Numero 2/2012

ANNA

Questo articolo è la parziale documentazione di un incontro di supervisione analitico-clinica in gruppo condotta da Genovino Ferri, psichiatra, analista reichiano.

Una terapeuta presenta il caso di un proprio paziente, gli altri terapeuti intervengono con domande e commenti, il supervisore conduce.
La storia

Anna è una ragazza di 23 anni. E’ alta, bella, un corpo sottile dall’addome in sù che si allarga verso il basso. Vive in un paese di provincia e lavora in una grande azienda.

Ha un rapporto ambivalente con la madre: litiga fortemente con lei ma non ce la fa a distanziarla.

Suo padre morì per cirrosi epatica alcolica, in un breve arco di tempo, quando lei aveva 7 anni. Il padre si ubriacava e maltrattava la madre, che non reagiva minimamente al linguaggio offensivo del padre, abbassando la testa. Lavorava nella stessa azienda in cui oggi lavora Anna.

Il fratello di Anna, di 16 anni più grande, viene descritto come l’unica persona che si è occupata da sempre di lei, colui che la guidava sul che cosa fare, che le insegnava come comportarsi: era stato il suo Super-Io affettuoso, comprensivo e le faceva anche regali. Sfortunatamente due anni dopo la morte del padre, quando lei aveva 9 anni, il fratello ebbe un bruttissimo incidente sul lavoro, nella stessa azienda dove lavorava il genitore, e morì poco dopo.

Anna non ha mai visto la madre piangere o dire qualcosa per questi due lutti, ma ricorda che il suo attaccamento a lei diventò molto forte nel periodo successivo all’incidente del fratello. Quando la madre restava tutta la giornata in ospedale, Anna ne sentiva fortemente la mancanza, come se l’avesse abbandonata per essere vicina al figlio che stava morendo.

Una volta conclusa la scuola dell’obbligo Anna venne assunta dall’azienda dove avevano lavorato il padre e il fratello, come una forma di risarcimento per quelle fini tragiche, ma a tutt’oggi non è proprio interessata a questo suo lavoro.

Anna non è mai andata in vacanza con amici e non ha interessi nella sua vita: mostra adorazione solo per Hitler.

Il suo divertimento è andare nel fine settimana nei vari bar della zona a corteggiare giovani ragazzi simili al padre: grotteschi, rozzi, che bevono e si comportano verso di lei in modo squalificante e oltraggioso, come il padre verso sua madre.

La ragazza è venuta da me chiedendo una terapia un mese fa, portando il problema del suo rapporto con la madre: non vuole essere oppressa e compressa, ma avrebbe bisogno di essere accettata da lei, che non l’ascolta e non la vede nelle sue necessità. Un esempio fra i tanti: Anna, dai 15 fino ai 22 anni ha avuto una relazione con un uomo del suo paese, un gran lavoratore, ma un uomo che beveva e si comportava in modo pessimo con lei, oltre che di basso livello culturale. La madre approvava questa relazione e premeva perché rimanesse con lui ed Anna, in questa conflittualità, nonostante non lo desiderasse, gli telefonava e lo cercava.

 

La supervisione

Supervisore: Qual è la domanda esplicita di Anna? E quella implicita?

Terapeuta: Anna chiede di poter stare sui propri piedi, di individuarsi e di poter creare relazioni, perché non ne è capace. E’ consapevole di andare alla ricerca di uomini nei vari locali che frequenta, senza però divertirsi; quello che cerca è provocare solo il loro interesse e, quando qualcuno la infastidisce con le parole, lei lo aggredisce, a differenza della madre che subiva passivamente le situazioni.

Domanda: è in contatto e legge le sue emozioni?

Terapeuta: Non ha un buon contatto con le sue emozioni, però è consapevole del suo modo di agire.

Domanda: è venuta da sola nel setting?

Terapeuta: Sì, di sua volontà, ma con il permesso preventivo della madre.

Domanda: Abbiamo informazioni riguardo la sua gravidanza, il parto, l’allattamento?

Terapeuta: Non ho risposte al riguardo. Sto cercando di convincerla ad informarsi.

Domanda: Fa uso di droghe, sostanze, alcool?

Terapeuta: Fa uso di alcool solo nei locali notturni.

Commento: Sembra giocare a fare l’uomo della situazione, il maschio: suo padre e suo fratello sono morti. è consapevole anche del fatto che è lei a doversi prendere cura della madre. Ha bisogno della virilità dell’alcool, non del perdersi, tipico dell’effetto di altre sostanze.

Supervisore: La terapeuta vuole aggiungere qualcosa ancora?

Terapeuta: Ho la sensazione che il rapporto tra lei e la madre sia segnato da simbiosi.

Supervisore: Cominciamo ad elaborare gli stimoli che ci hai offerto. Vorrei che tu sottolineassi meglio l’ipotesi del rapporto simbiotico con la madre.

Terapeuta: La madre è l’unica persona della famiglia che le è rimasta.

Supervisore: Non ha sviluppato nessun sintomo sopra-soglia? Quando non ci si riesce a separare, si possono facilmente presentare sintomi, per esempio un’agorafobia.

Terapeuta: La ragazza non entra mai in un ascensore, sale e scende solo con le scale.

Supervisore: Quindi abbiamo un elemento oltre-soglia, un dato clinico, la claustrofobia, con una difficoltà a separarsi: rimane infatti nel suo paese, non si reca in alcun altro posto, si muove intorno alla sua casa e non va oltre.

Terapeuta: Ha voglia di andare in altri luoghi, ma non ha amicizie e ciò non le è di aiuto.

Supervisore: Forse è più esatto dire che sono presenti due dati clinici, la claustrofobia e l’angoscia di separazione dalla madre. In termini analitici, dove si colloca la ragazza, in quali sue fasi evolutive è fissata? Possiamo parlare di una fissazione nella fase intrauterina, connessa con la claustrofobia e di una fissazione nella fase oro-labiale, in rapporto con il tema di separazione dalla madre. Anna, non potendosi separare, oscilla tra queste due posizioni. Nell’intrauterino è simbiotica e appena un po’ più sù sulla freccia del tempo, nella fase oro-labiale, non è simbiotica, ma è costretta all’attaccamento per evitare l’angoscia abbandonica. Da tener infine ben presente la fissazione in fase genito-oculare.

Anna ha due lutti molto gravi, due ferite molto grandi e profonde. I due uomini di famiglia muoiono quando lei si trova nella prima fase genito-oculare, a 7 anni perde il padre e a 9 anni il fratello! Questo è un tempo evolutivo gravemente traumatizzato e di conseguenza è costretta a permanere nelle fasi intrauterina ed oro-labiale. Tenta di muoversi autonomamente da questi stadi, ma lo fa riproponendo di nuovo la scena edipica che lei ha visto, cioè quella di suo padre e sua madre, continuando a ricercarla, anche per correggerla, nei bar del paese. è come se cercasse anche una identificazione con la parte non espressa e congelata della madre, dandole anima e vita, provocando perciò, nei vari uomini che incontra, la relazione che la madre aveva subìto. Potete immaginare che grande conflitto e quale dolore possano attraversare Anna nel suo sentire, ma la ragazza arriva in psicoterapia da sola, anche se approvata dalla madre, e sceglie una psicoterapeuta: mi piace pensare che questa intelligenza del Sé condizioni anche una prognosi buona.

Che tipo di disturbo clinico si profila? Non si tratta di un disturbo della sfera psicotica e neanche di un disturbo della sola sfera depressiva, ma di un disturbo strutturale nevrotico depressivo reattivo. I segni incisi fondamentali disfunzionali sono i due lutti ed il grande dolore da perdita, che non ha potuto condividere e piangere con la propria madre, assente anche lei. Ha detto infatti di non aver mai visto sua madre piangere: quanta compressione, quanta repressione, quanta rabbia e quanto furore nel suo torace e nella sua pancia...da far sviluppare l’adorazione per Hitler, che esprime tutte queste emozioni sedimentate nel tempo.

Se questa è la diagnosi, che tipo di progetto terapeutico possiamo costruire per lei? E qual è la domanda della terapeuta?

Terapeuta: Credo che dovrei potenziare i suoi interessi. La ragazza ha qualità che sta dissipando, si sta rovinando all’interno di questo suo gioco con amanti che non valgono nulla. Vuole costruire un naturale rapporto con la madre ed una relazione stabile con un compagno.

Supervisore: Se potessimo tradurre la domanda implicita che la ragazza pone alla terapeuta, quale sarebbe? La domanda esplicita è: non voglio essere pressata da mia madre. La domanda implicita e più profonda, qual è?

Commenti: Aiutami a restare stabile, a non ricadere nello stadio intrauterino - Voglio gioire - Voglio andare verso gli uomini - Voglio andare verso l’attivazione, l’azione - Non voglio diventare come mia madre, non voglio attraversare il suo dolore.

Supervisore: è sempre lo stesso tema, quello che avete colto tutti: Mamma portami nel mondo!. Abbiamo detto tutti la stessa cosa: Mamma accompagnami, portami a conoscere e a vedere gli uomini, la vita, la gioia.

Penso che la madre si sia fermata nel suo tempo interno, congelata; questa ragazza, invece, ha voglia di far divenire e di rinnovare il suo incontro con il proprio tempo interno. La madre non l’ha accompagnata in questo processo creando una distonia, ma Anna trova da sola la madre disposta ad accompagnarla, la trova nella terapeuta.

I nostri pazienti annusano sempre le strade terapeutiche, le trovano ancor prima di noi. Ci indicano il percorso, in modo frattalico sì, ma ce lo indicano. Il progetto, quindi, sarà quello di accompagnarla a conoscere il mondo e ad ampliare i suoi interessi e, quando lei avrà fatto esperienza, lasciarla andare da sola.

Se questo è il progetto, come possiamo attuarlo?

Domanda: Questa ragazza non avrebbe bisogno di una madre accogliente, che l’abbracci prima di essere invitata ad andare verso il mondo?

Supervisore: La domanda esplicita con la quale Anna è arrivata in terapia è: Non voglio essere pressata da mia madre, voglio che lei mi comprenda. Voi sapete quanta importanza attribuisco alle parole, perché si informano all’intelligenza del corpo, mi portano sempre al corpo. Capire-Comprendere significa contenere e accogliere funzionalmente il dentro vitale dell’altro. Io ho bisogno che gli altri mi comprendano, vuol dire: ho bisogno che mi includano, mi abbraccino, mi accettino.

Comprendere è un termine che appartiene spesso allo stadio intrauterino, ma è ovviamente antitetico al concetto di claustrofobia, che indica la difficoltà a restare nel dentro e nel chiuso.

Il primo tempo di questa relazione terapeutica è proprio quello che hai proposto, un rapporto in cui la ragazza non si senta stretta. Questo consentirà, in seguito, un movimento verso l’attivazione e la possibilità di un’azione della madre che l’accompagna verso...

Osservando bene poi i comportamenti della ragazza, vediamo che, dalle posizioni di fase intrauterina e oro-labiale, tenta di fare il salto verso la genito-ocularità di secondo campo e passare all’incontro con il padre e con il mondo. Non riesce e ricade nelle fasi precedenti, sottostanti. Si posiziona così in una relazione in cui si sente stretta dalla madre, che continua a non accompagnarla nel viaggio di secondo campo.

Nella prima fase della terapia con Anna è bene una posizione comprensiva, ciò permetterà, in seguito, la possibilità di accompagnarla verso il mondo.

Domanda: Una madre che la comprende vuol significare che può contenere la sua tristezza ed il suo dolore per la perdita del padre e del fratello? Cosa che la propria madre non ha fatto, perché congelata, negandoli?

Supervisore: Sì, è così. Anna ha bisogno di una madre che mostri le proprie emozioni. Noi possiamo comprendere questa madre, ma il dato di fatto è che le ha nascosto i propri sentimenti, le proprie emozioni.

Commento: La madre aveva problemi con le sue emozioni anche prima, questo lo vediamo dal rapporto del figlio grande con Anna. Quest’ultimo è stato non solamente un buon padre ma anche una buona madre.

Supervisore: Sì, con identità compensative genitoriali, potremmo dire.

Commento: Ho la sensazione che la madre semplicemente abbia un abbraccio molto freddo, mentre quello che dovrebbe fare una madre è essere il contenente non troppo stretto e con molto più calore.

Supervisore: C’é bisogno di una figura che mostri accoglienza, calore e anche reciprocità emozionale. Come procedere in futuro, lo vedremo strada facendo.

Commento: Anna ha solo 23 anni e suo padre, che beveva da sempre, è molto probabile che lo facesse anche durante il periodo di gravidanza della madre e dopo; appare chiaro infatti che c’è una forte fissazione nell’intrauterino e nella fase oro-labiale. Però non dobbiamo toccare queste zone senza prima aver costruito delle basi nei livelli corporei evolutivi superiori, in modo tale che possa essere in rete. Penso quindi che all’inizio della terapia sarebbe opportuno proporre molti actings di lavoro sugli occhi.

Supervisore: è progetto fondamentale il lavoro sul primo livello corporeo, sugli occhi, con actings di fase appropriati ed un’architettura di relazione facilitante. Ciò le permetterà di spostarsi dalle prime fasi evolutive.

Per quanto riguarda la posizione relazionale del terapeuta, è primaria l’accoglienza, il contenimento, l’abbraccio caldo ma non troppo stretto, poiché sarebbe vissuto come un abbraccio claustrofobicogenico.

Anna dovrà attraversare e rivedere tutto quello che ha vissuto nella sua storia familiare, ma dovrà anche ampliare il suo orizzonte, i suoi interessi, il suo campo interiore ed esteriore. Solo dopo l’abbraccio comprensivo terapeutico, infatti, Anna potrà dirigersi verso l’esterno accompagnata da occhi sorridenti.

Riepilogando: il progetto terapeutico per questa ragazza sarà quello di un abbraccio caldo, ma non soffocante-opprimente, per risuonare sulla domanda del tempo intrauterino e oro-labiale e accompagnarla nel vedere e sentire il dolore dei lutti, compartecipando emozionalmente ed empaticamente, diversamente dalla madre congelata.

Nell’accompagnarla lungo questo vissuto sarà compiuto già qualcosa di grande, perché sarà segnato un nuovo prototipo di relazione oggettuale primaria. Non sappiamo quando (perché i tempi interni non hanno orologio) inizierà poi una seconda parte dell’analisi, quando sarà in grado di prendere nelle mani la propria vita, quando forse potrà lasciare quel luogo di lavoro amaro per un altro, incontrare l’amore per un suo uomo, entrare nell’ascensore del suo tempo interno, ma ci saranno certamente altri actings della dimensione adgredior (andare verso), che, declinati con un’architettura relazionale di secondo campo affettivo-strutturante, le permetteranno non solo di stare in piedi ma di camminare verso il suo futuro.

 

Share