Numero 1/2023

UN CASO DI ANORESSIA NERVOSA SU BASE DEPRESSIVA

Una rilettura in Analisi Reichiana Contemporanea

 

A CASE OF NERVOUS ANOREXIA ON A DEPRESSIVE BASIS

A rereading in Contemporary Reichian Analysis

 

DOI 10.57613/SIAR 32


Genovino Ferri [*] e altri [**]

 

Abstract

     Il presente studio è una rilettura dei fattori coinvolti nella genesi, evoluzione ed esiti osservati in un caso clinico di anoressia nervosa. Tale rivalutazione è stata effettuata nella prospettiva del nuovo paradigma scientifico globale, quello dell'evidenza scientifica, in una modalità specifica, la cosiddetta "ricerca traslazionale". Essa consiste nell'applicazione di evidenze scientifiche, di elevata qualità metodologica, scaturite da risorse terapeutiche innovative, attuate in condizioni cliniche di bassa responsività a risorse terapeutiche convenzionali, come nel caso dell’Anoressia Nervosa, un grave disturbo alimentare che mette a rischio la vita della persona che ne è affetta. Lobiettivo di questa ricerca è di valutare i limiti e le possibilità di un intervento psicoterapeutico individuale, clinico-analitico, in un caso di anoressia nervosa su base depressiva. Il metodo usato è stato l’approfondimento del caso clinico, con focus sulla relazione analitico-terapeutica, sulle attivazioni psicocorporee e sulla psicofarmacoterapia. Essi sono i tre principi attivi  utilizzati nell’ottica dellAnalisi Reichiana Contemporanea per un processo psicoterapeutico appropriato.

Parole chiave

     Disturbi Alimentari - Anoressia Nervosa – Depressione – Psicoterapia - Analisi Reichiana Contemporanea - Relazione Analitico Terapeutica  -Attivazioni Psicocorporee – Psicofarmacoterapia - Salute Basata sulle Evidenze (S.B.E.) – Ricerca Traslazionale.

Abstract

     The present study is a review related to re-reading the analysis of the factors involved in the genesis, evolution and outcome observed in an anorexia nervosa case report. The reassessment was conducted from the perspective of a new global scientific paradigm for scientific evidence, in a specific branch of this methodology, known as “translational research”, which is the application of high methodological-quality evidence, turning it into innovative therapeutic resources, that can make the difference in the management of clinical conditions with low responsiveness to conventional therapeutic resources, as in the case of Anorexia Nervosa, which is the manifestation of a serious eating disorder that may present risks to the patient. Therefore, the scope of the present research is to evaluate the limits and potentiality of individual psychotherapeutic intervention in cases of anorexia nervosa, with a depressive basis, by means of a clinical – analytical reading.

     The method for the study was the deep analysis of a clinical case, based on the analytical-therapeutic relationship, on the psycho-bodily activations and their related psyco-pharmacotherapy. These are the three active principles in Contemporary Reichian Analysis, which represents a theoretical-practical reference in an appropriate psychotherapeutic process, as detailed below.

Key words

     Eating Disorders - Anorexia Nervosa – Depression – Psychotherapy - Contemporary Reichian Analysis -  Analytical Therapeutical Relationship - Psycho Bodily Activations -  Psychopharmacotherapy -  Evidence-Based Medicine (EBM) - Translational Research.

Introduzione

     La Salute Basata sulle Evidenze (S.B.E.) è il nuovo paradigma scientifico globale contemporaneo e rappresenta la più completa comprensione dei fenomeni e dei processi biologici che minacciano la vita degli individui, in termini di aspettativa di vita,  di benessere, di salute mentale e qualità della vita. A causa di fattori di rischio di diversa natura sull'evoluzione delle malattie, per aumentare il successo di un intervento terapeutico è importante tenere presente che le scienze della salute sono governate da leggi probabilistiche. La S.B.E. ha criteri specifici e sistematizzati per valutare gli interventi terapeutici, per renderli più efficaci in un contesto in cui predominano incertezze e deviazioni dalle risposte attese, dovute alla soggettività esistenziale. All'interno di questi criteri, le risorse sanitarie più valide, sia per la diagnosi che per il trattamento e la prevenzione delle malattie, devono rispettare comunque i principi di efficacia, di efficienza e di sicurezza. In questo modo la S.B.E. include la soggettività dei pazienti, oltre a consentire l'uso razionale delle risorse disponibili (Good Clinical Practice).

    È noto che nel mondo reale sempre meno pazienti evolvono secondo i presupposti della fisiopatologia delle malattie che li hanno portati a chiedere aiuto. Gli interventi sanitari di fatto sono unici e personalizzati perché ogni caso è diverso. La decisione del professionista riguardo al momento e al tipo di intervento, con la  S.B.E. presenta una possibilità di maggiore successo.

     La “ricerca traslazionale” della S.B.E. consiste nell'applicazione di evidenze scientifiche di elevata qualità metodologica, che le rendono risorse terapeutiche innovative e possono fare la differenza nella gestione di condizioni cliniche di bassa responsività alle risorse terapeutiche convenzionali. In questo modo il progetto terapeutico, eseguito con la metodologia S.B.E. sarà a partire dall'elaborazione della domanda PICOT (Problem/Intervention/Compatable/Outcome/Time).

 

Anoressia Nervosa

     Si tratta di un disturbo alimentare che porta la persona a preoccuparsi troppo del proprio peso, presentando un’alterazione della sua immagine e una paura morbosa di ingrassare. È un fenomeno che, ad oggi, interessa circa il 10% delle donne e si caratterizza come il disturbo psichiatrico con il più alto indice di mortalità. Caratteristiche della personalità e comportamenti precursori della malattia sono rappresentati da: perfezionismo, diete, affettività negativa, depressione, impulsività, disturbi d’ansia, pressione verso l’essere magri dovuta all’ambiente. Sin dall’adolescenza, l’anoressia nervosa  ha un ideale rigoroso dell’ego, una vulnerabilità narcisistica, un conflitto tra dipendenza e autonomia, un rifiuto delle pulsioni e una difficoltà ad affrontarle.

  1. Freud, riguardo l’anoressia nervosa, osservava: "la nevrosi alimentare parallela alla malinconia è l’anoressia: una malinconia che si verifica laddove la sessualità non si è sviluppata. La perdita dell’appetito in termini sessuali è la perdita della libido" (Minuta G- W.Fliess- 1895, 2:29-35).
  2. Abraham sosteneva che le pulsioni sadiche del soggetto malinconico sembrano protendersi verso l’annichilimento, divorando l’oggetto dell’amore.

     Altre ricerche psicoanalitiche di  Evelyne e Jean Kestemberg e Simone Decobert hanno individuato negli anoressici una struttura con elementi di perversione: il piacere di essere insoddisfatti coltivando situazioni di vuoto e di fame. La posizione Analitica Reichiana Contemporanea sposta l’eziopatogenesi analitica dei disturbi della condotta alimentare (D.C.A.) sulla freccia del tempo ontogenetico, fino alla relazione oggettuale primaria del Sé, deficitaria nei D.C.A., a partire dalla oralità primaria intrauterina dell’area ombelicale profonda (6° livello corporeo relazionale) e della bocca (2° livello corporeo relazionale). Dal punto di vista psicodinamico si evince, inoltre, la disperata difesa narcisistica secondaria, di sopravvivenza, segnata perifericamente nel collo (il 3° livello corporeo relazionale), che si presenta come segmento molto rigido e corazzato. Valutando un collegamento con la nostra modernità liquida, fatta di relazioni accelerate e rarefatte, si rafforza l’ipotesi di un ulteriore fattore eziopatogenico dell’anoressia: la scena sociale. Il super-ego famigliare è stato sostituito dal super-ego social-mediatico, che si mostra freddo, persecutorio ed escludente, che rende vulnerabili le relazioni oggettuali primarie, perché spinge la società in un’immersione oltre-soglia nella grande area orale.

     Oggi si fa sempre più uso di farmaci antidepressivi e antipsicotici atipici. Cosa chiediamo loro? Di colmare il vuoto dei nostri rapporti affettivi? Di procurarci più struttura e meno liquidità orale per  sostenere l’accelerazione dei nostri ritmi? O entrambe le cose? Essi vanno utilizzati fondamentalmente per facilitare un contatto psicoterapeutico, diminuendo la sintomatologia oltre-soglia del tratto orale di carattere!

 

Metodologia

     L’Analisi Reichiana Contemporanea (A.R.C.) propone una lettura ad alta coerenza epistemologica, che si informa alla Teoria della Complessità (entropia/neghentropia) e alla teoria generale dei sistemi, guardando alla relazioni e all’interdipendenza tra le parti che formano un insieme. Il suo pensiero ha uno stile circolare e lineare, parziale e intero, bidimensionale e tridimensionale. L’A.R.C. include l’intelligenza del corpo, come traccia straordinaria in una lettura-visione tridimensionale della persona: pratica una grammatica psicocorporea appropriata e precisa, propone una rilettura clinico-analitico-corporea della psicopatologia e dell’inconscio, aprendo a dimensioni pre-soggettive e intercorporee nell’ambito del setting terapeutico. Possiede una diagnostica differenziale che permette un progetto terapeutico personalizzato. Osserva il come del pensiero, del linguaggio verbale, del linguaggio del corpo, il carattere delle relazioni, ma anche il tempo evolutivo e i pattern di tratto depositati nei cassetti del tempo nella storia intera della persona. Il modello coniuga psicoterapia, psicofarmacoterapia, neuroscienze, psicanalisi e corporeità, mentre dialoga con altri indirizzi psicoterapeutici. Esso parte dall’osservazione dei fenomeni della vita, delle loro cause, delle loro sequenze temporali. Il modello introduce la freccia del tempo filo-ontogenetico con i segni incisi dalle relazioni oggettuali vissute nelle fasi evolutive, sui livelli periferici del corpo, che faranno gli stili relazionali, ma faranno anche i segni incisi epigenetici e neuromediatoriali per i nuclei cerebrali nelle stratificazioni dei cervelli.

     Il modello, nell’includere i segni incisi della storia biologica e biografica della persona, dichiara che il corpo è imprintato primitivamente bottom up, nella circolarità bottom up / top down mentre si forma la mente. Nell’osservare il mondo interno evolutivo lo vediamo emergere quindi corporal-mente sulla freccia del tempo neghentropico. La vita infatti inizia ontogeneticamente dal concepimento e si sviluppa fino alla maturazione cerebrale, seguendo una direzione evolutiva ascendente e neghentropica. Con la stazione eretta e la deambulazione bipede, poi, nella filogenesi, arriva la tridimensionalità dello spazio-tempo, che permette la profondità stereoscopico-visiva nell’osservazione delle cose. La circolarità bottom up / top down della vita quindi è presa in considerazione nella diagnosi e nel progetto terapeutico mirato a quella persona, per cui si valuteranno i sintomi clinici e la loro storia biologico-biografica segnata nei livelli corporei, si valuteranno così anche gli stili relazionali dei tratti caratterologici, incisi dalle domande implicite, relazionali e di fase della persona.

     L’obiettivo dell’indirizzo è sviluppare una capacità diagnostica più precisa e personalizzata, includendo il corpo e i livelli corporei relazionali, che trasmettono dalla periferia informazioni al sistema nervoso centrale tramite le vie cortico-spinali. Con l’addizione di un’ottica clinico-analitica-corporea è possibile leggere una localizzazione etiopatogenetica in 3D e stratificata dei disturbi alimentari, delle malattie psicosomatiche, dei disturbi affettivi e psicopatologici; tale ottica si porta fin nei primi 500 giorni della storia della relazione oggettuale primaria, nel setting terapeutico, ovvero all’inizio di quel viaggio che, come afferma A. Damasio, va “dal Sé Oggetto al Sé Soggetto”. L’A.R.C. confronta ed include, nel suo indirizzo psicoterapeutico, i dati neuroscientifici più significativi e attuali, offerti dalle ricerche di A. Damasio, V. Gallese, G. Bateson, F. Varela, H. Maturana, E. Tiezzi,  S. Porges, E. Kandel, A. Schore.

immagine anoressia 2Caso clinico-analitico

     L’obiettivo è individuare “il quando il dove e il come” si sono incisi i segni relazional-corporei di Isabella, nella sua freccia del tempo evolutivo, che hanno portato alla sua anoressia nervosa, come equivalente depressivo. Isabella all’età di 38 anni cerca un progetto psicoterapico, è molto magra, è alta 155 cm e pesa 37 kg. La sua domanda: elaborare la separazione dal fidanzato, perché è alla fine della loro relazione che ha perso 10 kg.

L'anamnesi.

     Ha una prima crisi di anoressia all’età di 14 anni, una seconda all’età di 29 anni e questa attuale quindi è la terza crisi. Arrivata al mondo non programmata dai genitori, la sua nascita è stata da parto naturale, non c'è stato allattamento materno. Riferisce che fin dalla gravidanza la relazione tra sua madre e lei non è stata mai buona, Isabella racconta di disperazioni riferite dalla madre quando seppe di lei in grembo. La descrive come persona pessima e non equilibrata.

     Il periodo perinatale rappresenta una finestra temporale critica, dove le esperienze ambientali possono provocare, a lungo termine, conseguenze sul sistema nervoso e sul comportamento, spesso un carico allostatico (stress), con incidenza sulla corteccia prefrontale, sull’ippocampo o sull’amigdala. Gli studi delle neuro immagini funzionali dimostrano un aumento del volume di queste strutture in caso di depressioni maggiori e di disturbi d’ansia della madre. Nelle donne colpite dalla depressione nel corso del terzo trimestre di gravidanza, infatti, Oberland et al. hanno osservato un grado superiore di metilazione del promotore e dell’esone 1F verso il recettore dei glucocorticoidi NR3C1 nei loro neonati. Risultati analoghi sono stati confermati da McGowen et al., che hanno studiato l’espressione del gene NR3C1 nei neuroni dell’ippocampo di persone vittime di abusi sessuali durante l’infanzia che si sono poi suicidate.

     Allan N. Schore afferma che il cervello sinistro, quello pensante del raziocinio, altamente verbale e analitico, non si sviluppa prima del secondo anno di vita e partecipa poco alle relazioni primarie. Il primo periodo critico dello sviluppo del cervello destro ha inizio durante il terzo trimestre di gestazione (ipotizziamo anche prima?) e prosegue fino al secondo anno di vita. Per la sicurezza emotiva è fondamentale lo sviluppo del cervello  destro, il quale viene modellato dalle relazioni con l’ambiente  durante l’infanzia. Secondo Allan N. Schore, una relazione particolarmente significativa, come quella terapeutica, è simile all’esperienza dell’attaccamento, capace di attivare i circuiti cerebrali destri, provocando una serie di modifiche nell’assestamento dell’affettività e dell’espressione emotiva, un fattore capace di interferire nelle mutazioni dei processi epigenetici. Stalh confronta il rapporto terapeutico nel setting con gli psicofarmaci e lo intende come probing neurobiologico in grado di indurre cambiamenti epigenetici nei circuiti cerebrali, tanto da meritare il titolo di epigenetic-drug.

     La madre di Isabella, testimone di Geova, era molto aggressiva, reattiva e maltrattante i suoi 4 figli. Isabella, terza di 4 fratelli, ha 2 sorelle più grandi e un fratello minore. I genitori, argentini, sono stati sposati per 8 anni. Dopo la separazione dei genitori, la madre inizia una nuova relazione con un altro uomo e Isabella sceglierà di vivere con il padre dagli 8 agli 11 anni. All’età di 11 anni, il padre ha una nuova compagna e Isabella torna dalla madre. Vivrà con lei dagli 11 ai 19 anni. Il padre, uomo intelligente, professionalmente con alto ruolo esecutivo, viaggia molto per lavoro. Nonostante fosse affettuoso con i figli, non lo esprimeva corporalmente. Isabella, all’età di 12/13anni, viene accusata dalla madre di seduzione e  di essere colpevole dell’abuso subito dal patrigno. Quel giorno, sconvolta e spaventata, andò a nascondersi sotto al letto in camera sua, dove rimase per due giorni interi.

     Isabella non amava il suo corpo, non si accettava e pensava di essere una ragazzina brutta. Quando le sue due sorelle maggiori lasciano la casa materna, lei 14enne  vive la sua prima crisi di anoressia su base depressiva, ma la madre non se ne accorge nemmeno. Anche il fratello minore dopo qualche anno va via e raggiunge le sorelle. Lei è l’ultima a farlo, a 19 anni, e torna nuovamente dal padre. Il padre e la sua compagna la accolgono. Isabella ricorda di essere sempre stata criticata dalla madre che le diceva di essere brutta, la picchiava, le prediceva che non avrebbe mai combinato niente di buono. 

     La seconda crisi di anoressia su base depressione arriva all’età di 29 anni, al termine di un’altra relazione affettiva. Oggi si giudica una persona “non gradevole, che non ha nulla da offrire alle altre persone”. Dichiara che l’unica ragione per cui non si toglie la vita è quella di non voler far soffrire suo padre, perché non lo merita. Dal punto di vista professionale è molto competente, ha una posizione di alto livello e dirige un gruppo. Non conosce il linguaggio delle relazioni e non sa parlare d’altro che del proprio lavoro.

Osservazioni

     I sintomi legati ai disturbi alimentari di Isabella sono indicatori della difettualità della relazione nella sua oralità primaria, nel tempo intercorporeo e pre-soggettivo con la madre. Nel caso di Isabella, l’anoressia ha avuto anche l'importante funzione emotiva di mantenere il suo pattern di tratto capace di distanziare e rimuovere la fase orale deficitaria da mancanza di nutrimento materno, bloccando il collo in una disperata difesa narcisistica.

     La sua domanda implicita riguardava il tema dell’esclusione e dell’abbandono. Non è stata allattata dalla madre, i suoi neuroni mirror non hanno specchiato sorrisi inclusivi materni, né tanto meno il calore prosodico. Isabella non è cresciuta in un campo materno sufficientemente buono, fondamentale per avere una buona resilienza di base. L’inclusione e l’accettazione primaria nascono dai segnali trasmessi dal linguaggio del corpo della madre durante le fasi della relazione oggettuale primaria (neuroni mirror, contatto e presenza).

     Isabella racconta spesso dell’abbandono e della noncuranza della madre nei suoi riguardi, si lamenta di non essere stata vista dalla madre, di non essere stata letta nelle sue necessità, nemmeno nelle sue crisi di anoressia. Al contrario, riceveva risposte violente, abusi e minacce, senza un luogo sicuro dove rilassarsi. Per sopravvivere doveva stare in costante stato di allarme e fuga. Racconta un episodio vissuto all’età di 6 anni quando, non volendo mangiare, la madre prese il piatto e glielo sfregò in faccia. Il come del rapporto di Isabella con l’Altro da Sé nel suo tempo intrauterino e oro-labiale è stato molto stressante, un tempo di primi dialoghi con gli oggetti parziali madre-utero e madre-capezzolo; tali segni incisi sono piuttosto evidenti nella narrazione storica delle sue relazioni, anche successive. Come noi comunichiamo con il mondo, il nostro stile, è fondamentale nelle relazioni della vita. Le comunicazioni sono interazioni che alimentano le relazioni.

     Isabella oggi, oltre alla difficoltà di comunicare e relazionarsi con i colleghi di lavoro, ha molte difficoltà nel rapporto affettivo con gli uomini. Ha ripetuto sempre, nelle sedute di terapia, che mai sarebbe riuscita a vivere un rapporto amoroso, avendo con sé la peste emozionale materna che le parlava della sua incapacità, bruttezza e imperfezione. Isabella infatti si attribuiva un’autoimmagine dispregiativa e distorta, tipica del comportamento anoressico e depressivo.

 

Trattamento e risultato

     Il trattamento analitico-terapeutico di Isabella comincia con un’attenta anamnesi delle relazioni ontogenetiche nella sua storia biologica e biografica, necessaria per individuare il progetto più appropriato nel setting terapeutico. L’anamnesi è altresì necessaria per individuare una posizione e un come dell’analista appropriati per i temi di esclusione e di vuoto affettivo di Isabella, per la distorsione della sua immagine corporea e della bassa autostima.

     L’analista conseguentemente si è posizionata, nel setting, con presenza e contatto, con occhi mirror affettivi includenti e sostenenti, essendo informata della relazione intercorporea e pre-soggettiva della paziente. L’anamnesi è stata utilizzata dall’analista per la ricerca dei propri livelli corporei relazionali  e del suo controtransfert di tratto più appropriati per Isabella, in modo da raggiungerla nel contatto terapeutico. Isabella aveva sofferto un modello relazionale di esclusione, con un sapore amaro nella sua relazione primaria intrauterina, con una carenza di neuroni specchio visivi ed epidermici dopo il parto. In mancanza di questi riferimenti conservava un vuoto e allo stesso tempo negava il bisogno affettivo, dimostrando un comportamento onnipotente e un atteggiamento narcisistico di sopravvivenza.

     Da un punto di vista analitico, Il tema dell’esclusione è evidente nella storia del suo vissuto intrauterino e orolabiale nella relazione primaria con la madre.

     Negli ultimi 3 mesi di vita intrauterina si produce la mielinizzazione del Circuito Ventro Vagale, che continuerà anche nel post-partum, un circuito  che regola la sicurezza, il pericolo e la comunicazione affettiva, con i neuroni specchio, gli occhi, la pelle, il latte e la prosodia. La neurocezione, secondo S. Porges, contiene le informazioni di tutto quello che avviene in questa fase: sensazioni, emozioni, intonazioni, postura, linguaggio del corpo.

     Nel caso di Isabella essi sono stati disfunzionali. Il suo corpo si è difeso dal pericolo tramite il sistema simpaticotonico, una contrazione cronica, localizzata e evidenziata sul livello corporeo del collo, sede di un super-ego rigido, dalla scarsa flessibilità e con scarsa possibilità di scambio relazionale.

     Isabella non ha imparato a scambiare, a ricevere e a dare. Nei suo rapporti non aveva intimità verso se stessa né verso nessuno. Nella sua espressione corporea mancava il contatto e  la presenza, i suoi occhi  mancavano di luce,  duri e freddi, razionali verso di sé e verso il mondo. Nella sfera cognitiva era molto intelligente e brillante, ma, nella dimensione affettiva, era debole e fuggiva per lo spavento.

     Al momento della separazione dal campo paterno, figura che rappresentava quel poco di nutrimento affettivo della sua storia, nel tornare nell’arido campo materno, Isabella entra-rientra nella depressione e nel quadro anoressico che la esprime. L’analista ha lavorato con tutte queste emozioni che, poco a poco elaborate e riparate, hanno aiutato Isabella a compensare le sue distonie neurovegetative, bilanciando il suo sistema vago-simpatico, diminuendo la sua reattività e la sua disorganizzazione. È stata accudita e nutrita con delicatezza e sensibilità dalla terapeuta/analista, il cui obiettivo era anche quello di aiutarla nella sua piattaforma di insicurezza e diffidenza nelle relazioni verso l’Altro da Sé.

     La presenza, il contatto, la delicatezza, il rispetto della necessità e del ritmo dell’altro, proposti dalla terapeuta/analista, sono stati gli ingredienti fondamentali per la de-costruzione/costruzione di una piattaforma più funzionale e sostenibile affettivamente per Isabella. La psicoterapeuta ha offerto i suoi occhi e il suo controtranfert appropriato, sin dall’inizio del trattamento, creando una relazione autentica, affidabile e affettiva tra lei e la paziente, ottenendo benefici per l’evoluzione dell’autostima e della fiducia di Isabella, portandola ad imparare a ricevere, a scambiare, a comunicare meglio nel mondo relazionale.                               

     Isabella ha conquistato fiducia e intimità con un femminile “madre sufficientemente buona”, accettandolo con affetto, onestà e chiarezza. Ha rafforzato la sua assertività difensiva, trovando un luogo sicuro per sé, senza abuso, riuscendo a migliorare la sua interazione con il mondo, costruendo un forte legame affettivo e di riferimento affidabile con l’analista, ancora oggi, a terapia conclusa.

     Il setting terapeutico è stato un grande e fertile spazio di scambio, una piccola biosfera, un sistema vivente complesso e aperto, con risultati positivi grazie ad una relazione appropriata e rispettosa nei passi evolutivi e nei ritmi, sostenuti da una precisione diagnostica. L’analista ha potuto lavorare sulla fase evolutiva deficitaria, sui suoi livelli corporei disfunzionali, ancora segnati nel tempo intercorporeo e pre-soggettivo della sua storia.

     Sono state utilizzate alcune Attivazioni Corporee, che sono movimenti filontogenetici capaci di imprinting epigenetici, come la relazione terapeutica (esito di un accoppiamento strutturale da attento linguaggio dei tratti) e la psicofarmacoterapia. La scelta delle attivazioni corporee  è stata articolata con la diagnosi e scelta del controtransfert di tratto di carattere più appropriato, entrambi mirati alla storia biologica e biografica e alle domande implicite ed esplicite espresse da Isabella nel setting. Era importante portare serotonina nella Relazione Oggettuale Primaria di Isabella, nelle sue fasi primitive biologico-biografiche.

Alcune attivazioni corporee utilizzate:

1- Punto fisso in convergenza con penna luce

2- Dal punto fisso luminoso in convergenza rientrare sulla propria piramide

    nasale

3- la ripetizione delle stesse attivazioni corporee senza penna luce, dal cielo

 al naso.

     Il come di giusta distanza, con occhi sorridenti, prosodia calda e includente dell’analista-terapeuta, addizionato alla convergenza degli occhi di Isabella sul punto fisso luminoso prima, con successivo rientro sulla propria piramide nasale, equivalgono ad implementare serotonina e dopamina per separarsi-individuarsi funzionalmente nel tempo analitico della relazione oggettuale primaria,  deficitario appunto in Isabella. In una lettura psicanalitica, si elaborano con l’analisi del carattere, i temi di esclusione/ inclusione, di relazione diadica, di indipendenza e autonomia, di prima separazione-individuazione.

Una considerazione finale

     La nuova metodologia S.B.E. afferma che “rivisitando qualsiasi campo della conoscenza umana, dal punto di vista dell'evidenza scientifica, è possibile raggiungere un livello di conoscenza irraggiungibile con i vecchi metodi scientifici convenzionali, basati solo sulla logica cartesiana”, esattamente quanto osservato nel presente caso clinico. La S.B.E. apre la possibilità allo sviluppo di importanti future ricerche cliniche qualitative.

     Come affermato da E. Kandel:

"Le parole modificano la sinapsi” e ciò valida la psicoterapia nel mondo della scienza.

     Come affermato da G.Ferri:

“Le parole modificano le sinapsi, ma anche il come sono espresse le parole modifica le sinapsi, così le attivazioni corporee appropriate modificano le sinapsi”.

(Traduzione dal brasiliano di Gabriella Galluzzi)

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[*] Genovino Ferri, Psichiatra, Psicoterapeuta, Analista didatta S.I.A.R., Presidente S.I.A.R. e Direttore della Scuola Italiana di Analisi Reichiana, Direttore del board scientifico della collana CorporalMente dell’Editrice Alpes, Membro dell’Accademia delle Scienze di New York, Membro del Comitato Scientifico Internazionale di psicoterapia Corporea. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. indirizzo professionale: Via Nazionale, 400, 64026 Roseto degli Abruzzi (TE).

[**]Robson Barbieri, Cirurgião Dentista - Clínico Geral. Delegado CROSP - Conselho Regional de Odontologia Seccional Ipiranga/ São Paulo. APCD- Associação Paulista Cirurgiões Dentistas Seccional São Paulo.

Ana Maria Grimaldi Psicóloga Clínica, Analista Reichiana Contemporânea, treinada por Genovino Ferri e Federico Navarro, Fez especialização em Psicanálise do idoso na PUC S. Paulo

Dr. Carlos Monson PhD em Saúde Baseada em Evidências. Membro Cochrane Collaboration. Universidade Nottingham no Reino Unido. Membro do Núcleo de Coordenação do GEPSOS/ SOSBE / Grupo de Estudos e Pesquisas em Saúde Oral e Sistêmica Baseada em Evidências / UNIVERSIDADE FEDERAL DE SÃO PAULO.

S.C.Monson Neuro-Psico-Pedagoga, especialista em Deficiência Intelectual, Mestranda EPM/ UNIVERSIDADE FEDERAL DE SÃO PAULO.

Mônica Okuhara, Especialista em Medicina Comportamental. UNIVERSIDADE FEDERAL DE SÃO PAULO.

Mestre Saúde Baseada em Evidências/ UNIFESP. Pesquisadora Associada Centro Cochrane do Brasil.

Mary Jane A. Paiva is a Clinical Psychologist, Body Psychotherapist and Contemporary Reichian Analyst, president of the institute Her experience goes far beyond.

Valéria Petri. Titular Livre Docente do Departamento de Dermatologia da Escola Paulista de Medicina/Unifesp. Coordenadora Geral do GEPSOS / UNIFESP. Vice Reitora UNIFESP -UNIVERSIDADE FEDERAL DE SÃO PAULO.

 CURARE LENIRE CONFORTARE

 

TREAT  RELIEVE  SUPPORT

DOI 10.57635/SIAR40

 

Nicole Cordioli[*]

Abstract

     Un’analisi può compiersi solamente per i vivi che continueranno ad essere vivi? Nel seguente articolo si riflette sul come poter adottare l’approccio Analitico Reichiano Contemporaneo in contesti sanitari di fine vita. Si pone l’accento non tanto sull’analisi individuale in senso stretto, ma sul corpo, come soggetto di relazione e di cura, sia con il paziente, sia con i familiari e il personale sanitario. Si pongono in risalto esperienze e competenze di professionisti che, nel tempo, hanno analizzato la tematica dell’accompagnamento nel fine vita.

 

Parole chiave 

      Fine vita – aptonomia - modalità relazionali - corpo.

 

Abstract

     Can an analysis be performed only for those who will stay alive? The following article discusses the way in which the Reichian Model could be used in the end-of-life care settings. The study does not focus on the individual analysis in the strict sense, but on the body, as the main subject on which treatments and relationships involving patient, and care team are bases. The experiences and skills of professionals who have studied the end-of-life care over the years are highlighted.

Keywords

     End-of-life – haptonomy - relational modalities - body.

     Marie de Hennezel, psicoanalista e autrice de La morte amica, che ha lavorato per molti anni nei contesti delle cure palliative, in Hospice, scrive: “È probabile che l’accompagnamento dei moribondi non rientri nell’ambito della psicoanalisi. Nondimeno continuo a sostenere che si può restare analista, cioè all’ascolto dell’inconscio e della dinamica psichica in atto negli ultimi istanti, e assumersi quel compito iniziatico che consiste nell’impegnarsi totalmente nell’accompagnamento attraverso un passaggio.” (de Hennezel, 1996; pag.189).

     Penso che la risposta alla domanda sul significato di essere analista in strutture sanitarie di lungo degenza per disabili e di cure palliative, risieda nel senso che vogliamo dare alla nostra professione. Un’analisi può compiersi solamente per i vivi che continueranno ad essere vivi? Se lo scopo della nostra professione è di aiutare le persone a vivere meglio sciogliendo i loro nodi, in quest’ultima accezione, anche chi ha un’aspettativa di vita breve può avere nodi o sospesi che forse gli impediscono anche di lasciare la vita al naturale termine. Allora, aiutarlo a vedere, capire o agire, può permettergli di lasciare la vita avendo compiuto quello che c’era da compiere.

     Si parte dall’assunto che la vita istintiva, affettiva ed emozionale trovi luogo ed espressione nel sistema nervoso vegetativo, nel sistema muscolare, nel sistema neuroendocrino, nel sistema psichico e nella pulsazione energetica. Possiamo dire che, se assumiamo un’ottica tridimensionale analitico-reichiana (considerando fase evolutiva, tratto caratteriale, livello corporeo), non ci serviamo tanto dei sintomi per incasellarli in categorie prestabilite, ma, attraverso la storia emozionale, relazionale di quella persona, possiamo cogliere la domanda implicita, l’intelligenza e l’economia di quella sofferenza in qualche modo esplicitata. Co-costruire insieme alla persona un progetto terapeutico mirato, un percorso specifico, come lo è la nostra storia e il nostro essere (Ferri, 2017).

     Partendo da tali assunti di Analisi Reichiana Contemporanea, come si può mantenere tale approccio nei contesti come quelli sopra citati? Come poter lavorare adottando tale modello in setting in cui non è possibile intraprendere un’analisi individuale in senso stretto e in cui quotidianamente la morte e la sofferenza sono compagne?

     In questi quattro anni di Scuola di questo orientamento, ho interiorizzato come l’analisi Reichiana possa aprire ed essere aperta, non solo all’analisi individuale e agli acting categorizzati, ma anche al linguaggio del corpo, il comunicare con il corpo, il linguaggio tra i tratti, il sentire l'altro, le diverse modalità dello stare in relazione (la posizione del terapeuta). La maggioranza delle persone che risiedono in strutture palliative o di lungo degenza chiedono prossimità, vicinanza emotiva, riconoscimento, e aiuto nel riconoscersi anche nella sofferenza, anche nella morte.

     Marie de Hennezel, fondatrice di un centro di cure palliative per malati terminali in un grande ospedale parigino, evidenzia come il suo scopo in questi centri, come psicoanalista, sia alleviare il dolore e accompagnare il paziente terminale verso una buona morte (De Hennezel, 1996).

     Marie racconta di un episodio in cui si sentiva impotente come psicologa e senza strategie davanti ad un uomo sofferente e sul punto di morire. Con il senno di poi esplicita la sua gratitudine per quel vuoto con cui è entrata in contatto, poiché le ha permesso di esserci davvero con l’altro. Istintivamente racconta di essersi inginocchiata al letto di quel paziente e di aver posato una mano sulla metastasi che colpiva l’uomo, al petto, come diremmo noi, al 4° livello, sede dell’affettività e dell’Io e lì è rimasta. L’uomo poco dopo si è addormentato. E fece così per un mese, lasciandosi guidare da lui, spesso senza nemmeno dire una parola, preservando quel contatto che lui ricercava e che gli dava pace.

     Hennezel si interrogava se quello fosse un compito da psicologa, come me lo chiedo anch’io: se intendiamo un’analisi che accompagna nello scioglimento di nodi, di non compiuti, che accompagna la persona che sta per morire a sciogliere questi nodi, perché possa lasciare questa vita nella pace del suo compimento, credo possa essere un compito da psicologa. E lei, come me, si rispondeva che non stava rispondendo forse ad un bisogno in modo funzionale per lui, per la sua psiche? Non stava forse in quel giusto contatto da non fondersi o confondersi? È proprio su questo che si pone l’attenzione. Una relazione priva di angoscia, di pesantezza che, specialmente nella fragilità, talvolta attanaglia familiari e amici: l'attenzione a un giusto contatto.

     È importante trarre un’anamnesi analitico-caratteriologica abbastanza completa, al fine di cogliere, tenendo conto della patologia e delle fragilità corporee presenti, l’unicità della persona, partendo non dalla patologia, ma dal suo sé. Comprendere ciò aiuta a scegliere in quale posizione porsi, non nel percorso analitico in senso stretto, ma nella quotidianità di ciascuno; infatti la struttura sanitaria diventa per loro una casa.

orme tesi di spec 1Orme su spiaggia     Mi sono chiesta spesso come poter affrontare attraverso il nostro modello le realtà sanitarie residenziali e specificatamente come servirsi del corpo, come soggetto e oggetto sia di relazione sia di cura, in particolar modo con quelle persone le cui fragilità non consentono una comunicazione verbale e una cognitività integra.

     Sia per limiti organizzativi (non è possibile attuare un percorso psicoterapico individuale con tutti), sia per limitazioni cognitive e fisiche, diviene complesso porre in essere un’analisi. Seguendo il principio di realtà, si sottolinea l’importanza di procedere partendo da dove si trova la persona che incontriamo e porsi mete per lei possibili. 

     Secondo Marie de Hennezel (1996; 1998) le persone, nel momento del fine vita, si ritrovano nelle stesse condizioni in cui si trovano i neonati nei loro primi mesi di vita: inermi, incapaci di muoversi e di lavarsi da soli. Mentre i neonati ricevono cure amorevoli, gli ammalati ricevono cure esperte ma spesso meccaniche. Gli stessi parenti non sono preparati a prendersi cura di chi nella vita è stato sano e autonomo, si sentono a disagio e il malato si ritrova solo. La tenerezza che accompagna i neonati alla nascita dovrebbe accompagnare il malato terminale alla morte in egual misura.

     De Hennezel pratica l’aptonomia, un approccio psico-tattile ideato da un medico olandese, Franz Veldman (2007), verso la metà del secolo scorso. Il nome deriva dal greco hapto (toccare, prendere contatto, entrare in relazione) e nomos (regola) e significa scienza dell’affettività espressa attraverso il contatto.

     In origine questo metodo veniva usato da Veldman per favorire le relazioni, il rapporto tra genitori e figli alla nascita e nel periodo post-natale. Da circa venti anni questo approccio viene applicato anche nella fase finale della vita. Mi sono chiesta se il massaggio bioenergetico neonatale, praticato nel nostro modello di riferimento, possa essere strumento analitico anche per gli adulti. Credo che l’integrazione tra alcune tecniche come la stimolazione basale, le conoscenze dei vari livelli corporei, le conoscenze neuroscientifiche legate all’importanza del contatto epidermico, possano, un domani, porre le basi per una pratica strutturata. Ad esempio, con una persona avente una patologia neuro-degenerativa allo stadio terminale, nel momento in cui nemmeno i farmaci sembrano fare effetto ed è dubbia anche la consapevolezza, non potremmo dunque servirci dei canali sensoriali per entrare in contatto con lei? La stanza di degenza può divenire un luogo dal quale si può uscire pieni di angoscia, di senso di impotenza e di inutilità, con l’impressione di non riuscire a comprendere, di non riuscire a stare vicino, di non riuscire a fare nulla.

     Si può invece stare accanto, leggere ad esempio un libro che può evocare frammenti della sua storia o di ciò che lo ha appassionato per anni, prendere le mani di quella persona dal corpo molto rigido, con gli arti superiori contratti che premono sul petto ricurvo anch’esso, e leggere. La voce può divenire leggera melodia simil canto, che accompagna il tocco armonico delle mani. A poco a poco la contrattura muscolare si può fare più lieve, il respiro meno affannoso, gli occhi piano piano si chiudono, in pace.

     Si comprende che forse non serve capire, ma stare e sentire ciò che in quella stanza accade. Sia il contatto epidermico, prima delle mani e successivamente sul petto, attraverso la nostra lente, sono punti di contatto e di relazione con l’altro. Esperienze come quelle sopra riportate partono da un’idea di accompagnamento che non è solo accompagnamento negli ultimi istanti, ma come un accompagnamento alla Vita. Infatti per molti, sia ospiti, sia familiari, l’istituzionalizzazione porta già con sé i vissuti di minaccia della perdita, di lutto: in analisi Reichiana, connotiamo questo come un passaggio, che implica una separazione che approda ad altro.

Le due paure principali delle persone che stanno per morire sono legate al dolore fisico prima e durante e dell’abbandono/senso di solitudine. Aggiungerei anche il timore dell’ignoto, dello sconosciuto. Si evidenzia il pensiero in base al quale, se siamo stati capaci di nascere saremo anche capaci di morire e di affrontare i passaggi, che come ogni passaggio crea turbamento. È importante sentire che, come siamo stati accolti alla nascita, cosi potremmo anche sentirci accolti e supportati nel morire.

        La relazione, come uno dei principi attivi dell’Analisi Reichiana Contemporanea, anche in questi contesti è fondamentale. Una presenza che sa di Vita e che possa dare un senso al tempo vissuto nel presente, per avere meno rimpianto del passato e meno timore del futuro, nella certezza di aver vissuto quanto meglio possibile, pacificandosi con faccende irrisolte e trovando la pace.

     Lo storico francese Philippe Ariès, nel sul libro Storia della morte in Occidente (1998), ci aiuta a percorrere i cambiamenti degli atteggiamenti verso la morte nel corso dei secoli. Durante il Medioevo la morte rappresentava un fatto inerente alla vita e quindi normale, si viveva pubblicamente, era ritualizzato (diffusa era la letteratura in merito all’Ars morendi, piccoli manuali che preparavano le persone e i familiari al morire bene).

     Con gli anni si è assistito sempre di più ad una demonizzazione della morte, ad un occultamento di tale evento, che viene vissuto in modo sempre più privato e sempre più nascosto, come se nel morire vi fosse una sorta di colpa o responsabilità, un fallimento. La morte ci fa paura: in un mondo sempre maggiormente assoggettato all’apparire e alla giovinezza, la morte potrebbe giungere come uno schiaffo e riportarci alla consapevolezza della nostra caducità.  Ariès la denomina morte proibita, per segnalare il divieto di base, dato alla persona che sta morendo, ma anche alla società e ai familiari, di poter essere turbati o di esperire emozioni forti, quasi come fossero insostenibili.

     Secondo Saunders (2008), ciò che rende l’uomo uomo sono le relazioni e alla comparsa della malattia sono proprio queste che spesso ne risentono: per un fisico debilitato, per la necessità di numerosi ricoveri o di una residenzialità, per il timore della malattia. E nel turbinio di questi vissuti sono coinvolti sia la persona con malattia sia i familiari. Questo medico sottolinea l’importanza di porre in parole ciò che sta accadendo. Prendendo le mosse da tali riflessioni, credo sia importante porre lo sguardo, includere gli occhi sullo scenario che si pone in essere.

     Marie de Hennezel (1996), spiega come sia importante che i sentimenti e il dolore della persona che sta per morire vengano ascoltati e che egli possa esplicitarli. Spesso succede che il familiare non sia pronto ad accogliere tutto ciò. L’autrice racconta di un episodio in cui una donna che stava per morire era in uno stato di agitazione molto forte e la figlia non sapeva come fare per contenerla. Al che l’operatore si avvicina e la guarda negli occhi.

     La donna dichiarò di essere consapevole di stare per morire e l’operatore le disse che tutto il personale e la figlia erano lì per accompagnarla fino alla fine. L’operatrice ha convalidato l’esperienza soggettiva con l’esplicitazione di una presenza vitale. La risposta della donna fu emblematica poiché si raddrizzò nel letto e si calmò, riprendendo lucidità. La figlia si avvicinò e la madre ripeté che stava per morire. La figlia disconfermò quanto detto. Intervenne l’operatore che disse che la madre stava dicendo ciò che sentiva e che era importante ascoltarla e lasciare che potesse dire ciò di cui aveva bisogno. A quel punto la figlia pianse e la madre dettò le sue volontà, più lucida e padrona di sé stessa.

     Marie de Hennezel riferisce che una delle cose che fa soffrire di più le persone è non poter annunciare ai suoi cari che sta per morire. Sentendo venire la morte, chi non ne può parlare, né condividere con gli altri quello che gli ispira la prossimità di quel momento supremo, spesso non ha altra via d’uscita che la confusione mentale, il delirio, o addirittura il dolore, che almeno consente di parlare di qualcosa. Diviene fondamentale condividere con il familiare l’importanza della vicinanza, della relazione, dei gesti che può compiere con il proprio caro (tenersi per mano, bagnare le labbra screpolate, asciugare la fronte intrisa di sudore, pregare insieme). La gestualità dona al familiare la possibilità di essere in comunione con il proprio caro fino agli ultimi istanti di vita. Un gesto di accompagnamento, soprattutto nella stanza del morente, potrebbe consistere nel posare una mano dietro la schiena, all’altezza di una delle due scapole. Credo sia un punto di giusto contatto. La mano che si posa sulla scapola probabilmente carica di timori, paure, pesi, che funge sia da sostegno, ma anche come spinta: un richiamo sia alla muscolarità, ma anche una mano calda e accogliente che sostiene.

Percorsi con i familiari

      Quasi tutti i familiari condividono il sentire comune che il proprio caro sia anagraficamente o per patologia nell’ultima fase della vita biologica. Le fragilità maggiori sono legate all’accettazione della patologia, più che alla morte stessa. Ciò che crea maggiore dolore è la sofferenza psichica e fisica del congiunto. Due sono gli interventi possibili in tale ambito:

  1. Sostegno alla singola famiglia
  2. Gruppi dei familiari incentrati su:
  • spiegazione e conoscenza della patologia.
  • modalità di relazione.
  • modi di entrare in dialogo e in comunicazione con il proprio caro. È importante porre l’accento sull’importanza della gestualità del corpo: gesti di accompagnamento, sorrisi, mimica, il tocco, il tatto, la prossimità fisica.

     Gruppi di confronto, partecipazione, conforto, scambio emotivo per portare i familiari a sperimentarsi, imparare. Il gruppo, come sostiene Giorgio Nigosanti (2017), può dare la possibilità al familiare di non sentirsi solo nel proprio dolore per il proprio caro e crea un senso di comunione tra le famiglie coinvolte nella stessa problematica. Queste possono conoscersi, confrontarsi, creare legami, scaricare l’ansia, in un contesto protetto che possa contenere ed abbracciare tutto questo.

Percorsi con il personale

     Si sottolinea l’importanza di incontrare anche il personale, attraverso interventi di supporto e sostegno in itinere e possibilità di confronto più strutturate: incontri di discussione dei casi e incontri formativi incentrati sul benessere del personale stesso. Sia nella quotidianità, sia negli incontri dedicati al personale, gli obiettivi sono molteplici: cercare insieme le risposte alle domande implicite ed esplicite sia del personale stesso, sia dei residenti, cogliendo modalità di relazione con gli ospiti e tra i colleghi più funzionali; offrire al personale uno spazio in cui è possibile porre lo sguardo, raggiungere una consapevolezza maggiore di sé all’interno del contesto lavorativo. Un aspetto centrale nella presa in carico del personale riguarda l’aspetto del vivere quotidianamente esperienze di sofferenza e di morte: avere a che fare con esse tutti i giorni rientra tra le pratiche routiniane giornaliere, ma coinvolgono sia sul piano emotivo sia sul piano relazionale.

     Diviene fondamentale far permeare all’interno di questi luoghi il valore e l’unicità della persona. Più il personale è capace di affermare il valore del paziente, di vedere la persona che è o che è stata, nella sua unicità, piuttosto che la sola malattia, tanto più è probabile che il senso di dignità del paziente sia sostenuto e conservato. Non essere trattati con dignità e rispetto può minare il senso del sé e del valore della vita, esponendo il paziente al rischio di sentirsi un peso per gli altri, di perdere la speranza e di mettere in forse le ragioni del continuare ad esistere.

     Si pone l’accento sul come più che sul che cosa: infatti molte delle parole potrebbero essere equivocate, mal interpretate, ma l’incontro con il corpo non inganna e restituisce alla persona quella bellezza del gesto quotidiano e della bellezza di essere persona in quanto tale, al di là dei dolori che sperimenta. È quindi importante sensibilizzare i professionisti della salute a una dimensione della cura che comprenda un approccio corporeo nelle sue diverse manifestazioni: tattile, visivo, vocale, empatico. Si cura un piede, una gamba, un polmone, un seno, come un qualcosa di distinto, o si cura forse la persona che soffre in questo o quel punto del corpo ed esprime tale sofferenza con il suo modo personale di essere? L’approccio corporeo permette agli ospiti di sentirsi integri e pienamente vivi.

     Accanto al rispetto e alla tutela della dignità dell’ospite, è importante che il personale preservi rispetto e tutela della propria salute e benessere. In uno dei suoi scritti Marie de Hennezel (1998) sottolinea l’importanza di contattare la consapevolezza del nostro pensiero rispetto alla morte, che è ontologico e dentro ciascuno di noi. Contattare tale consapevolezza e il possibile timore può aiutare il personale nella relazione con la persona sofferente, per esserci senza farsi sopraffare.

Bibliografia

Ariès, P. (1998), Storia della morte in Occidente. Milano: Bur.

De Hennezel, M. (1996), La morte amica. Le lezioni di vita di chi sta per morire. Milano: Rizzoli.

De Hennezel, M., Leloup, J.Y. (1998), Il passaggio luminoso. L’arte del bel morire. Milano: Rizzoli.

Ferri, G. (2017), Il corpo sa. Storie di psicoterapie in supervisione. Roma: Alpes Italia

Nigosanti, G.A. (2017), Analisi corporea in gruppo. L’approccio reichiano. Roma: Alpes Italia.

Saunders, C. (2008), Vegliate con me. Hospice: un’ispirazione per la cura della vita. Bologna: EDB.

Veldman, F. (2007), Haptonomie, Science de l'Affectivité: Redécouvrir l'humain. Parigi: PUF.

[*] Psicologa psicoterapeura reichiana.  Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.