Numero 1/2013

LA PSICOTERAPIA IN EUROPA

Giulio de Felice*

La Società per la Ricerca in Psicoterapia (S.P.R., Society for Psychotherapy Research) costituisce un divertente spazio transizionale nel quale ricercatori di differenti scuole ed orientamenti fanno convergere i loro sforzi nel cercare di comprendere che cosa succede all’interno del processo psicoterapeutico-psicoanalitico[1] e che relazione ha con l’esito del trattamento.

La sezione europea della S.P.R. si è riunita nell’Ottobre scorso in Portogallo e l’aver partecipato al meeting ha fornito numerosi spunti di riflessione, soprattutto a carattere metodologico. Essi saranno il filo conduttore del presente articolo. Rimandando a testi più completi per approfondimenti, si vuole qui dare una overview sullo status quo della ricerca empirica in psicoterapia in riferimento soprattutto al menzionato convegno.

L’applicazione di un set di strumenti al fine di valutare il processo e l’esito della psicoterapia sembra oramai essere il sentiero più utile per rappresentare, in termini empirici, la sfaccettata realtà clinica. Tuttavia è abbastanza infrequente trovare studi, in quest’ambito, che uniscono l’interesse per la sfera verbale del paziente con quella prettamente corporea. Si trova una traccia di quest’ultimo argomento in quegli studi che adottano la frequenza con cui il paziente si reca dal medico od il grado di sintomatologia come misure di esito. D’altra parte all’interno del setting, al di fuori del gruppo di ricerca austriaco che fa riferimento quasi esclusivamente a questo, mostrando anch’esso un interesse abbastanza selettivo, non vi sono molti studi che mettano a confronto i due aspetti del e nel processo. Consideriamo però che l’importanza di indagare gli aspetti non-verbali, sottolineata dal gruppo di Innsbruck in quanto variabili inconsce[2], è anche la sua debolezza. Mentre queste misure sarebbero indubbiamente utili per una descrizione accurata, soprattutto se ci si immagina uno studio che valuti entrambi gli aspetti verbali e non, di ciò che accade all’interno del setting, certamente non possono rappresentare, per definizione, oggetto di intervento. Tuttavia nel caso in cui queste variabili diventassero esplorabili con il paziente sarebbero utilizzabili. (Leiman, 2012).

Proseguendo con un esempio si può dire che se emergesse attraverso il PAM (Prototypical Affective Microsequences usato in Austria)una determinata sequenza relazionale non-verbale prototipica, potrà essere oggetto di intervento solo collegandola al sistema di significati co-costruiti con l’analista in quel momento. D'altronde, in accordo inoltre ad un testo Sacro particolarmente diffuso, “in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio”, sicché il Verbo e le parole del corpo si collocano prese di per sé all’interno della polisemica relazione fusionale iniziale, nel momento in cui son poste all’interno di una rete di significati costituiti da altri Verba o da altre parole del corpo, l’originaria polisemia viene ridotta e le peculiari simbolizzazioni della coppia analista-paziente potenzialmente pensabili (Carli, 2009). Per fare un esempio potremmo riferirci al tentativo di definire la polisemia con il linguaggio, tentativo vano, così come l’utilizzo della parola indefinibile tagliandola in due la divide da ciò che si definisce mostrando chiaramente la sostanza del paradosso. Un concetto analogo, in termini simbolici, è costituito dall’ horror vacui proprio dell’ambito medico; paura infinita dell’ignoto del quale ci prendiamo gioco nell’umorismo, associando due rappresentazioni facenti parte di due insiemi simbolici scissi, sicché come conseguenza, ridiamo. Possiamo riassumere le due criticità della ricerca empirica in psicoterapia: carenza di studi che connettano la sfera verbale a quella corporea e rendere oggetto di ricerca variabili immutabili di per sé.

Alcuni anni fa, più o meno a metà anni ’70, Lester Luborsky commentando un suo studio in cui metteva a confronto gli esiti di differenti psicoterapie, sentenziò riprendendo l’ormai famoso verdetto del Dodo di Alice nel paese delle meraviglie: “Tutti hanno partecipato ed ognuno deve ricevere un premio”, sottolineando che fondamentalmente le psicoterapie producevano miglioramenti significativi anche se questi non differivano tra di loro. L’orientamento della psicoterapia e perciò la peculiare tecnica di intervento venivano messi in secondo piano. Acquisivano invece interesse i fattori aspecifici di cambiamento, tra i quali si annovera l’attuale Alleanza Terapeutica, ritenuta oramai fattore chiave trans-teorico. Un problema però che si pone, è costituito dall’ interrogativo su che cosa sia un buon esito di una psicoterapia.[3] Entriamo qui nel problema metodologico dei Random Control Trials e delle meta-analisi, nei quali si possono confrontare gli esiti di differenti psicoterapie. Su quali variabili si potrebbe costruire il concetto di buon esito è tuttora oggetto di discussione considerando che ogni tecnica di intervento pone l’attenzione su differenti aspetti del processo, sicché valuterà in modo peculiare l’esito della psicoterapia. Indagare i fattori aspecifici di cambiamento non oscura certamente l’importanza di approfondire lo studio delle peculiarità di ogni approccio metodologico. è necessaria una consapevolezza critica che renda pensabile quale modello di occhiali si debba usare per osservare l’esperienza psicoterapeutica, se sia più utile utilizzare lenti spesse che metteranno a fuoco aspetti microanalitici difficili da generalizzare o al contrario lenti sottili per guardare meglio al generale andamento del processo e del relativo esito in riferimento ad una o più psicoterapie a confronto. Diviene così necessario un pensiero sul destinatario di ogni studio al fine di procedere nella maniera più utile al raggiungimento dell’obiettivo che del destinatario stesso ovviamente deve tener conto. Da parte dei lettori, in modo complementare, si necessita di una capacità di contestualizzazione ed analisi critica di ogni studio a cui si dirige l’interesse, proprio per apprezzare gli effetti del preciso posizionamento della ricerca nei confronti dell’oggetto di studio nonché la loro relazione con i risultati. Andiamo così ad individuare le due ultime criticità: scegliere, bilanciando l’attenzione tra l’oggettività di ricerca e la soggettività della clinica, la metodologia ed il posizionamento più utile in riferimento all’oggetto ed all’obiettivo dello studio, tenuto conto del destinatario ed ovviamente, in caso fosse presente, di chi quello studio commissiona.

Concludendo in modo propositivo si indica come sentiero particolarmente produttivo quello della ricerca sulla relazione psicoterapeutica. Indagare la danza tra terapeuta e paziente sembra essere particolarmente interessante per approfondire l’effetto del posizionamento di ognuno dei due rispetto all’altro, rendendo utile la soggettività del terapeuta altrove, in studi focalizzati su variabili individuali, frequentemente del paziente meno frequentemente del terapeuta, considerata variabile di disturbo. Conoscere il modo con cui questa danza si evolve, potrebbe portare alla creazione di un meta-modello approfondito, con il quale spiegare il processo di cambiamento utilizzando come unità di misura variabili relazionali, in modo tale da generare quel circolo virtuoso per il quale non solo la ricerca teorica, ma anche quella empirica possa fornire importanti informazioni metodologiche sulla gestione di elementi transferali e soprattutto, aspetto attualmente carente, su elementi controtransferali. Altra sfida sarà poi indagare allo stesso modo, gli effetti dell’esperienza psicoterapeutica e/o psicoanalitica sul paziente e perché no, anche sul terapeuta, a distanza di anni dal termine della relazione: “È nel giocare e soltanto mentre gioca che l’individuo, bambino o adulto, è in grado d’essere creativo e di fare uso dell’intera personalità, è solo nell’essere creativo che l’individuo scopre il sé”. (Winnicott, 1974, 103). La capacità di giocare, in termini winnicottiani, mi sembra una fondamentale variabile di esito e di processo.

 

In Portogallo

João Salgado, Miguel Gonçalves e Paulo Machado sono tra i ricercatori più attivi in ambito psicoterapico portoghese. L’“Assimilation Model[4], l’APES (“Assimilation of Problematic Experiences Scale”)[5] e l’IMCS (“Innovative Moment Coding System”)[6] rappresentano tre pezzi importanti del puzzle della ricerca empirica portoghese. Il primo è un modello di assimilazione (elaborazione) delle esperienze problematiche sul quale si basa il secondo, la scala di valutazione. Il terzo rappresenta un modello, ed associato sistema di codifica, dei momenti innovativi, in generale quei momenti nel processo terapeutico dove si ritiene che vi sia un cambiamento di prospettiva nel paziente rispetto a come egli si pone in relazione al suo problema. L’intero sistema di valutazione ha dimostrato di essere un set di strumenti in grado di descrivere abbastanza bene alcune caratteristiche del processo psicoterapeutico indipendentemente dal tipo di approccio, tuttavia allo stato attuale sembrerebbe discriminare poco i diversi tipi di intervento. C’è comunque da ricordare che essendo una procedura sviluppata di recente sono necessarie, e si stanno svolgendo, ulteriori ricerche per definire meglio le sue proprietà. Il punto centrale però è la difficoltà di costruire uno strumento che sia di utile applicazione per i vari modelli di psicoterapia, ma che allo stesso tempo riesca a definirne le peculiarità.

 

In Germania

 

Bernd Puschner, Dan Pokorny e Horst Kächele dell’Università di Ulm sono tre, dei quali l’ultimo di importanza storica, tra i più attivi ricercatori tedeschi. L’Università di Ulm porta avanti da molti anni ricerche sul processo psicoterapeutico ad indirizzo psicoanalitico. E’ qui che si è sviluppato il CCRT-LU[7] (Core Conflictual Relationship Theme-Leipzig/Ulm) evoluzione del CCRT di Lester Luborsky, uno degli strumenti più usati nella storia della ricerca in psicoterapia. Basato, come l’originale CCRT, sulla divisione della trascrizione di una seduta in episodi relazionali[8], in seguito codificati e statisticamente elaborati al fine di far emergere appunto il Core Conflictual Relationship Theme nonché la principale modalità relazionale del paziente. Attualmente il CCRT-LU, che differisce dall’originale per alcune peculiari caratteristiche di codificazione, non è molto usato e si preferisce descrivere il processo psicoterapeutico attraverso costrutti differenti come ad esempio la Helping Alliance[9], l’alleanza tra terapeuta e paziente e la Referential Activity[*] di Wilma Bucci, la capacità di connettere rappresentazioni[†] verbali e non-verbali. E’ molto forte, in ambito tedesco, l’attenzione alla soggettività dell’esperienza psicoterapeutica al contrario di molte ricerche di stampo americano o talvolta derivanti dal nord-Europa che spesso sottolineano maggiormente l’esigenza di omogeneizzare gli standard metodologici di ricerca al fine di garantirne l’oggettività. Ci riferiamo per esempio al Random Control Trial (RCT), esigenza metodologica oramai spesso richiesta da molte riviste per la pubblicazione dei lavori che rischia però di rendere l’oggetto di ricerca, la relazione psicoterapeuta-paziente, molto distante dalla pratica clinica.

 

In Gran Bretagna

 

La psicoterapia inglese fa riferimento, al contrario dell’Italia, principalmente a setting istituzionali, non privati. L’intervento psicoterapico inglese risente molto dell’influsso della psicoanalisi delle relazioni oggettuali sviluppatasi proprio qui per merito di Melanie Klein, sicché forte è l’attenzione verso infanzia ed adolescenza. In questo ambito il gruppo di ricerca diretto da Peter Fonagy svolge da anni oramai ricerche nella prospettiva dell’Infant Research con Mary Target, occupandosi inizialmente, tra le altre cose, della trasmissione intergenerazionale dei modelli d’attaccamento per poi approdare alla teorizzazione ed operazionalizzazione della Funzione Riflessiva (Reflective Function), nonché la capacità di mentalizzare pensieri, intenzioni, emozioni e aspettative riguardo se stessi e gli altri[‡]. Il gruppo di ricerca britannico ha poi posto la sua attenzione al trattamento dei disturbi borderline di personalità, impegno che ha fatto emergere dalla mente degli stessi autori la MBT, Mentalization-based treatment[§], il trattamento basato sulla mentalizzazione. Riguardo al tema più caro all’autore del presente articolo, la ricerca in psicoterapia, il gruppo britannico ha fatto molti studi di confronto tra diversi approcci psicoterapici in relazione al tipo di diagnosi del paziente e l’esito sintomatico del trattamento. Per una buona Review dello psicoanalista inglese ci si riferisca al volume 24, issue 1, del 2010 della rivista Psychoanalytic Psychotherapy. D’altra parte, Chris Evans, i sdellalista, si è occupato della ricerca di processo ed esito nella psicoterapia di gruppo[**] e della validazione di uno strumento utile alla valutazione dell’esito della terapia psicologica in contesti istituzionali, Clinical Outcomes in Routine Evaluation (CORE)[††]. Concludendo, non si può non accennare al Modello Tavistock[‡‡], derivato dalla clinica privata omonima londinese, la quale svolge da moltissimi anni un pionieristico lavoro di supporto alle altre istituzioni sia in termini di presa in carico dei pazienti che di supervisione dei professionisti che vi lavorano all’interno, il tutto sempre, ovviamente, in un’ottica psicoanalitica con particolare riferimento a quella parte della psicoanalisi più attenta alla relazione (Klein, Bion, Winnicott, Balint).

 

In Austria

Il gruppo di ricerca di Eva Bänninger-Huber, nel quale figurano importanti ricercatori come Cathrin Schiestl, una delle più esperte in senso assoluto rispetto al FACS, Facial Action Coding System, e Kyra Toussaint, oltre ad importanti collaboratori come Günther Kainz, psicoterapeuta ad indirizzo psicoanalitico, e Peter Muntigl linguista dell’Università di Gent, ha come centro di riferimento per i loro lavori l’Università di Innsbruck. Il focus degli studi di questo gruppo è essenzialmente sugli aspetti non-verbali del comportamento della diade paziente-terapeuta nel processo psicoterapico[§§]. Uno degli strumenti più usati è appunto il FACS, un sistema di codifica delle principali espressioni facciali, il quale sostanzia l’approccio microanalitico di studio dei processi di regolazione cognitivo-affettivi nell’interazione psicoterapeutica, il PAM, Prototypical Affective Microsequences. D’altra parte anche l’Helping Alliance già menzionata rappresenta un costrutto utilizzato dal gruppo di ricerca, sotto forma di questionario, l’HAQ, Helping Alliance Questionnaire. Ci soffermeremo nella seconda parte sulle peculiarità della ricerca non-verbale, delle quali gli austriaci sottolineano l’importanza essenziale in quanto variabili inconsce, e su quanto potrebbero essere fruttuosi studi integrati su variabili verbali e non.

 

In Scandinavia

La prima doverosa citazione va sicuramente a Mikael Leiman, professore Emerito all’Università finlandese di Eastern ed attuale presidente della sezione europea della Society for Psychotherapy Research. Si occupa di ricerca sul processo ed esito attraverso la DSA, Dialogical Sequence Analysis, un metodo microanalitico, relazionale, per analizzare le trascrizioni delle sedute. Suo anche l’interessante Meta-modello del processo psicoterapeutico introdotto nel numero 1 dell’International Journal for Dialogical Science del 2012 ed alcuni lavori di anni precedenti con la DSA ed il menzionato Assimilation Model. E’ un ricercatore sicuramente molto attento alla dimensione soggettiva della ricerca, attento a far convivere le esigenze metodologiche oggettivanti con la contestualizzazione dei risultati e la consapevolezza del processo di co-costruzione degli stessi. Nei suoi lavori ha usato di recente la PFS, Psychodynamic Functioning Scale nata però dalla mente dei norvegesi, in particolare dal gruppo di Per Høglend, dell’Università di Oslo, nel 2000, al fine di valutare il funzionamento del paziente. I lavori di quest’ultimo gruppo particolarmente attivo vertono sia sul processo in psicoterapia individuale sia in ambito gruppale, servendosi di numerosi strumenti, tra cui: la WAI, usata anche in contesto italiano, Working Alliance Inventory, che si propone di misurare l’alleanza terapeutica; la Global Assessment of Functioning (GAF), scala di funzionamento globale, usata in molti studi di differenti paesi; la Quality of Object Relations (QOR), per la qualità delle relazioni oggettuali; la Feeling Word Checklist (FWC-58) che valuta le risposte emotive del terapeuta nei confronti del paziente e la TWS, Transference Work Scale che valuta le interpretazioni di transfert in cinque diverse sfaccettature[***]. Segnalo infine la SASB,Structural Analysis of Social Behavior, un modello che descrive le interazioni intrapsichiche ed interpersonali in termini di tre dimensioni: Focus, Affiliation e Interdependence[†††].

 

In Italia

Nel contesto italiano possiamo delineare le seguenti coordinate, gruppi di ricerca, delle quali si menzioneranno per brevità le principali stelle polari: il gruppo di Adriana i dell’Università di Padova, quelli di Vittorio Lingiardi ed Alessandra De Coro della “Sapienza” di Roma, Sergio Salvatore dell’Università del Salento di Lecce, Girolamo Lo Verso e Maria Rita Infurna dell’Università di Palermo. Mentre il primo è particolarmente attento ad interventi psicoterapeutici nell’infanzia ed adolescenza, i gruppi romani e quello salentino si focalizzano maggiormente sull’età adulta, condividendo però il taglio psicodinamico-psicoanalitico[‡‡‡]. L’ultimo gruppo invece si occupa perlopiù di psicoterapia di gruppo, come testimoniano alcuni strumenti da loro usati: California Psychotherapy Alliance Scale-Group (CALPAS-G; Gaston & Marmar, 1993), una scala d’ alleanza persona-gruppo; GMLCS (Piper et al.,1984), una scala individuale che permette al paziente di valutare la coesione rispetto al gruppo come entità a sé, rispetto agli altri membri del gruppo e rispetto al leader. D’altra parte tutti i centri di ricerca si avvalgono, in ogni studio, di un insieme di strumenti variegato proveniente frequentemente da diversi gruppi internazionali, procedura che risponde alla logica di valutare il processo ed esito della psicoterapia in maniera multifattoriale avvicinando la ricerca alla complessità della clinica[§§§].

***[*] Per approfondire il lavoro del gruppo di Padova cfr. Lis, A., Sambin, M., Ferruzza, E., Marogna, C., Rocco, D., Salcuni, S. ; Ricerca in Psicoterapia/Research in Psychotherapy: Psychopathology, Process and Outcome, Vol 13(2), Dec, 2010. pp. 169-191. Per i gruppi di Roma cfr. Lingiardi, V., Gazzillo, F., Waldron, S. ; Psychoanalytic Psychology, Vol 27(2), Apr, 2010. pp. 190-218; De Coro, A., Andreassi, S., Mariani, R., Iberni, E., Crisafulli, V., Matarrese, A. ; Ricerca in Psicoterapia/Research in Psychotherapy: Psychopathology, Process and Outcome, Vol 13(2), Dec, 2010. pp. 126-147. Per il gruppo del salento cfr.Salvatore, S., Gennaro, A., Auletta, A., Grassi, R., Manzo, S., Nitti, M., Al-Radaideh, A., Tonti, M., Aloia, N., Monteforte, G., Gelo, O. ; Ricerca in Psicoterapia/Research in Psychotherapy: Psychopathology, Process and Outcome, Vol 13(2), Dec, 2010. pp. 242-287. Per il gruppo palermitano cfr. Gullo, S., Lo Coco, G., Prestano, C., Giannone, F., Lo Verso, G. ; Ricerca in Psicoterapia/Research in Psychotherapy: Psychopathology, Process and Outcome, Vol 13(2), Dec, 2010. pp. 78-96.



[*] Mergenthaler, E., Bucci, W. ; British Journal of Medical Psychology, Vol 72(3), Sep, 1999.

[†] Parlare di “rappresentazioni” non-verbali a mio avviso non è esatto. Qui è utile collocarsi all’interno del modello bioniano nel quale gli elementi beta, emozioni grezze nonché elementi non-verbali, vengono elaborati attraverso la funzione alfa (Referential Activity nel modello della Bucci) rendendoli rappresentabili e pensabili.

[‡] Cfr. Bouchard, M., Target, M., Lecours, S., Fonagy, P., Tremblay, L., Schachter, A., Stein, H. ; Psychoanalytic Psychology, Vol 25(1), Jan, 2008. pp. 47-66.

[§] Cfr. Fonagy, P., Luyten, P. ; Development and Psychopathology, Vol 21(4), Nov, 2009.

[**] Cfr. Evans, C., Huband, N., O'Reilly, T., Overton, E. ; In: Psychological groupwork with acute psychiatric inpatients. Radcliffe, Jonathan (Ed.); Hajek, Katja (Ed.); Carson, Jerome (Ed.); Manor, Oded (Ed.); New York, NY, US: Whiting & Birch, 2010. pp. 106-131.

[††] Cfr. Barkham, M., Mellor-Clark, J., Connell, J., Evans, C., Evans, R., Margison, F. ; In: Developing and delivering practice-based evidence: A guide for the psychological therapies. Barkham, Michael (Ed.); Hardy, Gillian E. (Ed.); Mellor-Clark, John (Ed.); : Wiley-Blackwell, 2010. pp. 175-219.

[‡‡] Cfr. Carrington, A., Rock, B., Stern, J. ; Psychoanalytic Psychotherapy, Vol 26(2), Jun, 2012. pp. 102-120; Harris, Martha Bick, Esther Williams, Meg Harris (Ed) ; The Tavistock model: Papers on child development and psychoanalytic training.London, England: Karnac Books, 2011. xxvi, 405 pp.

[§§] Bänninger-Huber, E. ; In: What the face reveals: Basic and applied studies of spontaneous expression using the facial action coding system (FACS, 2nd ed.). Ekman, Paul (Ed.); Rosenberg, Erika L. (Ed.); New York, NY, US: Oxford University Press, 2005. pp. 512-531.

[***] Riguardo studi nei quali sono usati gli strumenti menzionati, cfr. ad esempio Høglend, P., Hersoug, A., Bøgwald, K., Amlo, S., Marble, A., Sørbye, Ø. Røssberg, J., Ulberg, R., Gabbard, G.O., Crits-Christoph, P. ;Journal of Consulting and Clinical Psychology, Vol 79(5), Oct, 2011. pp. 697-706; Høglend, P., Gabbard, G.O. ; In: Psychodynamic psychotherapy research: Evidence-based practice and practice-based evidence. Levy, Raymond A. (Ed.); Ablon, J. Stuart (Ed.); Kächele, Horst (Ed.); Totowa, NJ, US: Humana Press, 2012. pp. 449-467.

[†††] Cfr. Benjamin, Lorna Smith ; In: Handbook of interpersonal psychology: Theory, research, assessment, and therapeutic interventions. Horowitz, Leonard M. (Ed.); Strack, Stephen (Ed.); Hoboken, NJ, US: John Wiley & Sons Inc, 2011. pp. 325-342.

[‡‡‡] In particolare Salvatore si focalizza molto sull’ analisi computerizzata delle co-occorrenze nei trascritti, cfr. Salvatore, S., Gennaro, A., Francesco, Auletta, A.F., Tonti, M. & Mariangela Nitti (2012) ; Psychotherapy Research, 22:3, pp. 256-273.

 



[1] La maggior parte delle ricerche si occupano di psicoterapia psicoanalitica a breve e lungo termine (BTPP, LTPP), psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT), psicoterapia interpersonale (IP), psicoterapia basata sulla mentalizzazione (MBT), psicoterapia focalizzata sull’emozione (EFT). Alle volte si parla in generale di psicoterapia psicodinamica in contrapposizione alla cognitivo-comportamentale. Tuttavia le divergenze si sono molto ammorbidite rispetto a qualche anno fa, sicché alcuni costrutti nati in un campo si sono affermati anche nell’altro.

[2] Collochiamo qui, rispettando il senso con il quale la parola Inconscio è stata significata dal sottoscritto nel corso di alcune riflessioni fatte con il gruppo austriaco, nella seconda topica freudiana nella quale l’Inconscio (Es) è visto più come sede di pulsioni non giunte alla coscienza che come modalità psichica operante congiuntamente alla modalità conscia. (Carli, Paniccia, 2003).

 

[3] Quasi tutti gli orientamenti concordano sul fatto che narrazioni rigide e stereotipate siano associati a stati patologici, la forma ed il contenuto delle narrative è spesso ritenuto un indicatore di processo.

[4] Honos-Webb, L., Stiles, W.B. ; Journal of Psychotherapy Integration, Vol 12(4), Dec, 2002. pp. 406-420.

[5] Stiles, W.B. ; Psychotherapy: Theory, Research, Practice, Training, Vol 38(4), Win, 2001.

[6] Gonçalves, M.M., Ribeiro, A.P., Mendes, I., Matos, M., Santos, A. ; Psychotherapy Research, Vol 21(5), Sep, 2011. pp. 497-509.

[7] Albani, C., Pokorny, D., Blaser, G., Grüninger, S., König, S., Marschke, F., Geissler, I., Koerner, A., Geyer, M., Kächele, H. ; Psychotherapy Research, Vol 12(3), Sep, 2002. pp. 319-338.

[8] In ogni episodio nell’originale CCRT ci deve essere l’espressione di un desiderio (“Wish”), una risposta dell’altro (“Responseoftheobject”) rispetto a quel desiderio, ed una risposta del sé (“Responseofself”) rispetto all’interazione avuta con l’oggetto.

[9] Petrowski, K., Nowacki, K., Pokorny, D., Buchheim, A. ; Journal of Nervous and Mental Disease, Vol 199(11), Nov, 2011. pp. 839-844.

 

Bibliografia
  • Carli, R. (2009), Culture giovanili. Milano: Franco Angeli.
  • Carli, R., Giovagnoli, F. (2010), "L'inconscio nel pensiero di Matte Blanco", in Rivista di Psicologia, 1.
  • Carli, R. e Paniccia, R.M. (2003), “Analisi della domanda”. Bologna: Il Mulino.
  • De Coro, A. e Andreassi, S. (2007), “La ricerca empirica in psicoterapia”. Roma: Carocci.
  • De Coro, A., Andreassi, S., Mariani, R., Iberni, E., Crisafulli V. e Matarrese, A. (2010), “La valutazione degli esiti e del processo nelle psicoterapie offerte dai Centri di Salute Mentale e da un Centro di Psicologia Clinica universitario”, in Research in Psychotherapy, 13:2, pp. 125-146.
  • Fonagy, P. (2010), “The changing shape of clinical practice: Driven by science or by pragmatics?”, in Psychoanalytic Psychotherapy, 24:1, pp. 22-43.
  • Hill, C.E. e Knox, S. (2009), “Processing the therapeutic relationship”, in Psychotherapy Research, 19:1, pp. 13-29.
  • Leiman, M. (2012), “Dialogical sequence analysis in studying psychotherapeutic discourse”, in International Journal for Dialogical Science, 01/2012, Vol 6, pp. 123-147.
  • Wallerstein, R.S. (2002), “Psychoanalytic Therapy Research: an overview”, in Ricerca in Psicoterapia.
  • Watzlawick P. (a cura di) (1981),"La realtà inventata", trad. it. Milano: Feltrinelli, 2010.
  • Williams, R., Belluardo, D., Fantini, F., Postorino, V. e Ortu, F. (2010), “Problemi metodologici nello studio del processo psicoterapico e nella

    valutazione dell’ attaccamento e del rischio psicopatologico in adolescenza”, in Research in Psychotherapy, 13:2, pp. 147-167.

  • D. W. Winnicott, (1974), Gioco e realtà, p. 103. Roma: Arnaldo ed.

Laureando al quinto anno di "Psicologia clinica della persona, delle organizzazioni e della comunità", Università di Roma la Sapienza, Society for Psychotherapy Research" (SPR)

Share