Numero 2/2023

DESIDERIO AMOROSO E COSTRUZIONE DEL SE' (1)

LOVE DESIRE AND SELF BUILDING (1)

 

Marcello Mannella[*]

 

 

Abstract

        L’ipotesi di lavoro che informa l’articolo è la distinzione dei concetti di sviluppo sessuale e di desiderio amoroso. Se lo sviluppo sessuale è un fenomeno fondamentalmente biologico, la costruzione del desiderio amoroso è invece un processo complesso che scaturisce dall’incontro di fattori biologici, culturali, psicologici. I due processi, che sembrano essere distanti o apparire separati – ad esempio sembrano avere un diverso inizio – si incontrano e si sovrappongono durante lo sviluppo evolutivo e contribuiscono in maniera fondamentale al processo di costruzione del sé.

 

 

Parole chiave

        Desiderio amoroso, sviluppo sessuale, identità di genere, sesso, orientamento sessuale, pratiche discorsive.

 

Abstract

        The article’s underlying working hypothesis is the distinction between sexual development and love desire. Whilst sexual development is fundamentally a biological phenomenon, the construction of love desire is a complex process arising from the intersection of biological, cultural, and psychological factors. Although the two processes seem to be distant or appear separate – for instance they start at different times – they meet and overlap during the evolutionary development and appear to be critical factors in the process of building of the self.

 

Key words

     Love desire, sexual development, gender identity, sex, sexual orientation, discursive practices.

 

     Questo articolo è una riflessione intorno al desiderio amoroso. L’intento è di descriverne lo sviluppo e l’intreccio inestricabile con i processi di costruzione del sé. Prima di procedere allo svolgimento del tema, ritengo opportuno esplicitare la posizione epistemologica che guiderà la riflessione.

     Essa è informata alle coordinate del paradigma sistemico/complesso e alla visione intersoggettiva della mente umana. Siamo pertanto distanti dalla teoria energetico-pulsionale che ha costituito per decenni l’impianto teorico di fondo della psicoanalisi classica.

     Nei Tre saggi sulla vita sessuale Freud aveva esposto la convinzione che l’uomo fosse dotato di un corredo pulsionale innato. Le pulsioni erano costituite da una fonte – le zone erogene e gli organi da cui promana l’eccitamento – una meta – la ricerca del soddisfacimento, inteso come una vera e propria scarica delle sostanze (la libido) accumulate nell’organismo, che altrimenti avrebbero esitato in disturbi psicopatologici – e un oggetto, parziale o intero, attraverso cui realizzare il soddisfacimento.

     La metapsicologia freudiana era figlia dello spirito positivista dell’ottocento ed era tutta tesa a spiegare il funzionamento della mente secondo i principi meccanicisti della scienza dell’epoca. La mente era assimilata ad un meccanismo di tipo idraulico attivato dalla produzione e dall’accumulo dell’energia biologica che, superata una certa soglia, doveva essere scaricata dando luogo ai comportamenti mentali o motori. Il sistema nervoso centrale era considerato assolutamente estraneo, e quindi sostanzialmente passivo, rispetto alle dinamiche pulsionali. Esso poteva al più operare nel senso della repressione e del controllo di determinate pulsioni o del loro grado espressivo.

     Come può vedersi, nella considerazione energetico-pulsionale della mente il dualismo cartesiano anima/corpo era riproposto nel contrasto fra pulsioni e SNC. Le pulsioni – fondamentalmente irrazionali – erano espressione della naturalità dell’uomo, biologicamente orientate, mentre il cervello (risolto nella sola neocorteccia) esprimeva la dimensione razionale, di fondamentale importanza affinché l’individuo potesse adattarsi alle esigenze della vita sociale.

La teoria energetica pulsionale della mente ha avuto delle decisive ricadute anche per quanto riguarda la considerazione della sessualità umana.

     Progressivamente, nella seconda metà del XX secolo, l’originario paradigma biologista è stato sostituito – a partire dalla teoria dell’attaccamento di Bowlby - dal nuovo paradigma dell’intersoggetttività, per cui l’individuo è da sempre inglobato in una matrice di relazioni che rappresentano il nutrimento e il terreno fondamentale per un sano sviluppo evolutivo. L’approccio intersoggettivo sostiene che i bambini ricercano le altre persone per impegnarsi in scambi imitativi e per pervenire alla regolazione emotiva[1]. (Ammaniti, Gallese, 2014).

 

Ipotesi di lavoro

     Per poter intendere quanto verrò sostenendo è necessario tenere a mente la distinzione che opero fra i concetti di sviluppo sessuale e di desiderio amoroso. Lo sviluppo sessuale è un processo fondamentalmente biologico, nei suoi diversi aspetti cerebrale, neurale, ormonale, anatomico, che ha origine nella vita fetale e si conclude nella pubertà con il raggiungimento della maturazione sessuale.

     Tale processo è in gran parte sotto il controllo dei geni ed è il frutto di un cammino evolutivo che in parte condividiamo con il mondo animale. Esso si iscrive nella naturalità del corpo ed è rivolto alla definizione della funzione fisiologica della riproduzione.

     In quanto tale – in quanto prerogativa di tutti i membri adulti di una specie di acquisire la capacità di accoppiarsi e di riprodursi – lo sviluppo sessuale non ha nulla di individuale.

     Se vogliamo, possiamo conservare per tale processo il termine pulsione. Dobbiamo però fare bene attenzione e spogliare il concetto di ogni valenza teleologica (l’essere cioè naturalmente orientato verso un ben determinato oggetto) e di non concepire la pulsione sessuale come scotomizzata dal sistema nervoso centrale.

     Se lo sviluppo sessuale è un fenomeno fondamentalmente biologico, la costruzione del desiderio amoroso è invece un processo complesso che scaturisce dall’incontro di fattori biologici, culturali, psicologici, che si origina specificatamente a partire dal post partum e che perviene alla sua definizione nella pubertà. Esso è dunque un fenomeno innanzitutto iscritto nell’ordine della cultura.

     Il desiderio amoroso è il nostro modo – unico e irripetibile - di amare, come risultato delle nostre esperienze – uniche e irripetibili - di piacere che abbiamo vissuto nel nostro tempo evolutivo. Il desiderio amoroso è una serie di condotte apprese, un sapere implicito, che si iscrive a livello del SNC nella memoria emotiva. (Mannella, 2/2015).

     Nella nostra vita amorosa, insomma, non facciamo altro che cercare o proporre quei comportamenti corporei intimi che abbiamo vissuto nell’infanzia e nella fanciullezza. Come potremmo altrimenti amare? Come potremmo desiderare, guardare con amore e piacere, baciare, abbracciare, stringere, toccare, senza rammemorare il nostro essere stati desiderati, amati, l’aver abbracciato e toccato?

     Pertanto non esistono che modi individuali di amare e non si danno situazioni erotiche in sé. È il nostro cervello emotivo che processa una determinata situazione come erotica o meno. La costruzione del desiderio amoroso comprende anche l’impegno degli individui a costruire la propria identità di genere e il proprio orientamento sessuale[2], che sono dunque anche essi fenomeni fortemente connotati dalla cultura.

     Un’ultima avvertenza.

     Si potrebbe avere nel corso dell’esposizione l’impressione che distingua schematicamente i due processi, come se procedessero separatamente. L’impressione è probabilmente suscitata dalle necessità espositive. Voglio precisare che non è così. Considero i processi dello sviluppo sessuale e del desiderio amoroso profondamente intrecciati.

     Il primo è il necessario sostrato biofisiologico senza il quale non si darebbe la possibilità del desiderio amoroso. Non è però in grado di determinarlo. Il desiderio amoroso è qualcosa di più ampio e di più complesso, che si può dare soltanto all’interno di un contesto culturale.

     Possiamo anche dire che i due processi in alcuni momenti sembrano essere distanti o apparire separati – ad esempio sembrano avere un diverso inizio – in altri – in particolar modo verso il loro compimento – appaiono sovrapporsi.

 

La relazione tra il desiderio amoroso e la costruzione del sé

     Il desiderio amoroso fin dal suo sorgere è relazionale perché vive e si alimenta della ricerca e del contatto con l’altro[3]. Esso dunque non scaturisce soltanto dal chimismo della pulsione che muove in direzione della soddisfazione. Ugualmente importante è il desiderio di realizzare un contatto più profondo con l’altro da sé.

     È proprio il suo costitutivo carattere relazionale che ci consente di cogliere pienamente l’intreccio profondo fra la costruzione del desiderio amoroso e la costruzione del sé. (Mannella, 1/2019). I desideri amorosi infantili rinforzano il sistema motivazionale della relazione con le figure evolutive di riferimento, di fondamentale importanza per la definizione del sé.

     Costruzione del sé e costruzione del desiderio amoroso dunque si intrecciano e si definiscono insieme. L’organizzazione mentale propria di una determinata struttura di personalità riverbererà profondamente nell’espressività amorosa di un individuo, mentre quest’ultima impronterà delle sue atmosfere e delle sue modalità espressive le forme mentali.

     Il desiderio amoroso è relazionale anche quando è autoerotico perché, pur mancando l’esperienza della separazione dall’altro, l’autoerotismo è la prima forma di conoscenza e di relazione con se stessi. È un processo che trova inizio nel post partum, nella fase oro-labiale, e prosegue il proprio sviluppo nelle fasi evolutive successive. Esso dunque – e qui incontriamo un’altra sua importante connotazione – accade in un tempo evolutivo caratterizzato dalla prevalenza del cervello limbico (Maclean, 1984) o, comunque, dalla sua attivazione nelle successive fasi. Il desiderio amoroso è dunque un fenomeno costitutivamente connotato dall’affettività.

     Esso è il frutto della combinazione imprevedibile e irripetibile delle forme (l’equivalente dei tratti caratteriali) del desiderio amoroso, che sono il risultato delle esperienze di contatto e di piacere esperite con l’altro da sé durante lo sviluppo evolutivo. Le forme del desiderio amoroso sono diverse perché ognuna di esse è fortemente connotata dalla specificità della fase evolutiva e dalla specificità fisiologica e delle funzioni dei livelli corporei di volta in volta implicati nelle relazioni sé-altro da sé.

     Pertanto, così come quando parliamo di carattere intendiamo non una costruzione coesa, connotata dalla dominanza esclusiva di una fase evolutiva o di un tratto, ma di una combinazione complessa di tratti, risultato irripetibile delle diverse interazioni fra il sé e l’altro da sé durante l’intero processo evolutivo, così dobbiamo intendere il desiderio amoroso, come una combinazione complessa delle sue diverse forme che lo rende individuale e irripetibile.

     Il desiderio amoroso, ripeto, è un processo che ha inizio nella fase oro-labiale.

     Esso non può avere inizio nella vita intrauterina perché in essa mancano i presupposti che consentono il sorgere del desiderio amoroso: la realtà di una mente cosciente[4] che percepisca l’organismo distinto dall’ambiente e la separazione fisica del sé dall’altro da sé[5]. È soprattutto questo secondo aspetto - la condizione fusionale tra il feto e la madre - a impedire l’esperienza del desiderio amoroso perché questo nasce dalla percezione di una tensione come conseguenza della separazione dall’altro da sé e si esprime nella spinta ad annullare – almeno momentaneamente – quella distanza.

 

 

Le forme del desiderio amoroso

Le forme amorose nella fase oro-labiale

     Nella fase orale, il desiderio amoroso si nutre delle sensazioni legate alle esperienze della suzione e del contatto – epidermico, oculare, prosodico - caldo e accogliente con i caregiver. Esso, pertanto, non si appoggia esclusivamente alla funzione nutritiva, come aveva affermato Freud[6], ma si intreccia con le caratteristiche fisiologiche dei livelli corporei implicati (primo e secondo livello) e con le funzioni evolutive di fase.

     Delle esperienze di piacere che il bambino ricava dalla funzione nutritiva – sensazioni prodotte dal latte caldo che fluisce nella bocca e nella gola e dal contatto delle labbra con il seno materno (piacere d’organo) – abbiamo un’ampia trattazione nella letteratura psicoanalitica.

     Di grande importanza per il suo sano sviluppo, sappiamo essere pure il contatto epidermico. La pelle è l’organo più esteso del corpo e il tatto è il primo senso che si sviluppa in utero. Un contatto epidermico caldo e accogliente con i cargiver costituisce una profonda esperienza di piacere.

     Più recentemente la ricerca scientifica ha messo in risalto il ruolo evolutivo fondamentale della comunicazione visiva. Schore ha affermato che il compito principale del primo anno di vita è la creazione di un solido legame di attaccamento e che la disponibilità emotiva dei caregiver è l’elemento che più di ogni altro promuove la crescita (Schore, 2008).

     Il canale corporeo di comunicazione più importante è rappresentato dagli occhi[7] dei caregiver: le pupille dilatate in reazione all’immagine del figlio ne provocano il sorriso.

     “È ormai noto che il luccichio nello sguardo della madre è più che una semplice metafora: tra i due e i tre mesi, quando aumenta vertiginosamente la velocità di mielinizzazione delle aree visive della corteccia occipitale del bambino, gli occhi della madre, in particolare le pupille, diventano l’oggetto principale della sua attenzione”. (ibidem, p. 38).

     Fra il bambino e i caregiver è sempre in atto una comunicazione oculare sottile fatta di rimandi, che permette una microregolazione emotiva continua.     Ad esempio, dopo un’esperienza di gioia intensa il bambino distoglie lo sguardo dagli occhi del caregiver per riuscire a gestirne l’intensità e per regolarne l’effetto potenzialmente disorganizzante, mentre, per parte sua, anche il caregiver distoglie lo sguardo per ridurre la stimolazione, aspettando che il bambino sia nuovamente pronto. Il caregiver attento ed efficace è capace di correggersi e di ristabilire in un tempo adeguato uno stato di affettività positiva, riparando lo stato di stress vissuto dal piccolo.

     È fondamentale che i caregiver inducano stati emotivi positivi e insegnino al bambino come gestire i propri stati interni negativi. Essi devono essere in grado di contenere – cioè viverle senza lasciarsene turbare – le emozioni negative (rabbia, paura, tristezza) del bambino, restituendole trasformate.

     Un caregivering adeguato comporta la capacità del piccolo di sviluppare nel tempo la competenza  emotiva[8]. Possiamo facilmente supporre quanto questo scambio comunicativo oculare, affettivo e premuroso, fra il bambino e i suoi caregiver possa costituire una profonda esperienza di piacere tanto per il primo che per i secondi.

     Parimenti importante dal punto di vista evolutivo, e nello stesso tempo fonte di piacere, sono l’intonazione e la modulazione della voce da parte dei caregiver. La loro funzione è di calmare, rasserenare, contenere l’ansia, moderare l’eccitazione, contribuendo anche esse alla regolazione emotiva.

     Le forme (tratti) del desiderio amoroso orale sono dunque molteplici: il piacere di incorporare o di essere incorporato, di essere contenuti o di contenere, di affidarsi o di prendersi cura, di vedere o di essere visti, di vezzeggiare o di essere vezzeggiati attraverso la voce. 

     L’espressione attiva o passiva non dipende dal sesso e dal genere - secondo le ben note equazioni maschio=attivo, femmina=passivo - ma dalla storia evolutiva e dalla conseguente struttura caratteriale dell’individuo. Quali e quante sono state le identificazioni primarie? Con quali caregiver? E quali erano le loro caratteristiche di personalità? Il bambino ha vissuto una fase oro-labiale funzionale, che ha consentito la separazione dai caregiver? Come ha vissuto la fase muscolare? Ha potuto esprimere la propria vitalità legata alla deambulazione e alla scoperta dell’autonomia? E la prima fase genito-oculare? Ha potuto manifestare e sperimentare la propria affermatività oppure è andato incontro a castrazioni?

     Abbiamo qui un esempio di come il desiderio amoroso e le caratteristiche del sé si intreccino profondamente. È sempre nella fase oro-labiale che prende avvio un altro importante processo, fondamentale per la costruzione tanto del desiderio amoroso che del sé: il processo di definizione della identità sessuale[9].

     Siamo tentati di affermare che è proprio nel processo di costruzione della identità sessuale che avviene l’importante saldatura fra sé e desiderio amoroso. In ogni caso, dobbiamo essere consapevoli che tale processo è oggi molto più complesso. Nel passato era compito esclusivo della madre accudire il bambino. Il padre, inizialmente decentrato, faceva ingresso nella scena familiare intorno al compimento del primo anno di vita (fase muscolare). Oggi, invece, data l’avvenuta rivoluzione nei rapporti di genere che ha messo in discussione la stereotipia dei ruoli, anche i padri si fanno carico della cura dei figli e possono svolgere la funzione di caregiver. 

     Del resto le forme della famiglia sono oggi molteplici – famiglie ricomposte, adottive, omogenitoriali – e lo spazio relazionale primario è molto più variegato.IMG 1 parte MANNELLA

     La madre, pertanto, non rappresenta più l’unica possibilità relazionale, l’unico oggetto d’amore, tanto per il bambino che per la bambina. Rispetto al passato il bambino ha di fronte a sé modelli molteplici di identificazione. Tutto questo rende meno scontata e più complessa la scelta dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale.  

     Il bambino da parte sua è capace fin dai primissimi mesi di vita di avere molteplici relazioni.

     Pur stabilendo, infatti, una relazione di attaccamento principale[10] (nel nostro tempo ancora solitamente, ma non più necessariamente, la madre), il bambino è in grado non solo di allacciare numerose relazioni diadiche, ma anche di instaurare relazioni triadiche.

     La Scuola di Losanna ha mostrato che i bambini già a tre mesi sono in grado di coordinare l’attenzione alternando il contatto visivo con i genitori e di comunicare segnali espressivi e affettivi, indicatori di una partecipazione diretta alla comunicazione triangolare. (Fivaz-Depeursinge, Cordaz-Warnery, 2000). Essi sono dunque in grado di implicarsi in uno scambio relazionale intersoggettivo[11] a tre e sviluppano tale competenza in parallelo all’acquisizione delle competenze relazionali diadiche.

     Fivaz-Depeursinge e Cordaz-Warnery sottolineano l’importanza dei multiplecaregivers. A loro parere, il sistema famiglia dovrebbe essere osservato e compreso attraverso un’ottica sistemica, nella complessità dei legami e delle relazioni che lo caratterizzano.

     Il costrutto del triangolo primario comporta la messa in discussione di assunti teorici che sembravano essere ormai assodati.

     Inizialmente – nella psicoanalisi classica – il punto di vista osservativo privilegiato era rappresentato dalla relazione diadica tra il padre e il bambino nella fase edipica; successivamente e fino ai nostri giorni, la riflessione psicoanalitica ha centrato la sua attenzione sulla diade madre/bambino. Da fallocentrica la famiglia era diventata così madricentrica. Oggi finalmente, l’attenzione è rivolta alla funzione genitoriale o, meglio, co-genitoriale, che ha come presupposto il superamento di ogni rigida separazione di ruoli e funzioni fra padre e madre.

     La co-genitorialità (si vedano Mannella, 2/2016 e Mannella, 2/2018) non è la semplice somma del ruolo materno e paterno, ma prevede la definizione di un progetto genitoriale condiviso, l’interazione profonda del sentire e dell’agire dei genitori, la loro capacità di coordinarsi per realizzare lo scopo comune del benessere del figlio.

     Il costrutto del triangolo primario, obbliga anche noi della S.I.A.R. a degli importanti ripensamenti. Fino ad oggi, infatti, abbiamo considerato che soltanto con l’ingresso nella fase muscolare il bambino acquisisse la capacità di distogliere lo sguardo dalla madre, fosse cioè capace di uscire dalla relazione diadica di attaccamento e di incontrare finalmente il padre, fino a quel momento in posizione di supporto alla madre e al sistema famiglia. Sappiamo che non è così, sappiamo che questa convinzione culturale è dipesa dalla rigida divisione dei ruoli materni e paterni che hanno tenuto lontano i padri dalla funzione di cura dei figli.

     “In altri termini, il bambino impara prima a regolare le interazioni diadiche e poi quelle triadiche […]? O invece quest’idea è una conseguenza artificiosa che deriva dal setting in cui, fino a ora, è stata studiata l’interazione tra adulto e bambino che esclude il terzo (in particolare il padre) non inserendolo direttamente nella situazione?”. (ibidem, p. 67).

 

 

Le forme del desiderio amoroso nella fase muscolare

     Dal punto di vista fisiologico, la fase muscolare rappresenta un salto evolutivo quantico. Il bambino – grazie alla raggiunta piramidalità, al controllo volontario della muscolatura striata - si dispone in posizione eretta, acquisisce la prensione e la deambulazione, si alimenta per masticazione, attiva la respirazione toracica, comincia la comunicazione verbale. Insomma, è in questa fase che il bambino progressivamente acquisisce quelle facoltà che lo specificano come essere umano.

     I profondi rivolgimenti che caratterizzano questa fase non riguardano soltanto lo sviluppo fisiologico. Con l’attivazione della neocortex, il bambino vive anche una vera e propria rivoluzione cognitiva. Non è più esclusivamente attratto dalla relazione con i caregiver, ma mostra un crescente interesse verso l’ambiente. È animato da curiosità e spirito indagatore, ed è spinto a conoscere ciò che accade nel mondo intorno a lui. Diviene, insomma, una sorta di piccolo scienziato interessato agli eventi dell’ambiente fisico e sociale. È entusiasta e appassionato, pone domande, vuole capire, e gli fa piacere condividere le proprie scoperte.

     Tali curiosità e spirito indagatore sono resi possibili anche dall’acquisizione della capacità di mentalizzazione. (Fonagy, Target, 1997).

     Il bambino è cioè capace, intorno al primo anno di vita e progressivamente, di differenziare le menti, cioè di discernere gli stati mentali interni dalla realtà e di leggere gli stati mentali propri e altrui in termini di bisogni, desideri, emozioni, intenzioni.

     Se dunque nella fase oro-labiale era accaduta la separazione corporea dalla madre, nella fase muscolare accade la sua separazione mentale. Il bambino differenzia la propria mente da quella dei genitori e, progressivamente, comincia a formare l’esperienza di un sé interiore e si avverte come essere intenzionale dotato di pensieri e sentimenti propri.

     In questa fase l’altro è sempre presente, ma non più esclusivamente in funzione del suo desiderio di attaccamento, quanto piuttosto come punto di riferimento, come presenza protettiva e rassicurante che lo osserva e lo rassicura nelle sue esplorazioni del mondo. L’altro, strumentalmente, rappresenta anche la possibilità di apprendimento attraverso la comprensione e l’imitazione delle sue azioni e dei suoi scopi. 

     La funzione genitoriale diventa progressivamente più impegnativa. Non si tratta soltanto più di proteggere e soddisfare le esigenze fisiologiche e di caldo contatto del piccolo, ma di accompagnarlo alla scoperta del mondo e all’acquisizione progressiva della propria autonomia. La funzione genitoriale assume gradualmente un carattere pedagogico.

     Se nella precedente fase orale, infatti, l’amore dei caregiver era incondizionato – non doveva essere conquistato ma rappresentava un presupposto – ora in questa fase i genitori, proprio perché devono accompagnare il piccolo nel suo movimento di separazione e di ricerca dell’autonomia, devono farsi gradualmente interpreti di un diverso modo di esserci e di relazionarsi. In altre parole, la funzione cogenitoriale deve esprimere i caratteri dell’amore condizionato, deve farsi promotrice delle regole per aiutare il bambino a comprendere che crescere significa tenere in conto la realtà di un mondo sociale che condividiamo e in cui possiamo essere protagonisti insieme agli altri.

     Solo così potrà imparare che il mondo non ha esclusivamente caratteri protettivi, che non è sempre e comunque disposto a dispensare doni; solo così potrà cominciare a strutturare quella forza che lo aiuterà ad essere presente in maniera propositiva nella vita.

     La fase muscolare secondo la S.I.A.R. comprende la fase psicoanalitica anale[12]. La fase anale è una chiara esemplificazione di quanto la cultura segni i corpi e il desiderio oltre che le menti.

     Il controllo precoce degli sfinteri costituiva al tempo di Freud una vera e propria ossessione pedagogica. La società solida del tempo – speculare a quella attuale che Baumann ha definito liquida (Baumann, 2011) – era estremamente normativa. La famiglia poneva l’enfasi sulla necessità di far apprendere al bambino il sistema delle norme di comportamento, affinché crescesse alla svelta, diventasse autonomo e si inserisse nel mondo sociale.

     Da qui l’ingiunzione precoce[13] rivolta ai bambini di controllare la funzione evacuativa. Tale funzione e il distretto corporeo coinvolto – l’ano – risultavano pertanto, per usare il linguaggio di Freud, oggetto di un forte investimento libidico: il bambino aveva piacere a trattenere o evacuare le feci e a stimolare la mucosa anale.

     La fase anale – la forma anale del desiderio amoroso – ha perso notevolmente di intensità libidica. La società attuale è assolutamente non normativa, è pressoché scomparsa l’ingiunzione genitoriale al controllo sfinterico e, all’opposto, l’uscita dalla prima infanzia si protrae per un tempo considerevolmente lungo (intorno ai tre anni).

     La disfunzionalità della funzione genitoriale non è data, pertanto, come nel passato, dall’eccesso, ma dalla carenza di ingiunzioni normative. Non è un caso che nel nostro tempo si parli di crisi della funzione educativa della famiglia come conseguenza della crisi del ruolo paterno[14].

     Le forme del desiderio amoroso della fase muscolare non si risolvono dunque nella forma dell’erotismo anale, ma sono molteplici e complesse. La scoperta motoria dell’ambiente circostante, la capacità di prensione e di manipolazione delle cose del mondo, la curiosità intellettuale, la scoperta dell’autonomia, della propria vitalità e forza, costituiscono le forme del desiderio amoroso della fase muscolare. Sul piano prettamente motorio – che rispecchia la specificità fisiologica di fase – il desiderio amoroso si esprime nel piacere di saltare, correre, manipolare, mordere, stropicciare persone e oggetti, ricercare il contatto fisico - fare la lotta - con i coetanei e gli adulti: insomma il piacere eminentemente corporeo di vivere.

     Ovviamente la forma del desiderio amoroso muscolare risentirà fortemente del clima educativo della famiglia.

     Un eccesso di ingiunzioni normative produce il risultato di inibire o peggio mortificare, la curiosità intellettuale, la voglia di scoprire e sperimentare, lo spirito di indipendenza, la vitalità motoria del piccolo. Avremo allora strutture di personalità e forme del desiderio amoroso rigide, trattenute, inibite, reattive.

     Al contrario – e questo è quel che accade nel nostro tempo – una mancanza di ingiunzioni normative determina strutture di personalità e forme del desiderio amoroso ferme su posizioni orali di dipendenza, disordinate, confuse, mancanti di definizione e di chiari confini.

[*]   Psicologo, psicoterapeuta, didatta S.I.A.R., membro dei Comitati Scientifico e Direttivo della S.I.A.R., membro del board scientifico della collana CorporalMente dell'editrice Alpes, membro della redazione della rivista PsicoterapiaAnaliticaReichiana. mQuesto indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. Indirizzo professionale: Via Valadier, 44 - 00193 Roma.

[1] Con la teoria dell’intersoggettività viene a cadere anche un altro importante momento teorico freudiano, quello del narcisismo primario. Freud riteneva che il bambino vivesse in uno stato narcisistico che non contemplava la relazione con l’altro da sé. Inizialmente il bambino ama se stesso, e solo successivamente rivolge una parte degli investimenti libidici sugli oggetti del mondo esterno. Le attuali ricerche ci danno una diversa immagine: quella di un essere sociale e relazionale fin dalle primissime fasi della vita.

[2] La letteratura scientifica per spiegare la costruzione dell’identità sessuale individua quattro diverse componenti: il sesso, l’identità di genere, il ruolo di genere, l’orientamento sessuale. Il sesso corrisponde alla configurazione anatomica sessuale del corpo. (Non mancano voci discordanti in merito alla credenza di un corpo umano così nettamente marcato dal punto di vista sessuale. Tanti autori considerano la rappresentazione sessuale del corpo in soltanto due sessi non il risultato di una evidenza empirica, ma piuttosto la conseguenza di una pratica discorsiva che crea l’illusione che il corpo sia naturalmente sessuato secondo il codice binario maschile/femminile. Basti del resto considerare la significativa percentuale di individui che nascono con organi genitali intermedi, nascosti o evidenti). (Per approfondire l’argomento si vedano: Butler 1996, 2004; Connell, 2006, Cattaneo, Vecchi, 2006). L’identità di genere è costituita dall’identificazione primaria con il genere maschile e femminile. (Vale per il genere quanto è stato detto per il sesso. C’è chi contesta, giudicandola una pratica normativa, la credenza nell’esistenza di due generi. Gli studi di genere sono pervenuti ad affermare la legittimità della molteplicità delle forme della sessualità e delle identità di genere e propongono un nuovo paradigma sessuale – quello del continuismo sessuale – che afferma che l’umanità è costituita da uomini e donne reali che presentano una mescolanza di aspetti maschili e femminili). Essa può essere allineata o no al sesso biologico. L’identità di genere inizia a definirsi fin dalla nascita e generalmente diventa un tratto dominante della persona alla conclusione della prima infanzia. Essa è una componente fondamentale dell’identità personale. Il ruolo di genere è il modo personale di rappresentare l’essere uomini o donne così come una data cultura li intende. Comincia ad essere assunto a partire dal terzo anno, in età verbale. L’orientamento sessuale, è l’espressione sessuale del nostro desiderio. Può essere eterosessuale, omosessuale, bisessuale, (o transgender). L’orientamento sessuale non può essere volutamente cambiato.

[3] Platone nel Simposio ha evidenziato come il desiderio amoroso sorga e trovi soddisfacimento nella ricerca e nella realizzazione del contatto (sensazione di interezza) con l’oggetto d’amore. Il filosofo fa raccontare ad Aristofane il mito della condizione originaria degli esseri umani. In un tempo mitico gli esseri umani avevano una foggia rotonda ed avevano doppi caratteri sessuali. Esistevano degli uomini con doppi caratteri sessuali maschili, esseri umani con doppi caratteri sessuali femminili, esseri umani con caratteri sessuali maschili e femminili. Avendo peccato di superbia, suscitarono l’ira degli dei e Zeus per punizione li divise a metà. Da allora gli esseri umani persero la loro interezza e sentirono il bisogno di andare alla ricerca della propria metà.

[4] Nella vita fetale è attiva innanzitutto quella struttura encefalica che Damasio chiama proto-sé, “il precursore non cosciente dei livelli del sé”. (Damasio, 2000, p.38). Il proto-sé è “localizzabile” nei nuclei del tronco encefalico, strutture anatomicamente antiche che scambiano informazioni con il corpo. Il proto-sé costituisce un’esperienza diretta e immediata del proprio corpo. Il proto-sé è la radice corporea della mente cosciente. In esso è dominante la enterocezione ed è rivolto pertanto a sentire lo stato interno dell’organismo perché ha la funzione di integrare i diversi segnali in transito da e verso il corpo, nel tentativo di mantenere l’equilibrio omeostatico. Il proto-sé non ha coscienza né di sé né dell’ambiente (dell’altro da sé). Il proto-sé traccia continuamente mappe relative ai parametri vitali dell’organismo che producono sensazioni di benessere o di pena. Sono questi i primordial feeling (sentire primordiale). I primordial feeling confluiranno poi nelle emozioni, ma non sono emozioni. È solo con quella che Damasio chiama coscienza nucleare (la sua base neurale si può rintracciare nei nuclei sottocorticali del talamo) che il sé è in grado di avere coscienza del proprio corpo, dell’ambiente in cui è inserito e della relazione che intercorre tra il proprio corpo e l’ambiente. Essa si costituisce pertanto nella continua interazione tra l’organismo e gli eventi del mondo. È solo con essa dunque che si ha l’esperienza di sé distinto dall’altro da sé e si hanno coscientemente emozioni, come reazioni dell’organismo allo stimolo provocato da un oggetto con il quale interagiamo. La coscienza nucleare, o cervello emotivo secondo l’ipotesi di Maclean (Maclean, 1984), si attiva anch’essa nella vita intrauterina.

[5] Questa condizione non si può assolutamente dare nella vita intrauterina. Infatti, nel caso il feto dovesse esperire la possibilità della separazione si troverebbe a vivere la realtà panica di una minaccia reale di morte. 

[6] Al genio di Freud dobbiamo riconoscere non soltanto la scoperta della sessualità infantile, ma l’aver compreso che essa si appoggia nelle diverse fasi evolutive alle funzioni fisiologiche dell’organismo.

[7] Ma se gli occhi costituiscono un canale comunicativo di fase così importante perché continuiamo a chiamarla oro-labiale? La spiegazione sta nel fatto che gli occhi – la visione nell’uomo è il senso più espanso e gran parte del cervello umano è preposto all’elaborazione degli stimoli visivi - non sono ancora informati dal neopallium, ma sono piuttosto informati dal cervello limbico e svolgono una funzione relazionale.

[8] La mancata acquisizione della regolazione emotiva, secondo Schore, rappresenta il terreno psicobiologico su cui in seguito potranno attecchire le diverse forme di psicopatologia. I bambini, fra l’altro, avranno mancato di sviluppare la capacità di resilienza, l’attitudine cioè ad affrontare e reggere le esperienze impegnative e stressanti che inevitabilmente l’esistenza ci porta a vivere. Il possesso di una buona resilienza non è infatti conseguenza di determinate caratteristiche genetiche o qualcosa di innato; è piuttosto il risultato di un processo di apprendimento e non si acquisisce una volta per tutte. (Schore, 2008).

[9] L’attenzione che noi reichiani abbiamo sempre riconosciuto alla vita intrauterina –  siamo profondamente convinti che il carattere inizi a formarsi in quel tempo evolutivo – ci porta a non escludere che la costruzione dell’identità di genere possa affondare le radici nella vita fetale. Siamo convinti che la funzione genitoriale non cominci al momento della nascita, ma fin dal concepimento, e che non riguardi soltanto la madre, ma, fin dai primi istanti di vita, la triade cogenitoriale madre, padre, feto. Gli attuali studi affermano che oltre alla comunicazione biologica - il nutrimento, l’ossigenazione e la protezione che la madre gli fornisce – esistono una comunicazione comportamentale e una simpatetica. La comunicazione comportamentale accade in molti modi: le carezze della madre e del padre al feto attraverso il pancione, le parole, le frasi e le canzoni amorose a lui rivolte. Importante è anche la realtà di un ambiente caldo e protettivo, adeguato al delicato e magico evento della gestazione. Più difficile da spiegare è la comunicazione simpatetica, quella comunicazione sottile fra genitori e feto che sembra accadere attraverso le emozioni, i sogni, i pensieri, i desideri che i genitori non possono non avere e che costellano l’intero periodo della gestazione. Ogni genitore non può fare a meno di pensare, sognare o immaginare secondo le proprie aspirazioni o aspettative il proprio bambino.

[10] Il bambino non si attacca al caregiver primariamente per un bisogno di sicurezza come ha sostenuto Bowlby, ma perché spontaneamente portato a farlo, perché essere sociale e relazionale. “Mentre la teoria dell’attaccamento enfatizza il senso di sicurezza fornito dai caregiver, l’approccio intersoggettivo sostiene che i bambini, fin dalla nascita, siano esseri sociali che ricercano spontaneamente le altre persone per impegnarsi in scambi imitativi precoci e nella mutua regolazione emotiva”. (Ammaniti, Gallese, 2014, p. 5/6).

[11] Con il termine di intersoggettività si intende la capacità da parte dei bambini molto piccoli di coinvolgersi direttamente, intenzionalmente, emozionalmente e con la “consapevolezza” dell’altro, nella relazione con i caregiver, in un dialogo preverbale, corporeo, costituito innanzitutto da contatto visivo, gesti e vocalizzi. L’intersoggettività come sistema motivazionale innato è stata definita negli anni ‘70 del secolo scorso. La teoria dell’intersoggettività sostiene che il bambino viene al mondo dotato della capacità della comunicazione interpersonale e ha portato al superamento degli assunti freudiani e piagetiani che sostenevano che per il bambino fosse necessario un lungo periodo di decentramento prima che potessero sorgere le competenze sociali.

[12] Per la S.I.A.R. anche l’ultimo momento della fase orale freudiana – la sadico-orale – è compresa nella fase muscolare.

[13] Il bambino è fisiologicamente in grado di controllare gli sfinteri fra i 2 e i 3 anni.

[14] Come affermato più sopra, è un retaggio del passato parlare di funzione paterna. La rivoluzione dei rapporti di genere, a partire dagli anni ’60 del secolo scorso, ha portato al superamento di ogni rigida divisione dei ruoli. Non si parla più di funzione materna e paterna, ma di funzione di cura o di accudimento (caregiving) e di funzione normativa (per la Siar, rispettivamente, funzione di 1° e 2° campo) che possono essere assunte indifferentemente da entrambi i genitori. Oggi del resto, come abbiamo visto, l’enfasi è posta alla funzione co-genitoriale, al superamento cioè – attraverso la definizione di un progetto comune condiviso rivolto al benessere dei figli – della tradizionale coppia genitoriale. Ancora, per dirla tutta, occorre precisare che la famiglia non sconta oggi soltanto la crisi della funzione normativa, ma anche la crisi della funzione di accudimento (Si veda Mannella, 2018).

 

 

Bibliografia

Ammaniti, M., Gallese V. (2014), La nascita dell’intersoggettività. Milano: Raffaello Cortina, Editore.

Bauman, Z. (2011), Modernità liquida. Bari: Laterza.

Butler, J. (1996), Corpi che contano. Milano: Feltrinelli.

Cattaneo, Z., Vecchi, T. (2006), Psicologia delle differenze sessuali. Roma: Carocci Editore.

Connell, R. W. (2006), Questioni di genere. Bologna: Il Mulino.

Damasio, A. (2000), Emozione e coscienza. Milano: Adelphi.

Fivaz-Depeursinge, Cordaz-Warnery (2000), Il triangolo primario. Milano: Raffaello Cortina.

Fonagy P., Target M. (1997), Attaccamento e funzione riflessiva. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Maclean, P.D. (1984), Evoluzione del cervello e comportamento umano. Torino: Einaudi.

Mannella, M. (n°2/2015), La sessualità è un’emozione e non una pulsione, in PsicoterapiaAnaliticaReichiana.

Mannella, M. (n°2/2016), I nuovi padri, l'esperienza della co-genitorialità, in PsicoterapiaAnaliticaReichiana.

Mannella, M. (n°2/2018), Il triangolo primario e la nuova genitorialità, in PsicoterapiaAnaliticaReichiana.

Mannella, M. (2018), L’educazione del corpomente. Cosa significa educare nella società postmoderna. Roma: Alpes.

Mannella, M. (n°1/2019), Sessualità ed identità, in PsicoterapiaAnaliticaReichiana.

Schore, A. (2008), La regolazione degli affetti e la riparazione del sé. Roma: Astrolabio.

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