Numero 2/2014

blue jasmine

di woody allen
anno 2013

 a cura di Luisa Barbato*

 

Blue Jasmine riprende la vena sarcastica e pessimistica dei film di Woody Allen degli ultimi anni, segnati da una visione sempre meno positiva della società americana e dei conflitti di classe. Secondo lo stile a cui il regista ci ha abituato, i rapporti interpersonali sono dominati dalla falsità, dall’opportunismo e dall’egoismo, a simbologia del disagio collettivo contemporaneo.

Jasmine (o Jeanette), interpretata da una bravissima Cate Blanchett, è una donna elegante dell'alta società newyorchese che, dopo il tracollo del ricchissimo e disonesto marito, il finanziere Hal (Alec Baldwin), senza soldi, depressa e confusa, si trasferisce nella modesta abitazione della sorella Ginger (Sally Hawkins) a San Francisco.

altCon il procedere del film, si perde simpatia per la povera Jasmine che mostra sempre più lati superbi e spocchiosi, con un’alterigia che alla fine scopriamo essere tutt’altro che ingenua. Cate Blanchett, calata perfettamente nel ruolo, ne svela gli aspetti vuoti e materialisti creando nello spettatore un crescente senso di fastidio e avversione.

Quando arriva a San Francisco, Jasmine è in uno stato psicologico fragile, dipendente dagli antidepressivi e ansiolitici, confusa e instabile. Il marito le aveva comunicato la volontà di andarsene con un’altra donna, poi era stato incarcerato, poi lei aveva perso ogni cosa, poi lui era morto suicida.

Lei non ha più niente, ma malgrado tutto è ancora in grado di mantenere il suo aspetto elegante e narcisista nei confronti della sorella e delle persone a lei vicine, soprattutto Chili (Bobby Cannavale), il fidanzato di Ginger, che considera un perdente e il suo ex marito Augie (Andrew Dice Clay) che era stato in passato frodato da Hal.

Ginger ha da sempre un rapporto d’inferiorità con la sorella, essendo entrambe adottive e per questo molto diverse, a cominciare dall’aspetto fisico. Alta, bionda, elegante e ricca Jasmine; semplice e dimessa Ginger che nella vita si è accontentata di un profilo più basso, senza cercare un marito ricco, ma con un senso pratico e realista dell’esistenza. Con questo realismo Ginger suggerisce alla sorella di intraprendere la carriera di arredatrice d’interni, ma nel frattempo Jasmine accetta malvolentieri un lavoro di segretaria in uno studio dentistico, dove attira le attenzioni indesiderate del capo.

Dopo il periodo iniziale di ambientamento le cose parrebbero tuttavia migliorare per Jasmine che riesce ad avviare una nuova relazione sentimentale con un giovane diplomatico nelle apparenze all’altezza del suo status sociale.

Ma questa volta la coazione a ripetere gli schemi della falsa vita precedente non le riuscirà e alla fine della storia Jasmine svelerà i lati più distruttivi del suo comportamento che hanno portato al fallimento del matrimonio, al suicidio del marito e all’inconsistenza delle relazioni personali, comprese quelle attuali con la sorella e dei suoi compagni.

Jasmine diviene, allora, il simbolo dell’aridità delle relazioni della società americana, sottolineando anche l’inevitabilità della crisi degli ultimi anni delle classi più affariste, incapaci di esprimere valori etici e sociali, scollegate dalle emozioni e dagli affetti, con una visione puramente materialista e consumistica della vita.

Questo, sembra suggerirci Woody Allen, è lo stato sociale del suo paese, soprattutto degli ambienti legati al mondo della finanza. Il divario culturale ed economico con le classi meno abbienti rimane enorme, ma quest’ultime, pur muovendosi nello stesso panorama di mancanza di riferimenti, devono comunque guadagnarsi duramente da vivere tutti i giorni.

Si tratta in realtà di una posizione tutt’altro che originale, ancora una volta i finanzieri sono descritti come malvagi e disonesti, si pensi al recente “The wolf of Wall Street”, mentre i poveracci sono altrettanto vuoti, ma buoni e ingenui. Quello che tuttavia rende il film molto interessante è che l’intera società americana è metaforizzata tramite le relazioni e i tratti caratteriali della protagonista.

Jasmine si presenta come una donna fragile, incapace di affrontare la vita, incapace di valutare i comportamenti falsi e truffaldini del marito, di riflettere, persino di ragionare. E’ troppo assorbita dalla vita ricca e senza problemi che conduce, preferendo far finta di non sapere, di non vedere. Il suo tratto isterico di copertura funziona bene, la bambina confusa e dipendente si sente al sicuro.

Dopo il tracollo, Jasmine reagisce come sa fare: usa la dipendenza (da alcool e da pillole), a volte si dissocia, si estranea dalla situazione che sta vivendo, parla da sola, racconta di sé anche agli sconosciuti, inventa una vita diversa. Si appella anche ad un fragile lato narcisista, mostrando superiorità e disprezzo verso la normalità vista come squallida e poco elegante.

Quando il suo narcisismo viene dis-confermato, ha crisi di rabbia o si abbandona ad atti impulsivi, in sostanza aggressivi e autodistruttivi.

Con la crisi, quindi, la bambina dipendente emerge in tutta la sua fragilità, non è in grado di vedere l’errore delle sue scelte, di aver creduto nel marito e nell’invenzione di una vita leggera e perfetta.

Troppe volte i lati seduttivi isterici e narcisisti coprono una posizione dipendente, un’oralità vorace pronta a diventare reattività aggressiva quando la protezione e il nutrimento vengono negati.

La tragicità del personaggio è, proprio in questa impossibilità di crescere, di avviare un percorso evolutivo che la porti dalla posizione dipendente orale ad un radicamento in fasi più complesse e piene della vita. Ed è interessante osservare come queste posizioni dipendenti depressive possano sconfinare nella posizione passivo-aggressiva della bambina delusa. La reazione di Jasmine al tradimento del marito assomiglia a un mordere, un vendicarsi con un’energia infantile che, trasferita senza mediazioni nella vita adulta, diviene violenza e distruzione.

Reich avrebbe sostenuto che Jasmine è piena di peste emozionale, la posizione nevrotica e lontana da una vera auto-percezione, innanzi tutto corporea, la tiene in balìa di tutte le sue posizioni infantili, di tutti i nodi mai sciolti della vita. Non a caso Allen ha scelto un’attrice slanciata ed esile, come a sottolineare la mancanza di radicamento, di presenza nel corpo e nel sentire; è più una donna che fa leva sulla parte mentale, anche se non intellettuale, ma piuttosto ideologica e infarcita di Io ideali.

Sarebbe interessante immaginare come sarebbe potuta essere la reazione di Jasmine alla crisi familiare se avesse intrapreso un percorso di analisi. Il fallimento sarebbe potuto divenire l’occasione per osservarsi, per prendersi finalmente cura della bambina sofferente, per farla emergere in tutta la sua fragilità senza cercare di occultarla tramite la seduzione e lo snobismo. La relazione terapeutica avrebbe potuto darle il nutrimento simbolico al quale era rimasta bloccata, avviando un percorso di crescita interiore verso modelli di attaccamento più sicuri e stabili. Per sviluppare questo percorso, il ritorno al corpo, il collegarsi di nuovo ad un sentire fisico ed emozionale sarebbe stato essenziale. Lo spostamento dalla posizione allo stesso tempo ideale, mentale e seduttivo-isterica sarebbe potuta avvenire tramite un riconnettersi alla pulsionalità negata, innanzi tutto quella orale, sentendo le emozioni inconsapevoli imprigionate nel corpo. La crescita interiore le avrebbe potuto permettere di divenire finalmente una donna e di avere uno sguardo più consapevole e responsabile, forse anche più amorevole, nei confronti delle persone che la circondano.

Il riconnettersi al corpo, ai suoi diversi livelli che sono espressioni delle fasi evolutive della storia infantile, è il percorso guida di una psicoterapia corporea rechiana che ripercorre il vissuto personale, a partire dalle diverse prospettive evolutive storiche e dai fallimenti e all’insoddisfazione che la vita inevitabilmente ci presenta.

 


 * Psicologa, Psicoterapeuta, Analista S.I.A.R., Vice Presidente SIPAP

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