CORPO E IDENTITA' SESSUALE

 

BODY AND SEXUAL IDENTITY

DOI:  10.57613/SIAR04 

 

Marcello Mannella[*]

 

 

Abstract

     Nel dibattito sull’identità sessuale ancora oggi si confrontano due diverse e opposte considerazioni del corpo: quella biologista del corpo macchina e quella costruttivista del corpo come tela. Entrambe risultano problematiche e mancano di coglierne la pregnanza. Occorre considerare i corpi/individui nella concretezza del loro sviluppo storico evolutivo, come soggettività incarnate. Non si tratta pertanto né del pervenire alla maturazione biologica, né di incorporare passivamente un’identità sessuale, quanto piuttosto considerare quest’ultima come il frutto di un processo attivo di corporazione, cioè della capacità dei corpi/individui di declinare individualmente le matrici culturali e sociali.

Parole chiave

     Corpo macchina - corpo come tela - soggettività incarnate - mente incarnata ed enattiva.

 Abstract

      Within the debate on sexual identity there are still two opposite interpretations of the body: the biologistic one of the machine body and the constructivist one which sees the body as a canvas. Both appear problematic and do not perceive the relevant significance. It is essential to examine bodies/individuals in the concreteness of their historical-evolutive development, as embodied subjectivities. It is nor about reaching biological maturation, nor passively incorporating a sexual identity; it is about considering this latter as the outcome of an active process of embodiment, of the capacity of the bodies/individuals to individually decline cultural and social matrices.

Key words

     Machine body – body as canvas – embodied subjectivities – embodied and inactive mind.

 

     Il dibattito sull’identità sessuale[1] ha proceduto lungo il XX sec. da un’impostazione in chiave biologica alla considerazione della sua origine culturale, fino a pervenire all’affermazione che non soltanto il genere ma anche il sesso è il frutto delle pratiche sociali (Mannella, RivistaPsicoterapiaAnalitica Reichiana, 2/2020). Entrambe le posizioni continuano ad animare il dibattito contemporaneo e, come vedremo, risultano problematiche non soltanto quando si presentano in forma rigida – biologismo di contro a costruttivismo radicale – ma anche quando si compie il tentativo di integrarle e si prova a considerare l’identità sessuale come il risultato della mescolanza di fattori biologici, psicologici, culturali.

     La loro problematicità discende dalle diverse e opposte rappresentazioni del corpo. La prima tesi si fonda sulla sua (apparente) sopravvalutazione; la seconda sulla sua svalutazione. Entrambe comunque mancano di coglierne la pregnanza.

     La visione biologista fa perno sulla differenza riproduttiva, sul fatto cioè che la diversa configurazione dei genitali maschili e femminili e la loro diversa funzione costituiscano i fattori determinanti l’identità sessuale. Siamo di fronte ad una considerazione del corpo come meccanismo biologico che detta le regole del comportamento e determina la relazione fra i generi. È questa la visione del corpo come macchina[2].

     Tale tesi trova la sua più chiara esemplificazione nella versione darwiniana. Il meccanismo della selezione naturale avrebbe individuato la soluzione ottimale per garantire la perpetuazione della specie. L’aggressività sessuale maschile garantirebbe la ricerca dell’accoppiamento; la passività e il carattere protettivo femminili l’accudimento della prole. Dalle loro diverse attitudini (pulsioni) naturali discenderebbero le differenze psicologiche e, conseguentemente, le differenti attitudini sociali: gli uomini sarebbero votati alla responsabilità sociale; le donne a compiti di sostegno e accudimento, in primo luogo in ambito familiare.

     Nel nostro tempo tale visione si presenta generalmente in forme più attenuate, e si sostiene che l’identità sessuale sia il risultato di un insieme di fattori biologici, psicologici e culturali. Ma anche in questo caso non tarda però ad affacciarsi il presupposto epistemologico naturalistico di fondo e si finisce col sostenere che la matrice biologica abbia un peso preponderante. I fattori biologici continuano ad essere considerati vincolanti perché stabili, di contro alla plasticità e alla mutevolezza dei fattori psicologici e sociali.

     Ritorneremo su questo punto mostrando come abbia senso parlare della identità sessuale come risultato di un insieme di fattori biologici, psicologici e sociali soltanto se si affronta il problema in un’ottica complessa e non lineare e riduzionistica.

     La seconda rappresentazione – quella che mette capo a forme di costruttivismo radicale - al contrario, nega qualsiasi ruolo al corpo perché lo considera una superficie levigata su cui la cultura iscrive a piacimento i suoi significati. Il corpo non opporrebbe nessuna resistenza; il sesso e il genere sarebbero radicalmente costruiti e incorporati attraverso la reiterazione delle pratiche sociali discorsive o performative. L’identità sessuale non avrebbe nessuna naturalità, i corpi non rappresenterebbero alcun vincolo, il genere e il sesso sarebbero appresi e pertanto fluidi e potenzialmente cangianti nel corso della vita.

     È questa la concezione del corpo come tela[3] (Connell, 2006). Essa finisce con l’enfatizzare la docilità del corpo ed è propria di tante posizioni post strutturaliste, post moderne, queer[4]. Un’esemplificazione storica drammatica della marginalizzazione del corpo nei processi di costruzione dell’identità sessuale è rappresentata dal famoso caso John/Joan, esposto dal sessuologo e psicologo Money negli anni Settanta del secolo scorso[5].

     L’opposizione fra i modelli biologista e costruttivista è una sopravvivenza del contrasto moderno fra natura e cultura. I due termini sono ancora proposti in opposizione e si continua a non coglierne la relazione, l’intreccio profondo.

     L’errore di fondo della prima tesi è quello di credere che l’evoluzione biologica nella specie umana abbia proceduto e si sia definita in maniera indipendente dalla cultura e che quest’ultima, dunque, abbia avuto inizio soltanto quando la prima aveva ormai compiuto il suo cammino.foto corpo

     Gli antropologi sono di tutt’altra convinzione e sostengono la tesi che la cultura sarebbe sorta a livelli molto meno evoluti dello sviluppo biologico umano, che si sarebbe pertanto completato sotto la pressione della selezione culturale[6].

     L’intreccio fra organismo e cultura caratterizza pure lo sviluppo ontogenetico. Mentre, infatti, nel mondo animale il processo di maturazione fisiologica accade fondamentalmente nel grembo materno, nell’uomo la maturazione delle funzioni motorie e percettive si completa nell’ambiente familiare e sociale. Solo dopo circa un anno il neonato acquisisce i caratteri che specificano la nostra specie: l’andatura eretta e la facoltà del linguaggio[7].

     Anche sul piano dello sviluppo cerebrale registriamo il profondo intreccio di natura e cultura.

     Fino a qualche tempo fa si riteneva che il nostro encefalo raggiungesse la sua definizione strutturale esclusivamente sulla base dell’informazione genetica. I neuroscienziati sostengono oggi che la specie umana è caratterizzata da una maturazione cerebrale molto lenta – il cervello matura fino ad oltre i 20 anni - e le aree cerebrali manifestano una pronunciata plasticità nel senso che non sono immediatamente dotate di rigide competenze. Le neuroscienze, ad esempio, mettono in evidenza che intorno al secondo anno di vita si assiste al fenomeno della potatura sinaptica dei circuiti cerebrali. La maturazione neuronale sarebbe pertanto il frutto di pressioni selettive operate dall’attività degli organismi e dai processi di apprendimento.

     Tutto ciò rappresenta per la nostra specie un valore biologico perché consente ai singoli individui di potersi adattare alle particolarità delle diverse culture. A questo punto appare palese che natura e cultura, che corpo, mente e ambiente costituiscono un’unità funzionale e risulta impossibile delimitarne con precisione i confini.

     La seconda tesi – quella del corpo come tela - scaturisce dall’esigenza di opporsi alla tirannia del biologismo, del corpo organismo[8], pervenendo però al suo totale disconoscimento. Le teorie culturaliste presuppongono che i costrutti culturali siano la matrice attraverso cui gli individui passivamente procederebbero ad assumere la propria identità sessuale. Il processo così inteso ha un carattere eminentemente top/down, precipuamente cognitivo, linguistico.

     Esse mancano di cogliere tutta la dimensione emozionale/affettiva – dunque corporea individuale, bottom/up – che contribuisce in maniera decisiva alla definizione dell’identità sessuale. I corpi non sono soltanto passivi, ma hanno anche un ruolo attivo. Il processo della definizione sessuale è dunque biunivoco - top/down e bottom/up insieme; modelli culturali e corpi sono disposti sullo stesso piano.

     Per comprendere però fino in fondo la complessità e la peculiarità di tale rapporto occorre – lo ribadiamo - lasciarsi alle spalle le opposte considerazioni del corpo inteso come categoria biologica o come categoria sociologica.

     Occorre considerare i corpi nel loro carattere assolutamente individuale, il loro essere questo corpo qui quel singolo avrebbe detto Kierkegaard - assolutamente diverso dagli altri corpi, capace pertanto di interagire individualmente alle sollecitazioni dei caratteri e contesti biologico, familiare, sociale, etnico, in cui ci si trova ad essere gettati. I corpi sono allora sì luogo di sovrapposizione di molteplici matrici culturali e sociali, ma anche in grado di trascendere ognuna di esse, di combinarle in diverso modo, pur restando in esse situati.

     Occorre insomma considerare i corpi/individui nella concretezza del loro sviluppo storico evolutivo, occorre considerarli come soggettività incarnate[9], nella loro capacità continua di combinare personale e sociale, interno ed esterno,  inconscio e conscio, soggettività e modelli culturali. Non si tratta pertanto né del pervenire alla maturazione biologica, né di incorporare passivamente un’identità sessuale, quanto piuttosto considerare quest’ultima come il frutto di un processo attivo di corporazione, cioè della capacità dei corpi/individui di declinare individualmente le matrici culturali e sociali. È il corpo che costruisce la propria identità sessuale a partire dalla propria fisicità, dal proprio sentire, dalla propria storia, dalla propria capacità di costruire significati[10]

     Il processo di definizione dell’identità sessuale è un processo complesso, stocastico, in cui necessità (il vincolo corporeo, il corpo considerato non nell’astrattezza della sua presunta naturalità, ma nella sua concretezza storico-evolutiva) e libertà (il voler essere) sono indissolubilmente intrecciati e danno origine alla realtà molteplice e variegata delle identità sessuali. La sessualità umana è una creazione autopoietica che scaturisce dall’accoppiamento strutturale fra il sé (il sistema vivente individuo) e il mondo familiare, psicologico, sociale. 

     Il processo di corporazione dell’identità sessuale pertanto non è disgiunto dal processo di costruzione della propria personalità (Mannella, Rivista PsicoterapiaAnaliticaReichiana, 1/2020).

     E come il carattere di un individuo (un insieme dinamico di tratti), anche la nostra identità sessuale non è una costruzione coesa, rigidamente definita, ma in qualche misura fluida e aperta. È il nostro modo di essere – di percepirci, sentirci, pensarci – che abbiamo sperimentato e appreso a partire dalla primissima infanzia; è il nostro modo di amare come risultato delle esperienze di contatto e di piacere esperite con l’altro da sé durante lo sviluppo evolutivo. E come il carattere, l’identità sessuale è unica e irripetibile.

 

[1] La letteratura scientifica individua quattro diverse componenti dell’identità sessuale: il sesso, l’identità di genere, il ruolo di genere, l’orientamento sessuale. Il sesso corrisponde alla configurazione anatomica sessuale del corpo. (Non mancano voci discordanti in merito alla credenza di un corpo umano così nettamente marcato dal punto di vista sessuale. Tanti autori considerano la rappresentazione sessuale del corpo in soltanto due sessi non il risultato di una evidenza empirica, ma piuttosto la conseguenza di una pratica discorsiva che crea l’illusione che il corpo sia naturalmente sessuato secondo il codice binario maschile/femminile. Basti del resto considerare la significativa percentuale di individui che nascono con organi genitali intermedi, nascosti o evidenti). (Per approfondire l’argomento si vedano: Butler 1996, 2004; Connell, 2006, Cattaneo, Vecchi, 2006). L’identità di genere è costituita dall’identificazione primaria con il genere maschile e femminile. (Vale per il genere quanto è stato detto per il sesso. C’è chi contesta, giudicandola una pratica normativa, la credenza nell’esistenza di due generi. Gli studi sul genere sono pervenuti ad affermare la legittimità della molteplicità delle forme della sessualità e delle identità di genere e propongono un nuovo paradigma sessuale – quello del continuismo sessuale – che afferma che l’umanità è costituita da uomini e donne reali che presentano una mescolanza di aspetti maschili e femminili). Essa può essere allineata o no al sesso biologico. L’identità di genere inizia a definirsi fin dalla nascita e generalmente diventa un tratto dominante della persona alla conclusione della prima infanzia. Essa è una componente fondamentale dell’identità personale. Il ruolo di genere è il modo personale di rappresentare l’essere uomini o donne così come una data cultura li intende. Comincia ad essere assunto a partire dal terzo anno, in età verbale. L’orientamento sessuale, è l’espressione sessuale del nostro desiderio. Può essere eterosessuale, omosessuale, bisessuale. L’orientamento sessuale non può essere volutamente cambiato.

[2] La considerazione del corpo come macchina affonda le sue radici agli albori dell’età moderna quando, con l’affermazione della scienza moderna, cominciava a prendere il sopravvento la considerazione oggettiva della natura e dei corpi in sostituzione di quella soggettiva e vitalistica che aveva caratterizzato fino ad allora la cultura occidentale grazie soprattutto al Timeo platonico. Per l’affermazione del paradigma meccanicistico un ruolo decisivo è svolto dalla filosofia di Cartesio (Meditazioni metafisiche). Corpo e natura furono da allora considerati realtà puramente meccaniche ed inerti prive della benché minima scintilla di vitalità: la natura era nient’altro che una macchina che funzionava secondo leggi meccaniche.

[3] Anche questa considerazione del corpo non è una novità nella cultura occidentale. Possiamo rintracciarne l’origine nella filosofia di Aristotele. Per lo stagirita anima e corpo non era più considerati – come nella tradizione orfico/pitagorica/platonica – separati; corpo e anima rappresentavano un sinolo (un’unione indissolubile). L’anima era considerata l’ente in atto di un corpo che ha la vita come potenza. Il corpo era considerato sostanzialmente lo strumento dell’anima; era l’anima a produrre attraverso le sue volizioni e cogitazioni le significazioni della vita (Aristotele, De anima).

[4] Il termine queer è intraducibile in italiano. Suoi possibili significati sono: strano, obliquo, eccentrico, deviato, finocchio. Il termine era utilizzato in modo dispregiativo verso ogni forma di sessualità altra rispetto all’imperante eterosessualità obbligatoria. Il movimento gay e lesbico lo ha fatto provocatoriamente proprio: queer è l’altro terrificante che fa da specchio negativo alla pretesa naturalità dell’eterosessualità.

[5] Bruce Reimer presenta alla nascita, così come il fratello gemello Brian, un’accentuata fimosi e i genitori decidono per la circoncisione. Il chirurgo compie un drammatico errore che ha come conseguenza il danneggiamento irreversibile del suo pene. A questo punto il dottor Money convince i genitori ad educare Bruce come se fosse una femmina e propone di sottoporre il figlio a riassegnazione chirurgica del sesso. La convinzione del dottor Money è che l’identità sessuale è assolutamente indipendente dai suoi geni essendo il frutto esclusivo dei processi educativi. Il caso fu presentato da Money come un’evidenza scientifica incontrovertibile: il bambino sembrava essersi adattato assolutamente alla sua nuova identità sessuale. Le cose in realtà andarono diversamente. In una ricostruzione successiva della vicenda risultò che Brenda (il nome femminile di Bruce) fin dall’infanzia manifestava atteggiamenti maschili e che in età scolare aveva cominciato a presentare sintomi depressivi.  Appresa la verità a 14 anni, Brenda – che cambia il suo nome in David -  decide di ritornare maschio facendosi amputare il seno e sottoponendosi a ricostruzione chirurgica del pene. La storia si conclude drammaticamente: i due gemelli a distanza di pochi anni si suicidarono (Tripodi, 2011).

[6] Secondo Geertz è erronea la tesi “che ritiene l’evoluzione mentale e l’accumulazione culturale due processi completamente separati, per cui il primo sarebbe stato essenzialmente completato prima che iniziasse il secondo”. È evidente “che non solo l’accumulazione culturale era avviata ben prima che cessasse lo sviluppo organico, ma che, molto probabilmente, questa accumulazione ebbe un ruolo attivo nel modellare le fasi di sviluppo finali […] Poiché la fabbricazione di arnesi valorizza l’abilità manuale e la capacità di progettare, la sua comparsa deve aver influenzato lo spostamento delle pressioni selettive così da favorire lo sviluppo del proencefalo, come fecero con tutta probabilità i progressi dell’organizzazione sociale, nella comunicazione e nella regolamentazione morale che – vi è ragione di credere – avvennero pure durante questo periodo di sovrapposizione del mutamento culturale e di quello biologico. […] Il punto è che la generica costituzione innata dell’uomo moderno (quella che in tempi più semplici si chiamava natura umana) appare ora essere un prodotto sia culturale che biologico, dato che è probabilmente più corretto pensare a gran parte della nostra struttura come risultato della cultura che pensare a uomini anatomicamente simili a noi che scoprono lentamente la cultura”. (Geertz, 1998, p. 93).

[7] Lo zoologo Portmann ha definito il neonato “un parto prematuro normalizzato, tipicizzato”, e considera il suo primo anno di vita “un anno embrionale extrauterino”. (Portmann, 1989).

[8] La fenomenologia ha offerto dei contributi decisivi per la comprensione del corpo. (Husserl, Meditazioni cartesiane, Bompiani, Milano,1960; Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, 2003).

[9] È merito dell’odierna riflessione e pratica clinica psicoanalitiche aver messo in evidenza che il genere e l’identità sessuale sono insieme una costruzione personale e culturale. Dialogando con il femminismo post-moderno, studiose come Chodorow (1995, 2002) e Benjamin (1995), grazie al punto di vista privilegiato rappresentato dal setting psicoanalitico, mostrano come non si sia di fronte ad un processo eminentemente culturale e cognitivo. Mentre dunque le teorie culturaliste sostengono che le soggettività sono costituite linguisticamente la psicoanalisi clinica del genere mostra come genere, ruolo di genere, orientamento sessuale si definiscano a partire dalla primissima infanzia, in un tempo dunque precognitivo, in cui un ruolo preponderante giocano le dinamiche fantasmatiche, affettive e relazionali nel contesto familiare.

[10] L’attuale ricerca neuroscientifica sostiene il carattere incarnato (Damasio, 1999) ed enattivo della mente: percepiamo e comprendiamo la realtà attraverso la continua attività corporea.  La cognizione non è un fatto puramente mentale, ma corporeo e mentale insieme. (Maturana, Varela, 2009). Si veda il capitolo Il corpo produttore di senso in Mannella M., L’educazione del corpomente. Cosa significa educare nella società postmoderna, 2018.

 

 

Bibliografia

Benjamin J. (1995) Soggetti d’amore. Genere, identificazione, sviluppo erotico.Milano: Raffaello Cortina. 1996.

Butler J. (1993) Corpi che contano. Milano: Feltrinelli. 1996.

Cattaneo, Z., Vecchi T. (2006) Psicologia delle differenze sessuali. Milano: Carocci.

Chodorow N. J., (2002) Il genere come costruzione personale e culturale, in (a cura di Dimen M., Goldner V.), La decostruzione del genere. Milano: Il Saggiatore. 2006.

Connell, R. (2002), Questioni di genere. Bologna: Il Mulino. 2006.

Damasio A. (1999), L’errore di Cartesio. Milano: Adelphi.

Geertz C. (1973), Interpretazioni di culture. Bologna: Il Mulino. 1998.

Husserl (1960), Meditazioni cartesiane. Milano: Bompiani.

Mannella M. (2018), L’educazione del corpomente. Cosa significa educare nella società postmoderna. Roma: Alpes.

Mannella M., Sessualità ed identità, in PsicoterapiaAnaliticaReichiana, rivista semestrale online, n°1/2019.

Mannella M., Desiderio amoroso e costruzione del sé, in PsicoterapiaAnaliticaReichiana, rivista semestrale online, n°1/2020, 1° e 2° parte.

Mannella M., Al principio Freud, in PsicoterapiaAnaliticaReichiana, rivista semestrale online, n° 2/2020.

Merleau-Ponty (1945), Fenomenologia della percezione. Milano: Bompiani. 2003.

Maturana H., Varela F. (1980), Autopoiesi e cognizione. Venezia: Marsilio. 2001.

Maturana H., Varela F. (1984), L’albero della conoscenza. Milano: Garzanti. 2009.

Tripodi V. (2011), Filosofia della sessualità. Milano: Carocci. 2011.

Portmann A. (1965), Le forme viventi. Nuove prospettive della biologia. Milano: Adelphi. 1989.

 

[*]Psicologo, Psicoterapeuta, Didatta S.I.A.R., Membro dei Comitati Scientifico e Direttivo della S.I.A.R., Membro del board scientifico della collana CorporalMente dell’Editrice Alpes, Membro della redazione della Rivista PsicoterapiaAnaliticaReichiana. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. Indirizzo professionale: Via Valadier, 44 -00193 Roma

 

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