Numero 2/2012

POST REICHIANI

 

Intervista a Genovino Ferri* di Marcello Mannella**


Marcello
: La S.I.A.R. si richiama all’eredità del pensiero di Wilhelm Reich, la cui riflessione ha segnato in maniera decisiva la storia del movimento psicoanalitico, in particolar modo nello sviluppo della tecnica terapeutica, con l’elaborazione dell’Analisi del Carattere. Nello stesso tempo il suo pensiero presenta aspetti problematici dal punto di vista sia teorico che clinico. Gino, che cosa significa essere reichiani oggi?

Gino: La prima cosa che mi viene da rispondere è che siamo reichiani nella nostra capacità di ascolto del Sé, un ascolto globale delle sue intelligenze e dei suoi segni incisi, che sono stratificati nella corporeità.

M: Quindi è un modo di stare nel setting e di osservare il corpo che deriva dalla nostra storia?

G: Sì, ma l’ascolto è anche sentire il setting, il Sé in toto, il suo campo, l’incontro e il dialogo dell’analista e dell’analizzato, l’azione delle loro interazioni che diventano relazioni, che diventano intersoggettività.

M: Bene, in cos’altro ancora siamo reichiani?

analisicarattereG: Possiamo dire che siamo post-reichiani, nel senso che c’è un continuum evolutivo e uno sviluppo di significative parti del suo pensiero, mentre ne lasciamo altre sullo sfondo. Per essere chiaro: noi abbiamo ripreso e sviluppato la sua Analisi del Carattere, che consideriamo un vero e proprio frattale guida, un punto di svolta, un punto di biforcazione, un salto quantico, perché include implicitamente il corpo nel setting analitico e di fatto propone la persona e il setting stesso come oggetti interi di studio. Giudichiamo poi di grandissima importanza la descrizione reichiana dei 7 livelli corporei che, con un guizzo meta-analitico, abbiamo declinato con la teoria psicoanalitica delle relazioni oggettuali. Tale collegamento è stato per noi spontaneo, ad alta coerenza evolutiva ed epistemologica, nonché chiarissimo. Parliamo infatti di carattere come insieme di tratti, segnati nei loro moduli di comunicazione logica e analogica, dall’incontro fra le relazioni degli oggetti parziali di fase con il livello corporeo prevalente del Sé, nei diversi stadi dello sviluppo. Le specifiche esperienze biologico-biografiche, vissute in reciprocità, lasciano quei segni incisi (carattere significa letteralmente segno inciso) su cui si organizzerà e strutturerà la personalità.

M: Bene Gino, abbiamo individuato nell’ Analisi del Carattere il punto di partenza della riflessione della S.I.A.R. Ma cosa abbiamo lasciato cadere? Quali concetti del pensiero di Reich giudichiamo fra i più problematici?

G: Ti rispondo: possiamo parlare oggi ancora di orgone e di energia orgonica? Credo proprio di no. E questa convinzione la sostengo indipendentemente dal valore scientifico (le attuali ricerche sembrano averli messi decisamente in ombra), ma perché mi piace essere in relazione con il mondo e un tale tipo di convinzione e posizione culturale mi costringe e mi relega in un soliloquio. Poi su un piano personale e in tutta simpatia, mi piace pensare che il bosone di oggi, la particella di Dio che i fisici hanno trovato a Ginevra, sia accostabile da qualche parte all’orgone di ieri.

M. In effetti, è un’affermazione molto forte, perché il movimento reichiano è profondamente legato alla cosiddetta fase orgonomica della sua riflessione.

G. Non sono il primo, molti studiosi reichiani, prima di me, hanno sostenuto che il concetto di energia in Reich non sia da considerare un’evidenza al microscopio, ma piuttosto una lente di osservazione, un modo di porsi nella relazione di studio con l’oggetto vita, nella consapevolezza della relazione dell’osservatore con l’oggetto osservato. Uno per tutti: Roger Dadoun, che afferma “bioenergia non è tanto il nome di un principio o di una teoria e ancor meno di una visione filosofica, quanto piuttosto la designazione di un campo unitario d’indagine”[1]. Mi viene da aggiungere che essere reichiani oggi significa anche essere autentici nella verità della ricerca, che non può essere tale senza l’inclusione del sentire. Il mio desiderio è di tradurre Reich nel 2012 e attualizzarlo portando la sua vitalità con noi. Nutro una grande stima e un grande amore per lui e nello stesso tempo vedo che tante cose, che egli ha detto, non possono attraversare il tempo, ma è naturale che sia così.

M: Altrimenti si corre il rischio, assai consueto fra i reichiani, di trasformare la sua riflessione in una dottrina.

G: Diventa una psicoteologia (!) con postulati che funzionano nel senso entropico, chiudendo e collassando l’orizzonte del sistema. I sistemi di pensiero, che sono anch’essi indicatori di stati e assetti, dovrebbero, in quanto appartenenti a sistemi viventi, possedere il dono dei sistemi aperti, quello di intercettare neghentropia e conservare così il lusso dell’incertezza e delle sostenibilità, senza chiudersi! Mi sento, come post-reichiano, di fare questa restituzione alle parti di pensiero complesso presenti in Reich.

M: Sempre sulla linea di portare l’attenzione su alcuni concetti storici del pensiero di Reich, che cosa ne è del concetto di potenza orgastica e del riflesso orgastico, oggi, nella S.I.A.R.?

G: La potenza orgastica oggi va intesa come la possibilità di abbandonarsi e di farsi attraversare dall’energia vitale, dalla carica vitale, dal flusso neghentropico, dalla pulsazione che attraversa il Sé in maniera piacevole e solare, con il senso di appartenenza ad un campo energetico maggiore e la percezione delle differenze di campo. La genitalità è la sua massima espressione.

M: Quindi è un modo di essere-nel-mondo, la capacità di esprimersi.

G. Il riflesso dell’orgasmo[2] è un indicatore che Reich utilizzava per significare la libera circolazione dell’energia vegetativa alla fine di un trattamento di Vegetoterapia Analitico-Caratteriale. Oggi non possiamo prendere tutto questo alla lettera, è un riferimento lineare ed elementare, spesso un buon indicatore del funzionamento del Vivente, di una ‘potenzialità’ orgastica, ma la realtà di un Sé e di un Setting analitico-terapeutico è certamente più complessa. In altri termini voglio dire che possiamo anche trovarci di fronte a disturbi e patologie di persone, che pur presentano il riflesso dell’orgasmo in Vegetoterapia A.C. Mi piace perciò riferirmi a Federico Navarro, quando mi diceva che il suo maestro Ola Raknes, che era stato allievo di Reich, gli ricordava di fare l’amore ‘ad occhi aperti’. Significava vivere la relazione con l’oggetto d’amore con consapevolezza, un momento d’incontro e di potenza orgastica superiore, un collegamento, tra gli occhi e i genitali, cioè tra il 1° e il 7° livello corporeo e con l’Altro. (La Vegetoterapia A.C. di Navarro è sistematizzata sui 7 livelli corporei ed include quella più elementare di W.Reich, che non era sistematizzata sui livelli. Per completare questa informazione aggiungo che la Vegetoterapia S.I.A.R. oggi è sistematizzata con gli actings di fase-livello, prendendo in fondamentale considerazione la dimensione ‘tempo interno’, ed include le precedenti in continuità evolutiva, oltre ad essere declinata con la relazione nel setting).

M: Così dunque per la S.I.A.R. la potenza orgastica, tradizionalmente concepita, non è più il fine della terapia?

G: Solo se intendiamo per potenza orgastica la possibilità di pulsare e fluire dagli occhi ai genitali, che coinvolge la mia interezza, la mia storia, attraversando i miei 7 livelli.

 

M: Questo è radicalmente nuovo.

G: è una rivisitazione-allargamento del concetto di pulsazione, che va letto anche in modo relazionale. La potenza orgastica è la capacità di abbandonarmi a una grande apertura, ad un grande respiro del Sé ad Io sintonico, ma anche di vivere il contatto e la genitalità con un Altro da Sé a me sintonico.

M: Per Reich la sessualità genitale è presente fin dalla nascita.

G: Non è presente fin dalla nascita, semplicemente perché non lo è. Nel nostro modello di fasi evolutive, marcate da confini prettamente biologici,CopertinaAlpesRitaglio Rosso la genitalità presuppone il raggiungimento della seconda fase genito-oculare. Occorre specificare però che, al contrario di Freud, noi non consideriamo le fasi evolutive in relazione alle zone erogene. Parliamo piuttosto di livelli corporei che comprendono anche le zone erogene. A mio avviso, è questa differenza che ha concorso a non far prendere in considerazione, a Freud e agli psicoanalisti, l’importanza dei vissuti delle fasi intrauterine.

M: Infatti il nostro modello non è energetico - pulsionale,[3] ma relazionale.

G: Noi siamo relazionali, siamo sistemico-energetici; meglio: neghentropico-sistemici: Il gene del futuro codice neghentropico-sistemico S.I.A.R., infatti, era già presente implicitamente nel frattale guida Analisi del Carattere.   L’analisi del carattere è sistemica, è un modo di osservare assolutamente sistemico, non focalizza la sua attenzione su di un punto, ma su un intervallo che comprende molti punti in relazione fra loro. L’inclusione del corpo nel setting è relazionale ed energetico. Ma Reich, paradossalmente, non ha dato seguito alla sua geniale intuizione, si è infilato principalmente nella dimensione terapeutico-corporea tralasciando la dimensione analitico-relazionale, focalizzando la sua attenzione sulla ricerca orgonomica. Noi S.I.A.R. abbiamo incluso il corpo in analisi e lo abbiamo fatto in coerenza evolutiva reichiana con il frattale guida, mettendo insieme i livelli corporei, che contengono la fonte somatica, gli oggetti parziali ed interi delle fasi evolutive e la relazione Sé- Altro da Sé.

M: Cosa intendi per fonte somatica? Qui mi sembra che ci sia discrepanza rispetto a quanto hai affermato prima, e cioè rispetto al fatto che non consideriamo i livelli corporei innanzitutto in relazione alle zone erogene.

G: Intendo per fonte somatica, ed è una restituzione-omaggio al vocabolario e al genio di Freud, una parte del livello corporeo dominante nella comunicazione e nella relazione con l’oggetto in quel tempo evolutivo, capace di segnare-fissare un come ed uno stile prototipico di tratto caratteriale.

M: Quindi in tutte le sue dimensioni: relazionali, biologiche, fisiologiche.

G: Perfetto, noi non possiamo negare di essere principalmente relazionali, perchè siamo sistemi viventi complessi e aperti.

M: Questo, allora, ci libera dalla dimensione biologistica.

G: Non credo.

M: Intendiamoci, siamo biologia, non voglio escludere la dimensione biologica, voglio escludere il fatto che il nostro comportamento abbia una determinazione innanzitutto biologica.

G: Provo a chiarire. Noi siamo relazione sempre, anche biologicamente e geneticamente. La biologia e la genetica sono fonti di un’ intelligenza relazionale straordinaria. Anche il nostro patrimonio genetico può determinare dei segni-incisi. Noi siamo relazione fin dalla nostra vita intrauterina con l’oggetto parziale utero. Ieri leggevo un articolo, sulle News di Google, sulle cellule del piccolo in utero che sostengono la madre anche in una patologia polmonare neoplastica, ciò mi rimanda molto al nostro discorso sul masochismo primario di primo tipo.[4] Voglio dire con questo esempio che c’è una relazione dinamica sempre, anche nella relazione biologica pura.

M: Perfetto, nella dimensione relazionale ci apriamo all’imprevedibilità, alla creatività, alla probabilità.

G: Noi siamo intelligenti nel senso di leggere dinamicamente l’esterno, per cui siamo in relazione sempre e il suo esito è troppo complesso molte volte per essere prevedibile.

M: Il modello energetico-pulsionale invece…

G: è a rischio di maggior linearità. Nel momento in cui incontriamo una pluralità di connessioni non è possibile prevedere con certezza l’esito, il calcolo è sempre probabilistico. Anche noi (della S.I.A.R.) per esempio, che siamo molto in avanti con l’Analisi del Carattere della Relazione, e addirittura teniamo conto di come le posizioni controtransferali di tratto e di livello corporeo possano muovere le transferalità di tratto dell’Altro, non diamo affatto per scontato l’esito terapeutico previsto e lo monitoriamo con supervisioni costanti nel tempo.

M: Gino, quando tu parli di segno-inciso mi sembra possa dare l’impressione di intenderlo in maniera causale-lineare, come se ad una determinata esperienza dovesse necessariamente conseguire una particolare conseguenza, quella e non altra; io so che pensi in maniera sistemica..

G: Segno-inciso è un’espressione che mi piace tanto perché fa parte del mio sentirmi post-reichiano, ma certamente fra il Sé e l’oggetto parziale si stabilisce una relazionalità circolare e complessa, che non solo è capace di determinare il segno inciso nel qui ed ora, ma anche di predisporre e condizionare nuove esperienze, quindi è una relazionalità assolutamente dinamica, non lineare.

M: Sempre nell’intento di considerare i momenti caratterizzanti il pensiero e la tecnica reichiana, cosa pensi del fatto che ad un certo punto Reich sembri abbandonare la cura parlata?

G: La cura parlata Reich non l’abbandona, sposta l’attenzione dei suoi studi dal carattere al corpo e chiaramente è vinto dall’entusiasmo per le nuove scoperte. Oggi noi, protetti dal tempo delle quattro generazioni passate, possiamo dire che le parole modificano le sinapsi e le emozioni ancor di più, ma sono entrambe necessarie: per cui definiamo un progetto mirato alla domanda dell’individuo. Potrebbe essere distonico lavorare facendo riferimento solo alla dimensione corporea, la persona potrebbe non essere pronta o non averne sostenibilità. Necessita perciò essere capaci di leggere le domande esplicite ed implicite dell’Altro che ci sta di fronte, altrimenti entreremmo in una dimensione psicotica, nel senso di non essere in relazione, ponendo all’Altro di fatto la richiesta di entrare nella nostra cruna dell’ago, definendo talora resistenza la sua non attuazione. Occorre saper leggere la domanda dell’Altro e chiedersi se abbiamo una possibile risposta, e se quella neghentropica è la cura parlata, noi la diamo, con uno stile (un approccio) carattero-analitico reichiano, aspettando giusti tempi per integrare ulteriori passaggi, se necessari. L’ Analisi Reichiana infatti può essere interpretata come un sistema stratificato nel tempo di 4 posizioni osservative, ad alta coerenza, scomponibile funzionalmente nelle singole unità, per progetti analitico-terapeutici mirati alla persona e al suo eventuale disagio, le ricordo puntuali:

- Analisi del carattere del linguaggio verbale e delle architetture di pensiero espresse dal tratto.

- Analisi del carattere del linguaggio del corpo e dei movimenti espressivi che lo sottendono, per mezzo della Vegetoterapia Analitico Caratteriale.

- Analisi del carattere del linguaggio fra i tratti, ovvero del dialogo tra transfert di tratto e controtransfert di tratto.

- Analisi del carattere della relazione analista-analizzato: che è il terzo sistema vivente nel setting.      

M: Ad un certo punto del suo percorso teorico clinico, Reich incomincia a definire ciò che chiamerà la tecnica della Vegetoterapia[5]. Puoi chiarire in cosa consiste?

G: la Vegetoterapia Analitico-Caratteriale fa il suo ingresso nell’orizzonte dell’indirizzo reichiano nel 1935, dopo che dal 1923 al 1934 si era sviluppata l’Analisi del Carattere. “Allentando gli atteggiamenti caratteriali cronici riusciamo ad ottenere reazioni del sistema nervoso vegetativo e…riusciamo a liberare anche gli atteggiamenti muscolari corrispondenti…riproducendo anche quella situazione nella memoria in cui la repressione della pulsione si era verificata…ogni irrigidimento muscolare cioè contiene la storia ed il significato del suo sorgere”[6] sottolinea Reich nei suoi scritti. Ci troviamo di fronte, con Reich, ad una Vegetoterapia Analitico Caratteriale, basata su pochi actings principalmente di respirazione, incentrata sulla profonda espirazione, per la realizzazione del riflesso orgastico, una Vegetoterapia iniziale, per molti versi semplice e non sistematizzata sui 7 livelli, che non considera la dimensione tempo interno e non è coniugata con la relazione nel setting. Pur tuttavia straordinaria ed entusiasmante nella sua originalità e coerenza.

M: Penso che sia importante scandire i vari passaggi generazionali.

G: Ti racconto allora meglio un po’ di cose del mio maestro e amico.   Al rientro da Stromboli, dove era stato in vacanza ed aveva scoperto Reich, Federico Navarro lancia ai suoi colleghi di Napoli, nel 1965, l’idea di una formazione con Ola Raknes, allievo norvegese di Reich ed unico didatta europeo, già psicoanalista e allievo della Horney, nostro nonno in poche parole. Durante tre anni consecutivi egli, con altri colleghi, riceve un insegnamento pratico ed una formazione, ma   “al termine della mia formazione Ola Raknes mi domandò se avessi qualche osservazione da fare ed io gli risposi che la metodologia clinica aveva bisogno di una sistematica coerente sui livelli corporei reichiani… Raknes mi diede ragione e mi disse (…) che Reich non lo ha fatto perché ad un certo punto egli si è impegnato interamente nelle ricerche orgoniche (…) ma se tu vuoi lo puoi fare”[7]. Federico si impegnò in tale delicata impresa ed elaborò la Vegetoterapia A.C. sistematizzata sui 7 livelli corporei, che sottopose all’approvazione di Raknes.

Ci troviamo di fronte ad una Vegetoterapia A.C. sistematizzata sui livelli corporei con specifici actings per i 7 livelli, un salto d’ordine straordinario di progettualità articolata e strutturata, una Vegetoterapia che si stratifica sulla precedente e la include, che ho ricevuto addosso dal mio training di una vita e da me profondamente amata in particolari actings, ma bidimensionale, che non tiene sufficientemente conto del tempo interno e della relazione nel setting. Conserva così anch’essa il rischio implicito, come quella precedente, di poter scivolare solo in una terapia monadico-clinico-corporea. Entusiasmante nella sua potenza e coerenza, aveva bisogno di qualche ulteriore perfezionamento.

Arriviamo così alla SIAR e alla Vegetoterapia A.C. di Fase-Livello Corporeo, che si stratifica sulle precedenti e le include. Ci trovammo negli anni ’90 infatti, di fronte alla necessità di perfezionare la relazione nel setting secondo parametri reichiani e di declinarla con la dimensione profondità-tempo. Il frattale guida ci condusse nelle ricerche e si aprì un orizzonte ampissimo: l’architettura della relazione condizionava qualsiasi atto terapeutico, compresi gli actings di Vegetoterapia A.C.! L’analisi del carattere della relazione ci condusse anche alle relazioni oggettuali ricevute, sulla freccia del tempo, ai vari livelli corporei e la bidimensionalità si fece tridimensionalità: i 7 livelli ci raccontavano la nostra vera storia relazionale e gli actings diventarono gli ascensori frattalici del tempo interno! L’acting diventò di fase e di livello! La possibilità di agire un movimento appropriato e ontogenetico sulla corporeità attualizzava il come della comunicazione fissata, in quella fase e in quel livello, dalla relazione con l’oggetto parziale dell’epoca, ma l’ acting era anche il protagonista del divenire di quel come fermo nel tempo, segnando incisivamente nuove posizioni prototipiche di tratto! Eravamo di nuovo nell’alveo analitico, con il corpo incluso! Mi emoziona anche adesso parlarne.

M: Alla quarta generazione: la S.I.A.R., appartiene quindi una particolare considerazione della dimensione controtransferale. Puoi dirci qualcosa di più in merito?

G: Per essere coerenti con il nostro codice neghentropico-sistemico ed il nostro frattale guida, consideriamo nel setting i tratti caratteriali dell’analista. Per noi il controtransfert non si esprime soltanto in contenuti psicodinamici, ma possiede anche un’architettura rappresentata dal tratto[8], che li contiene. Non dobbiamo averne semplicemente coscienza, ma utilizzarlo come strumento terapeutico straordinario. La domanda che ci ponemmo fu: può diventare un’opportunità o ci limitiamo ad averne coscienza e controllarlo? Noi lo introduciamo come un movimento possibile.

M: Mi fai un esempio? Come utilizzi il tuo controtransfert?

G: Si. Arriva da me Marcello presentandomi un particolare tratto. Ciò mi procura risonanze piacevoli, irritanti, oppure indifferenti con associato corredo psicodinamico. Ho consapevolezza con quale mio tratto caratteriale sto rispondendo? E con quale livello corporeo? Una volta consapevole, mi domando se confermare o meno la mia posizione controtransferale, se non sia più opportuno posizionarmi su un altro tratto, su un altro livello corporeo, per aiutare Marcello a muoversi, a sperimentare nuove possibilità di essere e di espressione di tratto. Se nella vita di ogni giorno posso decidere liberamente, in un setting terapeutico ho ben altre responsabilità: spostarmi in funzione delle esigenze terapeutiche dell’Altro, affinché l’Altro possa iniziare un processo di cambiamento neghentropico.

M: Tu hai definito questo atteggiamento accoppiamento strutturale.

G: Sì, mutuandolo dalla fisica come da sempre fa la psicoanalisi, da Gell Mann: il nobel per la fisica che parla di interazioni ricorrenti in sistemi intelligenti che apprendono. Entrare in accoppiamento strutturale con l’Altro, nella coppia analitica, allora, è capire quale posizione dobbiamo assumere per la neghentropia dell’Altro. Ad esempio, posso incontrare dei ragazzi che stanno cercando di raggiungere una posizione d’attacco per temi di castrazione o comunque fobici: essi hanno bisogno di incontrare un analista che in posizione fallica, raggiunta e più evoluta, accolga questo loro movimento e lo sostenga, ma da quel tratto, da quei livelli e da quel campo! E gli actings, in questa architettura facilitante e appropriata, assumono valenze propulsive e neghentropiche proprio differenti! Se non si realizza tale accoppiamento strutturale ben specifico, quei ragazzi potrebbero rimanere in stallo in posizione di castrazione e di evitamento.

M: è molto chiaro Gino, ma ritorniamo alla Vegetoterapia. Ci puoi dire qualcosa in più sugli actings ?

G: L’acting ci offre la possibilità di lavorare sul tempo di fase di un determinato livello corporeo, su cui è incisa la specifica relazione oggettuale, può diventare quindi un acting mirato alla domanda, una risposta a quelle peculiari esigenze terapeutiche.

M: Per questo noi non proponiamo necessariamente gli actings secondo una successione codificata e obbligata.

G: Certo, proporre gli actings in sequenza è sempre un’esperienza di grande conoscenza. Però possiamo utilizzarli in maniera talora più efficace, per le esigenze analitico-terapeutiche di una determinata persona. Con gli actings andiamo su un blocco specifico sciogliendolo, ridando movimento al tempo interno emozionale, che vi era sequestrato. Sciogliamo l’energia della contrazione che proteggeva quella vulnerabilità creatasi lì, in quel tempo di fase, su cui si è poggiato il divenire psicodinamico successivo. Talora invece tonifichiamo quel livello e quella vulnerabilità , se fu generata da difetto e non da eccesso energetico, comunque riequilibriamo quel livello con un nuovo prototipo di relazione oggettuale.

M: E non lo facciamo con il linguaggio parlato.

 

G: Con il solo linguaggio parlato noi potremmo trovarci di fronte ad una lettura gratuita. Il corpo e l‘acting permettono la possibilità di ascolto e di osservazione dell’analista e dell’analizzato, sono dei garanti di fatto e rappresentano il dato esperenziale cui possono entrambi richiamarsi. Se si utilizza solo il linguaggio parlato ognuno ha i propri vissuti e le proprie opinioni senza il terzo evidente.

M: Quindi l’acting fa emergere un vissuto, un’evidenza che è emotiva.

G: Un’abreazione emotiva, che modifica lo stato e l’assetto delle energie, evidente a me e all’Altro.

M: Si è un momento incredibile.

G: è un’informazione non sospetta e non falsificabile, obiettiva nel dialogo intersoggettivo, che ci consente un’autenticità di conoscenza.

M: L’emozione, che prima dicevi essere rimasta legata in un determinato blocco corporeo, ha in quello stesso distretto corporeo la sua memoria o la sua sede è localizzabile a livello del SNC?

G: è importantissimo quello che chiedi, perchè a volte do per scontate molte cose.   Per essere didattico, dico che il primo recettore, il primo ricevente della relazione con l’oggetto parziale è il livello corporeo, ma il deposito mnestico è anche a livello del SNC: i 7 livelli corporei infatti sono l’interfaccia periferica e i 3 cervelli, stratificati sulla freccia del tempo anch’essi, sono l’interfaccia centrale della pulsazione circolare della vita, fra periferia e centro.

M: Noi reichiani parliamo di memoria nel corpo.

G: Principalmente dell’inconscio depositato dai segni incisi della nostra storia relazionale sul livello corporeo, la loro memoria implicita. Con gli actings noi riattualizziamo una porta periferica dello schema relazionale con l’ oggetto, imprintato in quel livello corporeo in una determinata fase evolutiva. Oggi diremmo che andiamo a richiamare delle mappe della mente, che emergono quando grandi reti rappresentano oggetti ed eventi, che si trovano nel corpo o nel mondo esterno. La parola mappa si riferisce a rappresentazioni-immagini, che non sono da intendere nella sola modalità visiva, ma anche in quella sensoriale, tattile, viscerale uditiva. Quindi possiamo intervenire a livello centrale con i farmaci, con le parole, con il controtransfert di tratto e di livello, a livello priferico con gli actings, attraverso una metodologia ben specifica e sistematizzata. Gli actings creano o rinnovano, modificandoli, nuovi canali sensoriali, aumentano le connessioni e le rappresentazioni-immagini, formando e resettando nuove mappe della mente. Con l’incremento delle reti neurali aumentano così la cognizione e il sentire.

M: Tutto ciò ci permette una visione dell’intero, globale, con una coscienza maggiore.

G: Diventiamo più intelligenti. Io distinguo fra coscienza e consapevolezza. La consapevolezza è un con-sapere, è insieme sentire sapere e coscienza. La consapevolezza è connettere le parti implicite alle esplicite, le consce alle inconsce. Un’analisi è creare consapevolezza, è aiutare l’Altro a raccordare e creare connessioni-reti, fra il lì ed allora ed il qui ed ora, tra il profondo e la superficie, informando, formando e riformando la mente!

M: Nel nostro lavoro dunque, non solo sciogliamo blocchi, ma aiutiamo le persone a strutturare una nuova forma.

G: Sì.

M: Questo, penso, sia un punto importante da chiarire, perché in Reich vi è soprattutto il tema terapeutico dello sciogliere.

G: Con la Vegetoterapia non solo sciogliamo blocchi, ma aiutiamo a creare nuovi schemi di relazioni oggettuali, che permettono un sentire nuovo. Potrà sembrare forte, ma l’acting è un’azione che può aprire il Sé alla possibilità di un ordine più intelligente, rispetto a quello precedente. Quindi un’analisi non è semplicemente destrutturazione, un’analisi è molto spesso strutturazione e ristrutturazione.

M: Nel nostro tempo ciò è ancora più necessario.

G: Perché siamo nella cosiddetta modernità liquido-rarefatta,[9] per cui spessissimo dobbiamo strutturare e ristrutturare; la corazza si è liquefatta nel suo ipertono e nel suo tono, per l’accelerazione dopaminergica, che maschera la depressione ed il vuoto border del nostro tempo, che stravolge le relazioni affettive ed i sentimenti delle persone, che travolge i confini superegoici dei giovani.

M: Noi distinguiamo fra analisi e terapia. Puoi spiegare la differenza?

G: Analisi e terapia non sono sinonimi, l’una può includere l’altra, ma l’altra non include l’una. L’analisi è di un setting diadico e intersoggettivo, la persona è un soggetto di cui l’analista si prende cura, poggia sulla relazione e prevede la reciprocità, il dialogo tra gli inconsci, anche corporei per noi. Un acting si inserisce in questo contesto relazionale. La terapia è più direttiva, è il versante clinico di un setting che è monadico ed ha uno scopo ben preciso, il benessere dell’Altro, con prescrizioni che l’Altro mette in atto, la persona è un paziente oggetto di cure.

M. Da quello che dici sembrerebbe che la terapia sia qualcosa da evitare. In quali casi è invece opportuno un atteggiamento terapeutico?

G: No, non è da evitare, è un’indicazione di progettualità mirata!

M: Non si corre così il rischio di cadere nella discrezionalità. Chi decide?

G: Decide l’analista. E’ una responsabilità etica che va assunta dall’analista nel setting, che può decidere sensatamente di rispondere alla sola domanda terapeutica, perché è il progetto più appropriato e neghentropico per quella persona. Con le tue ultime domande su analisi e terapia apri un link sul rischio loro connesso della cosiddetta presa in carico e prendo posizione: la trovo essere una condizione ed una posizione francamente masochistica, foriera di controtransfert negativi latenti: mi metto l’Altro sulle spalle, occupandomi di lui in toto. L’Altro, in questo caso, non ha altra possibilità relazionale che una posizione down di attesa orale, che nel tempo potrebbe trasformarsi in pretesa reattiva. Non c’è condivisione di responsabilità, la motivazione è bassa, non è richiamato l’élan vital dell’Altro ed è assente l’analisi del carattere della relazione.

M: Sembrerebbe quasi che il nostro modello sia il migliore (!)

G: Migliore rispetto a chi? C’è una comparazione.

M: Nel senso che è un modello che sembra possedere tantissime qualità.

G: è un modello complesso e diverso, che riesce a vedere l’Altro nelle sue domande, nelle sue necessità e nello stesso tempo permette di leggere se stessi, le proprie possibilità, le proprie sostenibilità. Questo lo rende umano e, insieme, molto complesso. Probabilmente sarà molto più semplice per le prossime generazioni.

M: Quindi, in qualche modo lo giudichi in anticipo sui tempi?

G: Posso dire una cosa che potrebbe essere fraintesa? Lo giudico molto intelligente e d’avanguardia, chiaramente non in senso esclusivamente cognitivo, ma nel senso che predispone tutta la nostra sensorialità ad ascoltare e osservare l’altro, a raccogliere ed incrociare le informazioni, all’interno di una progettualità consapevole. è evidente che tutto ciò presuppone una buona analisi su di sé e una grande esperienza. In futuro sarà più facile se riusciremo a trasmettere ai nostri allievi, ai nostri giovani, queste informazioni. Loro partiranno avvantaggiati, potranno allenarsi e muoversi con più facilità da una piattaforma organizzata come oggetto analitico-terapeutico intero.

M. è un percorso impegnativo anche per chi decide di affrontare questo percorso come paziente, cliente.

G. è vero, è impegnativo, ma l’Altro sente la validità e la vitalità del modello.


[1] Roger Dadoun, (1976), Cento Fiori per W. Reich. Venezia: Marsilio Editore

[2] Nel pensiero di Reich il riflesso dell’orgasmo è il fine ideale dell’orgono-terapia. Al momento dell’orgasmo, l’organismo si abbandona completamente alle pulsazioni involontarie dell’esperienza del piacere.

[3] Il modello energetico-pulsionale proprio della psicoanalisi classica considera il comportamento umano come determinato dalla realtà di un patrimonio pulsionale innato. Anche le emozioni non sarebbero altro che l‘espressione psichica di quelle stesse pulsioni. La psicoanalisi contemporanea si ispira, invece, ad un modello di tipo relazionale. I nostri comportamenti sarebbero allora appresi e troverebbero la loro ragion d’essere nelle memorie delle nostre esperienze relazionali primarie a partire dai vissuti intrauterini.

[4] Cfr: Ferri, G., Cimini, G., (1992), Psicopatologia e carattere. Roma: Anicia e (2012),L’Analisi Reichiana : la psicoanalisi nel corpo ed il corpo in psicoanalisi. Roma: Alpes Italia Editore.

[5] A partire dal Saggio sul masochismo (1932), Reich ha integrato la tecnica dell’analisi del carattere con la vegeto terapia. Quest’ultima è una metodica che si informa al sistema nervoso vegetativo (da cui prende il nome), al sistema muscolare, al sistema neuroendocrino e alla pulsazione energetica. La vegeto terapia prevede la somministrazione di una serie di esercizi corporei (actings) volti a far rivivere i vissuti delle fasi dello sviluppo evolutivo, aprendo alla possibilità di sperimentare e apprendere nuove possibilità di essere.

[6] Reich, W., (2010) La Funzione dell’Orgasmo. Milano: Il Saggiatore.

[7] Navarro, F.(1982), La Vegetoterapia: aspetti clinici. in Revue L’Arc n. 83.

[8] La fase è un periodo dell’evoluzione ontogenetica in cui il Sé riceve gli imprintings ed i segni incisi dall’oggetto parziale di quel tempo, è un intervallo tra due passaggi segnati biologicamente. Il tratto è la storia di ognuno di noi in quella fase: un insieme embricato di schemi e moduli di comportamenti ricevuti dalla relazione con l’oggetto parziale di quel tempo.

[9] Bauman, Z., (2003), Modernità Liquida. Bari: Laterza.

* Genovino Ferri, Psichiatra, Analista S.I.A.R., Direttore della Scuola Italiana di Analisi
Reichiana, membro dell'Accademia delle Scienze di N. Y., Membro del Comitato Scientifico Internazionale di Psicoterapia Corporea.

**Marcello Mannella, Psicoterapeuta, Analista S.I.A.R.

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