Numero 2/2023

CORPI LACERATI

una lettura post reichiana dell’autolesionismo in adolescenza

 

BODIES TORN

A post-Reichian reading of self-harm in adolescence

DOI 10.57613/SIAR28

 

Robert Brumărescu*

 


 

Abstract

     Sguardi spenti, occhi persi nel vuoto. Polsi e braccia lacerate da rasoi e coltelli: sul corpo degli adolescenti, il fuoco della sofferenza. L’autolesionismo in adolescenza si configura come tentativo disfunzionale di regolazione emotiva, come risposta a un vuoto, un’angoscia in cui la parola non trova spazio, priva di simbolizzazione. In un taglio analitico reichiano leggiamo gli agiti autolesivi come vulnerabilità ai passaggi di fase, una sensibilità alla separazione/approdo dall’Altro. In fondo, per digerire emozioni e mentalizzare un corpo in trasformazione, l’adolescente ha bisogno di definirsi, separarsi dall’Altro. L’autolesionista inciampa nelle relazioni, senza trovare la giusta distanza emotiva dall’Altro.

Parole chiave

    Autolesionismo - regolazione emotiva - mentalizzazione - vulnerabilità relazionale.

 

Abstract

     Non suicidal self injury in adolescents is conceptualised as emotion dysregulation strategy . In this article I supposed a vulnerability to evolutive phase transitions, a peculiar sensitivity in relationships separations.

Keywords

     Non suicidal self injury - emotion regulation – mentalization - relationships vulnerability.

 

     Forbici, compassi, temperini. Talvolta anche rasoi e coltelli. Questi gli oggetti che adolescenti e giovani adulti prediligono per procurarsi incisioni, tagli, lacerazioni sul corpo. Effetto pandemia da Covid, rarefazione sociale, indebolimento di legami e limiti, i casi di autolesionismo in Italia crescono a dismisura da un anno a questa parte. I numeri parlano chiaro: nel 2022 i ricoveri di adolescenti e preadolescenti risultano duplicati rispetto agli anni passati. Lo sa bene chi ogni giorno si trova in trincea, chi accoglie nei servizi sanitari adolescenti dagli sguardi spenti, a volte persi, altre terrorizzati. 

     Per autolesionismo si intende “un’azione deliberata tesa a prodursi minorazione, temporanea o permanente che finisce per danneggiare chi la assume” (Enc. Treccani). In linea di massima, prendendo a prestito le parole di Favazza “si ritiene autolesionistica l’azione intenzionale volta a danneggiare una parte del corpo, senza l’intenzionalita’ di procurarsi la morte” (1993, p.134). La pratica autolesionistica risulta oggigiorno – specie in alcune tradizioni e culture – accettata socialmente, basti pensare a piercing e tatuaggi (utilizzati come forme estetiche per personalizzare il corpo), a riti d’iniziazione o pratiche religiose ancora presenti in svariate parti del mondo. La decorazione del corpo – ad esempio – assume tutt’oggi particolari significati simbolici nei gruppi punk o nelle tribù aborigene: pratica di riconoscimento sociale, elemento di definizione identitaria, passaggio da una fase di vita all’altra.brumjpg

     All’epoca di Tacito i guerrieri riempivano i loro corpi di tatuaggi sia allo scopo dispaventare il nemico che come segno distintivo di rango sociale. Fin qui abbiamo visto come alcune pratiche di autolesionismo risultino culturalmente accettate, ma cosa lo definisce allora come patologia? Il comportamento autolesionistico - affinché possa ritenersi patologico - deve assumere delle coordinate ben precise: la frequenza, il livello del danno procurato, l’intento con il quale viene prodotto, il grado di impulsività che lo genera. L’autolesionismo degli adolescenti, specie l’automutilazione, viene distinto dall’intento suicida, sia per le modalità con le quali viene preparato (altamente impulsive nell’autolesionismo), che per le finalità: nel primo caso può essere interpretato come vera e propria strategia (disfunzionale) per evitare il suicidio. Generalmente, tagli, graffi, bruciature, così come escoriazioni più o meno profonde, che gli adolescenti si procurano, li ritroviamo in zone del corpo ben precise, come polsi, avambracci, cosce e ventre. Tali parti del corpo da una parte risultano in primo piano sulla scena sociale, dall’altra restano visibili al controllo che l’adolescente vorrebbe esercitare sul suo corpo e, indirettamente sui suoi affetti.

     Ci si può chiedere cosa scatti nella mente di un adolescente prima che prenda una lametta tra le mani? Solitamente, l’azione autolesionistica è il risultato finale di una serie di campanelli d’allarme: l’adolescente si trova a navigare dentro onde emotive che lo sovrastano, che non è in grado né di riconoscere né tanto meno di nominare a se stesso o agli altri. Si scopre incapace di surfare i cavalloni emotivi interni, per cui ne viene travolto, risucchiato completamente. La sensazione di apnea – spesso ben descritta dai ragazzi in termini di un miscuglio di angoscia, vuoto e terrore - finisce per generare l’impulso autolesionistico. In realtà, qualsiasi emozione che sperimentiamo genera un impulso: tanto vigorosa risulta l’intensità, tanto più infuocata è la temperatura sul termometro dell’emozione che sperimentiamo, maggiore sarà l’energia, la spinta che muoverà l’impulso.  Ecco come la mente, in uno stato di rapina/dissociazione emotiva, finisce per agire l’impulso autolesionistico che, da episodico e puramente impulsivo, diviene automatismo, se prodotto con regolarità. La trappola in cui cade l’adolescente è che sul momento, l’agito autolesionistico placa, spegne l’incendio emotivo tuttavia, la scarica innesca un vero e proprio condizionamento operante.

     Un’altra funzione generata dall’automutilazione è il colpire, attirare l’attenzione sociale, tentando così di riparare uno scollamento, un distanziamento interpersonale che il ragazzo percepisce. Altri tentativi interpretativi degli agiti autolesivi scomodano teorie freudiane su sessualità e aggressività, come l’ipotesi di Friedman (1972) secondo cui l’automutilazione offrirebbe una certa dose di gratificazione sessuale.

     Nella clinica quotidiana gli adolescenti ci parlano di una certa dose di gratificazione, di sollievo, di scarica dalla pressione emotiva che accumulano. Ecco allora come altra ipotesi per spiegare tagli e bruciature potrebbe essere la funzione di regolazione degli affetti, ovvero un tentativo, una strategia di coping (disfunzionale) di plasmare la sofferenza emotiva. Una sorta di strategia calmante, anestetizzante, che spegne l’incendio emotivo (Jeammett, 1992). L’adolescente, nel tentativo di regolare le emozioni che sperimenta, imbattendosi nella scorciatoia dell’agito corporeo, finisce per rinnegare il registro simbolico: per tale motivo, autolesionismo e mentalizzazione si trovano verosimilmente in una correlazione negativa.

     Ad una lettura orizzontale l’adolescenza si manifesta come tappa evolutiva fondamentale nella strutturazione dell’identità del ragazzo, fase, stazione dello sviluppo che porta con sé compiti evolutivi ben precisi, tra i quali  mentalizzazione del corpo sessuato, costruzione di valori, nascita sociale, separazione/individuazione. A riguardo proprio dell’ultimo dei compiti evolutivi esplicitati, Pao (1969) propone una netta correlazione tra agiti automutilanti e la fase di separazione/individuazione individuata della Mahler, specificando come questi adolescenti risultino fissati a tale fase di sviluppo. Sotto stress ambientale/emotivo l’adolescente risponderebbe con una regressione, un ritorno alla fase di sviluppo che pressappoco si circoscrive tra l’ottavo mese e il terzo anno di vita. Le riflessioni di Pao permettono di confinare ad un tempo interno ben preciso la vulnerabilità dell’adolescente autolesionista, trascurando tuttavia il tema del corpo. Per questo, in accordo con Binswanger (1973), bisogna recuperare la dimensione del corpo: di fronte ad un paziente bisogna chiedersi sempre: come vive il suo corpo, come lo sperimenta? Non riferendosi ai suoi singoli distretti ma, come vive il tempo che ha attraversato il suo corpo, come percepisce oggi le relazioni oggettuali di fase, depositate lungo i livelli corporei relazionali? (Ferri, 2017).

     Il modello post reichiano (Ferri 2012), organizzatore di entropia, utilizza con vigore un modello di lettura biologico-biografico della psicopatologia. Psicopatologia, quale oltre-soglia di tratto, deposito delle fasi ontogenetiche e delle relazioni con l’Altro da Sé. Volendo inforcare le lenti post reichiane, la vulnerabilità evolutiva, il segno inciso dell’adolescente autolesionista, si potrebbe collocare lungo il come delle sue separazioni/individuazioni dall’oggetto parziale di fase e, non come fissazione ad una specifica fase evolutiva, come invece suggerito da Pao (1969). Nelle fasi evolutive della sua costituzione identitaria, l’adolescente affronta continue separazioni/approdi: il primo distacco avviene con il parto, segue poi lo svezzamento, l’uscita edipica e infine la pubertà. Il come di questi quattro passaggi evolutivi risuonerà poi sulle separazioni e sulla postura relazionale che manterrà nel suo divenire. L’ipotesi qui delineata è che l’adolescente autolesionista abbia una struttura di tratti, un carattere, ben identificabile, costituito da una sensibilità marcata alle separazioni dall’Altro. Separazioni/approdi vissuti con profondo allarme, a partire dal primo distacco del parto. In fondo, la possibilità di integrare, digerire, mentalizzare il proprio corpo, poggia sull’abilità di definirsi/separarsi dall’Altro, aspetto che, nell’adolescente autolesionista vediamo mancare. Il fenotipo dell’adolescente autolesionista inciampa continuamente nelle relazioni, non trovando mai la giusta distanza a cui collocarsi rispetto all’Altro. I tagli, le lacerazioni prodotte sul corpo, fungono così da distanziamento – non simbolizzato – dall’Altro da Sé.

     “Se mi avvicino troppo mi sento mancare l’aria, se l’altro mi nega di uno sguardo, mi sento sprofondare nelle tenebre”, così descriveva le sue relazioni, una giovane adolescente, all’ennesimo ricovero per autolesionismo.

Bibliografia

Binswanger, L. (1973), Essere nel mondo. Roma: Astrolabio

Favazza, A., Rosenthal, R, (1993), Diagnostic issue in self-mutilation. Hospital

and Community Psychiatry, 44, 134-139.

Friedman, M., Glasser, M., Laufer, E. (1972). Attempted suicide and self-

mutilation in adolescence: some observations from a psychoanalytic research

project. British Journal of Psychoanalysis, 53, 179-183 .

Ferri, G., Cimini, G. (2012), Psicopatologia e carattere. Roma: Alpes

Ferri, G. (2017). Il corpo sa. Roma: Alpes.

Jeammet, P. (1992), Psicopatologia dell’adolescente. Roma: Borla.

Pao, P.N. (1969), The syndrome of delicate self-cutting. British Journal of medical psuchology 42, 195-206.

 

* Ph.D, Psicoterapeuta, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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