Numero 1/2013

I DISTURBI DELLO SVILUPPO.
BAMBINI, GENITORI E INSEGNANTI

DI B. MAZZONCINI E L. MUSATTI

Raffaello Cortina editore, 2012

Amalia Patrizia Martino*

 

Le autrici di questo originale e attuale libro, collocabile nell'area delle Pedagogie dello Sviluppo, sono due psicologhe, che si avvalgono di un ricco e significativo patrimonio esperienziale in campo clinico, di una lunga e importante esperienza educativa. Bruna Mazzoncini è psicologa e psicoterapeuta ed ha svolto la sua attività clinica e di ricerca presso l'Istituto di Neuropsichiatria Infantile di Roma. Ha insegnato Neuropsichiatria infantile presso le Università di Roma La Sapienza e Roma Tre; svolge attività di formazione per operatori scolastici e sanitari. Lucilla Musatti, invece, è insegnante di Scuola primaria, psicologa dell'età evolutiva e condirettore della rivista pedagogica Cooperazione Educativa; svolge attività di formazione per operatori scolastici e sanitari.

Il libro nasce dall'esigenza di conoscere ciò che ad un bambino, con un disturbo dello sviluppo, possa servire e far sì che i genitori, i tecnici sanitari e gli operatori “scolastici non si stanchino di creare le condizioni per ottenerlo”.

Si pone anche come un valido strumento di riflessione e di formazione, sia in ambito clinico nelle fasi di discussione diagnostica e di programmazione della presa in carico riabilitativa, sia in ambito scolastico, nelle consulenze psicopedagogiche, negli incontri di équipe e nella condivisione dei progetti didattici tra operatori della scuola e tecnici sanitari.

Il testo, accessibile anche ad un pubblico non specializzato, ma non per questo meno documentato e puntuale, è comunque rivolto a tutti coloro che, con diverse funzioni, partecipano al processo educativo e terapeutico di un bambino che presenta una patologia durante l'arco dell'età evolutiva.

La chiarezza del linguaggio, seppur specifico, e l'ordine espositivo favoriscono una buona comprensione del testo e lo rendono un utile strumento per focalizzare l'attenzione sull'accuratezza e la completezza dei contenuti trattati, attraverso i quali si evincono informazioni preziose circa la capacità osservativa e la formazione scientifica delle autrici.

Il volume si struttura in cinque capitoli presentati da una adeguata introduzione. Si ritiene funzionale la scheda riassuntiva relativa agli argomenti trattati, come conclusione di ogni capitolo, pertanto la mancanza di note a piè di pagina danno l'idea di snellire una trattazione che potrebbe altrimenti sembrare prolissa. Apprezzabile alla fine del volume la selezionata bibliografia pertinente ad ogni capitolo.

Nel primo capitolo, facendo riferimento al DSM-IV-TR (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali - Text revision), vengono presentati in forma sintetica i disturbi dello sviluppo che costituiscono in età evolutiva un gruppo significativo nel panorama della patologia neuropsichiatrica, la cui caratteristica è la presenza di un deficit o di un'alterazione nell'acquisizione delle competenze che possono interessare l'area cognitiva, neuropsicologica e affettiva. I disturbi considerati sono: i ritardi mentali; i disturbi pervasivi dello sviluppo o dello spettro autistico; i disturbi dell'attenzione con e senza iperattività; i disturbi della coordinazione motoria; i disturbi specifici del linguaggio e della comunicazione; i disturbi specifici dell'apprendimento.

Sono considerati i disturbi che appartengono alla fascia di gravità lieve-media delle varie patologie per la loro elevata frequenza epidemiologica nella popolazione infantile e la loro maggiore difficoltà di riconoscimento e di presa in carico mirata durante lo sviluppo.

Si analizzano le caratteristiche cliniche che li accomunano in quanto patologie che nascono, si evolvono e si trasformano durante tutto il percorso evolutivo.

Dal secondo capitolo si ricostruisce il percorso che compiono i genitori, i bambini e gli insegnanti a partire dalle inevitabili difficoltà di gestione e di convivenza con un disturbo dello sviluppo, distinguendo tre momenti fondamentali: l'avvio della consultazione tra dubbi e paure sul manifestarsi di un disturbo; la condivisione di una diagnosi clinica; la presa in carico terapeutica e educativa: "percorsi troppo spesso effettuati nella solitudine di una gravosa esperienza individuale, che possono invece essere compresi e condivisi con maggiore consapevolezza cognitiva ed emotiva da parte di tutti coloro che ne sono coinvolti".

In particolare, si aiutano i genitori ad imparare a rappresentarsi la crescita del proprio figlio nelle sue complesse articolazioni per poter individuare al più presto i tempi rallentati o le modalità tipiche di sviluppo e i comportamenti in rapporto alla diversità delle età e degli aspetti evolutivi, che denunciano disagio e sofferenza psicologica. Si sostengono i genitori nei loro processi emotivi, nel renderli capaci di condividere con i vari operatori le scelte terapeutiche che si rendono necessarie durante l'evoluzione del percorso, tenendo conto di alcuni parametri come il gap e la discrepanza tra ciò che il bambino sa fare e le attese in rapporto all'età e al confronto con i coetanei; la durata della frequenza di comportamenti immaturi, inadeguati o incongrui rispetto all'interazione e al contesto; la gravità o l'intensità dei ritardi e/o delle atipie che caratterizzano le difficoltà di sviluppo del bambino e i suoi comportamenti cognitivi, affettivi e sociali. Per un genitore: "accompagnare un figlio nel suo percorso terapeutico, imparare con lui a convivere con il disturbo, imparare a distinguere ciò che si trasforma durante lo sviluppo e ciò che viene trasformato dalla terapia è un compito difficile e ineludibile".

Nel terzo capitolo si tenta di capire ciò che significa, dal punto di vista del bambino, conoscere, prendere coscienza, gestire cognitivamente ed emotivamente un disturbo dello sviluppo nella realtà e nelle sue rappresentazioni. Molto spesso e comunque molto di più di quanto appaia agli adulti, i bambini si sentono in colpa per avere deluso le aspettative dei grandi e si preoccupano delle conseguenze dei propri comportamenti, si dispiacciono di creare sofferenza agli altri e si spaventano dell'intensità con cui vivono le emozioni di vergogna, di solitudine e di rabbia. Nel corso dell'esposizione si valuta l'esigenza che un'équipe plurispecialistica, attraverso il contributo di neuropsichiatri, psicologi dell'età evolutiva, terapisti della riabilitazione e operatori sociali sia la formula ottimale. Di fatto la presenza di figure professionali competenti evita il rischio che un solo punto di vista prevalga sugli altri a danno di una comprensione globale profonda del bambino e del suo disturbo. Particolarmente interessante è la presa in carico in cui viene visto il bambino all'interno di grandi fasce di età a partire dai 2 anni ai 14 anni e oltre. Lungo questo iter appare evidente che per un bambino che sta crescendo con un disturbo dello sviluppo, nessuna strada può essere percorsa senza affrontare dei rischi; tuttavia, appare fondamentale che egli impari a sperimentare e a convivere con le proprie difficoltà, utilizzando le energie di cui è capace per trovare soluzioni, alternative e compensi, senza che il disturbo assorba e annulli le risorse disponibili. Appare evidente che molto dipenderà dalle caratteristiche dei singoli disturbi oltre a quelle individuali di personalità.

Nel quarto capitolo si porta la riflessione su come un disturbo dello sviluppo possa incidere sui rapporti nella fratria mettendo in evidenza le gerarchie tra fratelli. Una particolare attenzione è rivolta alle dinamiche tipiche che avvengono nell'evoluzione di un normale rapporto fraterno: sia dal punto di vista del primogenito e del secondogenito, sia alle dinamiche atipiche in cui vengono meno quella flessibilità e quella mobilità dei ruoli. Si può dire che "il fratello di un bambino con difficoltà rischia di essere considerato sempre il più grande al di là dell'età e della sua collocazione nella fratria mentre, specularmente, il bambino con difficoltà rischia di essere pensato sempre come il più piccolo al di là dell'età e della collocazione". Le autrici ribadiscono che l'essere fratello di un bambino con un disturbo dello sviluppo non significa affatto l'assunzione di un ruolo a sua volta patologico. Si vuole invece sottolineare l'importanza di prendere seriamente in considerazione il fatto che il fratello non debba sottrarsi alla fatica di elaborare il disturbo dell'altro e integrarlo nella propria vita emotiva. È proprio questa fatica che va condivisa e supportata.

Un ampio e valido contributo viene dato nel quinto capitolo in cui si illustra un chiaro percorso di ciò che avviene nel rapporto tra scuola e patologia dello sviluppo, nell'arco temporale che va dalla scuola dell'infanzia sino alla scuola secondaria di secondo grado. Si individuano i momenti più significativi relativi alla prima scoperta di una difficoltà in un bambino, alla segnalazione e alla condivisione della diagnosi con la famiglia e alla presa in carico educativa. In ogni tappa si segnalano le caratteristiche della fascia di età specifica e si evidenziano gli elementi favorevoli e sfavorevoli all'attivazione di una segnalazione da parte degli insegnanti. Individuare un disagio o una difficoltà nel bambino da parte della scuola è cosa ben diversa dal segnalarlo e dal condividerlo con la famiglia. In realtà si tratta di un percorso costellato di dubbi, di attese e di quesiti, che “gli insegnanti spesso compiono da soli e che non sempre sfocia in una richiesta ai genitori di attivare una consultazione specialistica per il figlio”. Questi elementi e le tante domande che i genitori, i bambini e gli insegnanti potranno rivolgere ai loro interlocutori sono ampiamente considerati dalle autrici. Un aspetto significativo da segnalare riguarda il concetto di gravità che assume connotazioni diverse se visto dal punto di vista degli insegnanti o da quello dei genitori o da quello degli operatori sanitari. Ciò che la scuola percepisce come grave nel bambino è correlato soprattutto al rendimento didattico e alla tenuta sociale in termini di rispetto delle regole e di adattamento all'ambiente.

Il concetto di gravità clinica, invece, risponde a parametri e criteri stabiliti dai sistemi nosografici in uso, quali l'estensione del danno, la severità del deficit, la compromissione cognitiva, l'interessamento di più assi di sviluppo, l'intensità e la persistenza della sintomatologia e l'eventuale comorbidità. È da rilevare il rischio che può correre l'insegnante: "forte della sua conoscenza degli alunni, pensa di saper sempre che cosa attendersi da ognuno di loro e su questa certezza costruisce il suo atteggiamento pedagogico".

La difficoltà, infatti, "è che si determini una situazione nella quale ognuno sembra poter essere, nel bene e nel male, soltanto quello che l'altro si aspetta che sia, e che tale atteggiamento offuschi tutte le potenzialità del rapporto".

Nell'ambito scolastico, si vuole affermare che non si possono e non si devono dividere i molteplici aspetti educativi, se non si vuole rischiare di scindere mentalmente i diversi aspetti che appartengono all'intera personalità dell'individuo.

In sostanza, si tratta di un volume particolarmente valido e unico. L’originalità consiste proprio nella scelta di affrontare i disturbi dello sviluppo in chiave evolutiva e dal punto di vista di tutti coloro che sono coinvolti dalla presenza della patologia. Risulta un notevole aiuto psicologico, educativo e formativo, al fine di garantire la crescita personale dei diversi interlocutori.

Presenta diversi spunti di riflessione per valorizzare le capacità e le risorse individuali.

 


* Psicologa Psicoterapeuta, Analista S.I.A.R., Presidente Servizio Consulenza Giovani W. Reich

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