare il tempo dopo avere esplorato altre organizzazioni del tempo esterno. Questo processo, un vero e proprio “viaggio di ritorno” dalle esplorazioni, può avere l’esito di confermare, riscegliere, contaminare, armonizzare, evolvere ciò che già sapevamo (etimologicamente sapere da sapio, che aveva sapore per noi) lasciandoci immersi nella consapevolezza dell’esistenza di un campo di possibilità ampio, tridimensionale, intimo, variegato.
Proprio come percorrendo con gli occhi il perimetro di un cerchio, verranno di seguito individuate, osservate, descritte, strutture culturali e percezioni del tempo tra loro differenti. Volutamente non ci si soffermerà nel commentare ogni scena descritta. L’intento è di generare nel lettore una rotazione che possa rendere fluido il viaggio tra i differenti “come temporali”.
Marie Louise Von Frantz psiconalista, ricorda nel 1980 che nel libro Il pensiero cinese (1943), il sociologo Marcel Granet scrive che per l’antico pensiero cinese il contare (oggetti e tempo) è sempre stato qualitativo e non quantitativo, fondato sulla qualità che ogni numero possiede piuttosto che sulla quantità dei numeri. In Divinazione e sincronicità scrive la Von Franz: “Per la mente cinese il numero crea associazioni qualitative (…) poi arrivai a leggere una storia incredibile che l’autore racconta: riuscì a svegliarmi. Questa è la storia. Durante una battaglia, undici generali, si trovarono a decidere se dovessero attaccare o ritirarsi. Nella discussione che seguì, alcuni erano favorevoli all’attacco, altri alla ritirata. Il confronto con la strategia da adottare si protrasse a lungo e, non riuscendo a trovare un accordo, decisero di votare. Tre generali votarono per l’attacco e otto per la ritirata. I generali decisero a quel punto di attaccare , perché il 3 è il numero dell’unanimità. (…) Un cinese potrebbe pensare che inconsciamente i generali erano già unanimi sull’attacco benché solo tre di loro fossero coscientemente di quel parere. Perciò stando alla storia, attaccarono e vinsero” (Von Franz, 2019, pagg.128-129).
La tradizione cristiana è fatta anche di meditazione e di un tempo interno sacro e qualitativo che consente di essere sempre in connessione con il divino; la tradizione dell’esicasmo[3] narrata nei Racconti di un pellegrino russo, prende ispirazione dalle parole di Paolo, “pregate incessantemente”, per parlare di una preghiera continua che abita nel cuore. Si tratta di una preghiera le cui parole, ripetute costantemente, incessantemente, proprio con il ritmo del respiro, costituiscono un modo di essere in permanente contatto con il divino, abitando il proprio tempo interno mentre nel tempo esterno si compiono i gesti della quotidianità. Nel libro il pellegrino sostiene che:“ Qui sta il punto: noi siamo lontani da noi stessi, e nemmeno abbiamo gran desiderio di riavvicinarci, anzi continuiamo a sfuggire per non ritrovarci di fronte a noi stessi, e barattiamo la verità con le nostre cose futili, salvo poi pensare ”come mi piacerebbe occuparmi di cose spirituali o della preghiera, ma non ho tempo, gli impegni e le preoccupazioni della vita non mi lasciano modo di occuparmene”. Ma che cosa è più necessario: la salvezza eterna dell’anima o la vita transeunte del corpo, per cui tanto ci affanniamo?[4]
Gli sciamani della Buriazia (regione meridionale della Siberia al confine con la Mongolia) ed in generale lo sciamanesimo turco-mongolo, ritengono che l’uomo occidentale abbia un rapporto perturbato con il tempo poiché il suo io si è separato dalla natura e divenendo altro da essa ha dimenticato di essere immortale. Per tale motivo l’uomo teme la morte e vive un tempo spaventato, di solitudine e mancanza, senza leggere l’immenso cui appartiene. L’umano ha tentato di porre rimedio a questa paura utilizzando il potere del controllo, anche del tempo, e teorizzando, di essere un’entità superiore alla natura. Questo ha acuito la solitudine dell’uomo occidentale che ha dimenticato di essere una sfera, composta da una metà carnale e visibile e da una metà invisibile. Per questi sciamani quando l’uomo imparerà a non temere la grande soglia che insiste tra le due metà della sfera, visibile ed invisibile, vita e morte, inizierà ad essere libero dalla paura e dalla morte e non pretenderà di controllare il tempo e la natura.
La Grecia antica prevedeva un dialogo continuo con l’invisibile (le divinità) e tre parole per esprimere il tempo. Il termine Chronos indicava la successione di istanti, il tempo nella sua sequenza cronologica e quantitativa, oltre che divinità terribile e potentissima che divora i propri figli. Il termine Aiòn designava la vita come durata, teneva conto di una continuità persistente tra le intermittenze e le anacronie dell’esistenza personale. Con il termine kairòs si indicava l’occasione, il momento propizio che l’umano può cogliere: una istantanea, sacra, vigile capacità di lettura che consente un contatto con il tempo assoluto e modifica qualitativamente lo stato degli accadimenti. Si poteva parlare di Kairòs nella strategia militare, nell’anamnesi del medico, nell’abilità del retore.
Il verbo essere in Africa, specie nelle lingue bantu[5] rappresenta una Forza vitale in continuo divenire. Il tempo è la manifestazione di questa forza vitale antica ed ancestrale cui l’individuo/collettività sa di appartenere: “Se chiediamo ad un Africano perché si è comportato in un certo modo in una determinata circostanza essenziale, la sua riposta è icastica: «Come i nostri Antenati fecero nei tempi antichi, così facciamo oggi; come è stato tramandato dall’inizio della creazione della terra, così dobbiamo fare noi». Durante i riti di iniziazione i fanciulli non imparano «ciò che hanno fatto i genitori o i nonni», bensì «ciò che per la prima volta» fu compiuto dagli Antenati. (Miguel, 2009, pp. 59-76).
Non si tratta di imitazione o di tradizione tramandata, ma di una connessione con il tempo delle Origini, ovvero: “Nella risposta degli Africani, le espressioni “tempi antichi”, “inizio della creazione della terra” più che darci un senso storico-cronologico, ci ridanno una dimensione in cui il tempo e il divino si confondono. (Ibidem).
A conclusione di questa rotazione lungo i tempi altri, vengono in mente le parole di Hanna Arendt, in La vita della mente (pubblicato postumo nel 1976) sulla responsabilità di abitare il proprio presente. Nel commentare l’opera Angelus Novus di Paul Klee, acquerello del 1920, la Arendt descriveva un angelo che volge le spalle al futuro (che gli sta innanzi e gli taglia la strada) e guarda inorridito al passato. La filosofa sosteneva la necessità e la possibilità di trovare un punto, proprio convergente nell’Angelo che ella associa all’umano, dove tempo passato e tempo futuro si intersecano creando una diagonale all’infinito, un tempo in cui l’umano può abitare il presente e scegliere di assumersi la responsabilità di un tempo storico. Le psicoterapie e le relazioni di cura incontrano sempre più spesso individui contemporanei, “digitalmente determinati”, in continua accelerazione, protesi verso un futuro ingombrante, in difficoltà nell’abitare il presente. Per costoro il tempo sembra non bastare mai, il loro sembra essere un contatto/fuga con la frammentarietà della propria esperienza, del proprio tempo (inteso anche come durata) e del proprio corpo. Rimangono tutte in divenire le riflessioni sulla possibilità che derivano dai viaggi di ritorno con il corpo, con le culture e con le intelligenze evolutive.
[*] Psicologa, Psicoterapeuta, Analista S.I.A.R. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. Studio professionale: Via Cuturi, 8. Catania.
[1] Munford L., Technics and civilizatione, cit in Panikkar R., Spazio tempo e scienza, volume XII, pag.14
[2] La rotazione degli occhi è un movimento oculare circolare e volontario che attiva l’area della corteccia prefrontale neopalliale stimolando i pattern più complessi ovvero più alti in organizzazione evolutiva. Richiama capacità di metacomunicazione, oltre quelle di integrazione di inclusione, di definzione circondante, di limite separazione, di sfericità di interezza.(Ferri, 2020).
[3] L'esicasmo (dal greco hesychia, calma, pace, tranquillità, assenza di preoccupazione) è una dottrina e pratica ascetica diffusa tra i monaci dell'Oriente cristiano fin dai tempi dei Padri del deserto tra il IV e il VI secolo, ancora praticata nell’Oriente Cristiano e in alcuni gruppi cristiani occidentali. E’ detto anche preghiera di Gesù o preghiera del cuore, consiste nella ripetizione incessante della stessa formula, nella propria mente, secondo il ritmo del respiro, mentre si praticano gli affare della vita quotidiana (camminare, lavorare, mangiare, ecc.). Consente di distinguere e far convivere il tempo sacro di connessione con il divino ed il proprio corpo, con il tempo del fare.
[4] La prima edizione dell’opera sembrerebbe datata nel 1881, sull’autore anonimo alcune ipotesi lo individuano nel contadino russo Nemytov
[5] Il termine Bantu si associa alle culture e alle oltre 500 lingue parlate nell’Africa centrale e meridionale.
Bibliografia
Anonimo (2021), Racconti di un pellegrino russo. Milano: Edizioni Paoline.
AA.VV. (2009), Le frontiere della geografia. Novara: Utet.
Arendt H. (2009), La vita della mente. Bologna: Il Mulino.
Boella L. (2020), Hannah Arendt. Un umanesimo difficile. Miliano: Feltrinelli.
Calloni Williams S. (2020), Lo yoga sciamanico. Volontà senza paura. Roma:Edizioni Mediterranee.
Ferri G. (2020), Il tempo nel corpo. Attivazioni corporee in psicoterapia. Roma: Alpes.
Granet M.(1970), Il pensiero cinese. Milano: Adelfi.
Guarrasi V. (2012), La città cosmopolita. Geografie d'ascolto. Palermo: Palumbo.
Harari Y.N.(2018), 21 lezioni per il XXI secolo. Milano: Bompiani.
Miguel P.F. (2009), JIKUKU. L’ontologia ancestrale, in “B@beleonline/print” Rivista di Filosofia, Università Roma 3, n°6, anno 2009.
Munford L.(1934), Technics and civilizatione. New York: Brace &world.
Nathan T. (2003) Non siamo soli al mondo. Torino: Bollati Boringhieri.
Panikkar R. (2021), Spazio tempo e scienza, volume XII, Roma: Jaka book.
Raffestin C. (2005), Dalla nostalgia del territorio, al desiderio di paesaggio. Elementi per una teoria del paesaggio. Firenze: Alinea.
Temples P. (2005), Filosofia Bantu. Milano: Medusa.
Von Franz M.L. (2019), Divinazione e sincronicità. Roma: Tlon.
Zolla E. (1988), L’amante invisibile. L’erotica sciamanica nelle religioni nella letteratura e nella legittimazione politica. Venezia: Marsilio Editori.