Numero 1/2014

Storie di amore lavoro e conoscenza1

Marina Pompei*

 

Secondo studi dell’OMS, in Europa il 33% della popolazione soffre di disturbi mentali, cioè una su 3 delle persone che incontriamo.

Dalla fine della II guerra mondiale ad oggi, ansia e depressione sono aumentate del 25%. Più grave la situazione se guardiamo i bambini: l’aumento è di 35 volte. Cosa sta succedendo?

Anche se consideriamo che prima non si facevano rilevamenti sistematici come oggi, i dati sono comunque impressionanti.

Rispetto alla prima metà del ‘900 abbiamo avuto un miglioramento della qualità della vita: viviamo molto più a lungo, sono cresciute le disponibilità economiche, mangiamo meglio, abbiamo più tempo libero. Ma è aumentata la sofferenza psichica.

I termini usati nei documenti ufficiali sono disturbo mentale e sofferenza psichica, ma sono termini riduttivi: si riferiscono a mente e psiche; la sofferenza, in realtà, sta anche nel cuore e nel corpo. La sofferenza è affettiva, esistenziale, corporea, sociale, e ha origine nella nostra storia, o meglio, nelle relazioni che fanno la nostra storia.

Wilhelm Reich diceva che l’amore il lavoro e la conoscenza sono le fonti della nostra vita e che dovrebbero anche governarla. E possiamo aggiungere: quando così non è, c’è sofferenza.

Guardiamole una per una queste fonti della nostra vita: l’amore, il lavoro e la conoscenza.

L’amore. Ne siamo tutti esperti, perché ne abbiamo, o perché non ne abbiamo. Ne abbiamo avuto oppure no fin dall’inizio della nostra vita. Siamo stati desiderati? Siamo stati accolti? Se c’è un sì possediamo un patrimonio che si traduce in energia di vita, calore del cuore, fiducia, sistema immunitario ben funzionante.

Le prime relazioni sono determinanti nel costruire il nostro modo di vivere le altre future relazioni. Dal concepimento incontriamo un utero che sarà più o meno tonico, più o meno allarmato, un utero che appartiene ad una donna e alla sua storia, storia di relazione col proprio partner, con la propria famiglia, col proprio mondo.

Poi quella donna offrirà il proprio seno colmo o scarso di latte, oppure offrirà un biberon, o sarà il papà, o qualcun altro ad offrirlo. Con cura? Con allegria? Con ansia? Distrattamente?

Quel latte non sarà solo cibo, ma relazione, apprendimento di come va il mondo, e il bambino si adatterà a questo. Imparerà il buono e il non buono.

Proviamo ora ad immaginare una scena molto comune: ci sono una madre e un bambino, o una bambina. È il momento dell’allattamento, il piccolo chiede, la madre risponde, si siede, finalmente, perché è stanca, ha fatto molte cose fino a quel momento: ha cucinato, messo in ordine la casa, oppure è andata fuori casa a lavorare part-time ed è tornata di corsa per l’ora della poppata. Comincia a dare il latte, è seduta e può fare una telefonata; può chiacchierare con un’amica che non riesce a vedere mai; mentre il telefono squilla aspettando la voce di risposta, pensa velocemente a cosa preparerà per cena, a cosa dire di comprare al compagno che arriverà più tardi.

La donna è in pieno multitasking, e ne diventerà sempre più esperta. È lo stile di vita a cui siamo sempre più spinte.

Cartolina

E il contatto col suo piccolo? Sto descrivendo una situazione per niente patologica, c’è una madre presente ed efficiente. Cosa vogliamo di più? Nulla, quella madre è una buona madre, ma quel bambino comincerà a sperimentare un contatto parziale, instabile, che, se sarà ripetuto e confermato nel tempo, produrrà in lui insicurezza. Fare tantissime cose per essere madre, compagna, lavoratrice efficiente non garantisce per niente la qualità della vita.

Chiediamo, allora, a quella madre di guardare il suo bambino, mentre sta parlando al telefono; di sorridergli; di raccontare all’amica anche quello che sta facendo in quel momento.

Provate a prendere questa piccola storia e a moltiplicarla per le tante, ripetute situazioni che quel bambino incontrerà. Se sarà stato visto, imparerà a vedere; se avrà incontrato indifferenza sarà indifferente alla vita e avrà minore capacità di resilienza, cioè minore capacità di riorganizzare positivamente la propria vita di fronte alle difficoltà, minore capacità di far fronte ai traumi senza perdersi e senza perdere il desiderio di relazioni d’affetto.

Se sarà stato amato saprà amare.

Ma quanto è difficile vivere l’amore. Quando arriva l’adolescenza e poi la giovinezza, l’amore prende anche l’aspetto sessuale genitale. Si cerca il piacere del contatto con un altro corpo, i genitali pulsano, ma pulsano in sintonia col cuore? Oppure separiamo il piacere del corpo da quello della relazione? Il piacere del corpo affermativo in palestra, il piacere del corpo preso da un altro corpo. E l’amore dov’è?

Due milioni e mezzo di italiani frequentano abitualmente prostitute, nove milioni occasionalmente. La pratica del turismo sessuale vede l’Italia al secondo posto in Europa.

Che cosa ci dicono questi dati? Quanta paura c’è dell’incontro reale con un’altra persona! Una relazione è impegnativa: chiede di vedere l’altro, non solo di guardarlo; di ascoltarlo, non solo di sentirlo; una relazione chiede di fare un progetto anche per domani, non solo prendere, arraffare quello che si può in quel momento.

Ma la capacità di relazione non arriva magicamente, si costruisce nel corso di tutta la nostra storia e attraverso gli incontri che facciamo in tutte le fasi della nostra evoluzione da feto a giovane. E quando questo percorso ha subìto mancanze gravi, confusioni e distorsioni, spesso è l’incontro con un terapeuta che ci aiuta a ritrovare il senso perduto della relazione. Un terapeuta competente certo, ma soprattutto un terapeuta che sappia entrare in contatto con quella persona lì, che è seduta in quella stanza, con la sua specifica storia.

Perché la psicoterapia e l’analisi non sono un percorso uguale per tutti: sono una creazione ogni volta originale, unica, mirata all’accoglienza di Giovanna, Marco, Luisa…

Per questo nella nostra Scuola per psicoterapeuti insieme alle lezioni su teoria e metodo, c’è un percorso di analisi personale e degli incontri che chiamiamo essere terapeuti, perché non è sufficiente saper leggere la storia di un paziente e conoscere un metodo eccellente, per fare il terapeuta è necessario esserlo.

L’amore non è innocuo: ci coinvolge, ci impegna, ci chiede, ma è anche la fonte della gioia della vita.

Quindi Reich diceva che le fonti della nostra vita sono amore, lavoro….

Il lavoro. Parlarne oggi, qui in Italia, in Europa, ci fa subito irrigidire di rabbia o ci fa cadere le braccia. C’è un’espressione che ho imparato nei miei anni di lavoro in Abruzzo - Mi viene la disbraccia! - Le braccia sono disfunzionali, non funzionano più se sono scoraggiata, se sono depressa. Perdo il tono muscolare, perdo la percezione dell’energia del mio torace.

I dati statistici ci dicono che il 40% dei giovani non ha un lavoro. Quante storie ci sono dietro questi numeri! Di 10 ragazzi che conosco, 4 non hanno un lavoro, non possono sperimentare la propria forza individuale nella società.

Sono costretti a restare dipendenti dai genitori, a restare in una condizione infantile, accompagnati ancora per mano.

Ma se sono accompagnati per mano come possono sperimentare la forza delle proprie mani? Nella mancanza del lavoro c’è una mancanza di torace (mani-braccia-torace); non si può andare affermativamente nel mondo.

E c’è una mancanza di presenza del collo, della percezione del narcisismo sano, di quell’amore di sé che fa dire: io esisto e posso difendere la mia vita.

Le storie di questi ragazzi sono il risultato dell’interazione tra la propria storia individuale, quella familiare e quella sociale. Dobbiamo guardare in un’ottica complessa.

Nella mia stanza di terapia e di analisi arriva la storia di una persona, ma anche di una famiglia e di una società, e anche il risultato di un sistema economico e sociale sempre più fondato sull’individualismo arrogante ed egoista.

Vi leggo alcune righe inviate da una ragazza ad un settimanale2 : “Ho 19 anni e ogni mattina, quando sento la mia professoressa di latino e greco dire – la crisi di Roma è dovuta alla perdita totale dei valori del Mos maiorum - penso immediatamente all’Italia. È possibile che, come nell’antica Roma, anche la nostra situazione di crisi culturale e morale sia data da una perdita di quei valori che formano il basamento di una civiltà?… Conosco una realtà che non è più basata sull’onestà, sulla verità, sulla forza del duro lavoro, sul merito, sulla fratellanza e sulla speranza. Purtroppo guardo e vivo una realtà che è formata da uomini che gridano egoismo, che sono per quello che appaiono, che imbrogliano e che si sentono soddisfatti nell’aver ingannato. Io, e come me penso molti altri ragazzi della mia età, non mi sento parte di una comunità. Non sono italiana, non sono bolognese, sono solo Maria Giulia, sono sola nel mondo.”

Che dire di più?

Manca una rete che sostenga l’individuo: le conseguenze sono pesantissime. Una società fondata sulla competitività che non sia contenuta e mitigata da un sistema di sostegni sociali e di equità produce malattia.

C’è un grafico illuminante. È il risultato di uno studio che mette in relazione le disuguaglianze di reddito e l’incidenza delle malattie mentali3. 

SlideMarina

Non è tanto importante quanto si ha, ma quanto si ha in relazione agli altri. Perché le differenze di opportunità separano e incidono sulla percezione della propria identità. Tanti giovani che arrivano a chiederci aiuto hanno problemi di individuazione: perché sono ancora confusi simbioticamente con genitori iperprotettivi, o perché i genitori li hanno caricati dei propri progetti, delle proprie aspettative e non hanno mai rispettato la loro specificità, non li hanno aiutati a individuarsi. E hanno problemi di individuazione anche perché viviamo in un sistema che ci chiede di essere consumatori e non produttori; perché da un’economia fondata sul lavoro che costruisce qualcosa di funzionale, stiamo passando ad una economia dominata dalla finanza e dalla finanza virtuale.

La cura di tante problematiche cosiddette mentali passa per la possibilità di riappropriarsi della capacità collettiva di creare e vedere il prodotto del proprio lavoro, passa dalla possibilità di sperimentare il proprio corpo in movimento nel mondo.

Reich parlava poi della conoscenza. (L’amore, il lavoro e la conoscenza).

All’ultimo posto per le competenze alfabetiche e al penultimo per quelle matematiche. Che dire? C’è molto da riflettere e il tema merita un convegno specifico; qui possiamo vederne, intanto, almeno un aspetto. Questo risultato penosissimo è da intrecciare a quello della dispersione scolastica, molto elevato.

I ragazzi fuggono dalla scuola, che dovrebbe essere il luogo principe della conoscenza. Perché quel luogo non è un attrattore? E quelli che non fuggono fisicamente fuggono dalla presenza effettiva: il loro interesse è altrove, o non sa dove posarsi. Quella potentissima spinta vitale che vediamo agire nei corpi, dall’infanzia all’adolescenza, sembra scomparire dalla mente: si cresce in statura, crescono i seni o le barbe, ma i pensieri balbettano. Le due crescite non procedono insieme. E le emozioni stanno da un’altra parte, non vengono riconosciute nei capitoli dei libri da studiare: lì si trovano nozioni frammentate di cui i ragazzi non colgono il senso, concetti che si autogiustificano e non mostrano più il nesso con la vita che si vive.

Non è un caso che i risultati scolastici siano decisamente migliori nella scuola elementare, lì non siamo gli ultimi perché in quella prima fascia di istruzione è stato fatto un grande lavoro di ripensamento profondo del senso della conoscenza. Negli anni ’60 e ‘70 del ‘900 Don Milani e i suoi alunni della scuola di Barbiana pubblicavano Lettera a una professoressa4,  che nasceva da un intreccio indissolubile tra l’apprendimento e la vita sociale di quel paesetto.

Mario Lodi pubblicava C’è speranza se questo accade a Vho5 e Il paese sbaglito6 Il Movimento di Cooperazione Educativa pubblicava A scuola con il corpo7 . Tutto questo ha dato buoni risultati. Non è accaduta la stessa cosa dalla scuola media all’Università.

Massimo Recalcati recentemente ha detto che l’informatizzazione cognitivista della scuola esalta un sapere senza vita. È così. Quale spazio c’è a scuola e all’Università per le passioni?

Qualche tempo fa ho visto a Rovereto, lungo un grande muro di cinta, una serie di nicchie a coppia, vuote.

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Qualcuno, immagino un ragazzo o una ragazza, si è appropriato di due di queste.

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My war, la mia guerra. Gli occhi vuoti di quelle nicchie classicheggianti si sono riempiti, guardano e piangono; la bocca mostra i denti. Che messaggio potente arriva, se ci fermiamo a leggerlo.

Se non aiutiamo i ragazzi a contattare emozioni e sentimenti e a metterli in relazione con il pensiero, resta solo la rabbia. Una conoscenza che non si relaziona con il sentire rimane sterile e non produce vita sociale sana.

Facciamo un salto all’indietro nel tempo, arriviamo nell’Atene classica.

Lì, le tragedie di Eschilo raccontano il grande passaggio culturale avvenuto nella comunità di Atene da una visione più arcaica dell’uomo e della società, dominata da forze e passioni oscure, ad una visione più razionale. Certamente un grande passaggio che ha dato origine alla cosiddetta civiltà occidentale.

Ma pagando un prezzo. Un prezzo che mi sembra straordinariamente rappresentato in una delle sue tragedie, nelle Eumenidi8. In questa tragedia, Oreste, che ha ucciso sua madre, fugge inseguito dalle Erinni e chiede e ottiene la protezione di Pallade, Minerva, che interviene per trasformare le Erinni, le Furie che perseguitano chi uccide i propri parenti, in Eumenidi, che proteggono l’insieme della città e garantiscono la giustizia.

Si tratta di un passaggio da forme tribali, viscerali, a forme di vita guidate dalla razionalità; ma si tratta di un salto, potremmo dire, dalla pancia alla testa, scavalcando il cuore. Pallade è nata dalla testa di Zeus, è un concepimento senza relazione d’amore. Questo è il vizio di origine.

Dobbiamo ritrovare il nesso tra passioni, sentimenti e pensiero per curare le malattie delle persone e per la grande malattia della nostra società.

Ricordiamoci che una holding non è solo una società finanziaria, ma holding, come ci dice Winnicott, è l’insieme delle cure che la madre dà al suo bambino. E ricordiamoci che BOND non è solo un titolo di credito finanziario. Bond significa legame, vincolo.

Concludo leggendovi poche righe di uno dei più grandi romanzi della nostra civiltà.

“Sta diventando generale, ai nostri tempi, una grottesca incapacità dell’intelletto umano a intendere che la vera garanzia della propria persona non si raccomanda già agli sforzi dell’individuo isolato, ma all’universale comunanza umana”.

Siamo nel 1879, è Dostoevskij ne I fratelli Karamazov 9.


[1] Intervento al Convegno S.I.A.R. “Ogni persona è una storia”. Roma, 26 ottobre 2013

[2] daIl venerdì di Repubblica del 12 Gennaio 2012

[3] Wilkinson, R. Pickett K. (2009), La misura dell’anima. Perché le diseguaglianze rendono le società più infelici. Milano: Feltrinelli

[4] Scuola di Barbiana (1963), Lettera a una professoressa. Firenze: Libreria Editrice Fiorentina

[5] Lodi, M. (1963), C’è speranza se questo accade a Vho. Torino: Einaudi

[6] Lodi, M. (1970), Il paese sbagliato. Torino: Einaudi 

[7] AA.VV. (1974), A scuola con il corpo. Firenze: La Nuova Italia

[8] Eschilo, (ultima ristampa 1995) Eumenidi. Milano: Mondadori

[9] Dostoevskij, F. (2005),I fratelli Karamazov. Torino: Einaudi, p.403

 * Psicoterapeuta, Analista S.I.A.R.

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