Numero 2/2014

il tempo interno

Maria Boreale*

 

Tempo: dal latino tempus, da un più antico tempos (= divisione), dalla radice tem (tagliare), voce d’incerta origine, indica l’intuizione e la rappresentazione della modalità secondo cui i singoli eventi si susseguono e sono in rapporto l’uno con l’altro. Questa intuizione fondamentale è condizionata da fattori ambientali e psicologici ed è diversificata storicamente da cultura a cultura.

Nel parlare del tempo, per quanto riguarda l’uomo, sono descritte caratteristiche e proprietà la cui terminologia può essere rintracciata anche nelle scienze fisiche e biologiche: l’istantaneità, la durata, il fluire, la continuità, l’irreversibilità.

Nel dettaglio:

-L’istantaneità è caratterizzata da eventi puntuali dei quali non si riesce a distinguere l’inizio dalla fine: un lampo di luce…

-La durata è la caratteristica di eventi estesi nel tempo, siano essi del mondo esterno o del mondo interno, omogenei o articolati.

-Il fluire è la caratteristica distintiva del tempo, la genesi di questa impressione è ignota, potrebbe dipendere dal contrasto tra il ritmo di successione dei cambiamenti interni all’Io e il ritmo di successione dei cambiamenti esterni all’Io.

-La continuità è la proprietà del tempo psicologico che permette di compiere discriminazioni come stabilità, mutamento, contemporaneità, successione.

-L’irreversibilità del tempo ha due significati, per il primo essa è la caratteristica secondo la quale gli eventi non possono essere ripercorsi dalla fine all’inizio; per il secondo l’irreversibilità postula l’impossibilità di rivivere una seconda volta, in tutti i dettagli, esperienze pregresse. L’irreversibilità del tempo viene di solito accomunata all’inarrestabile aumento di entropia che si verifica in un sistema chiuso e di questo aumento sarebbe in sostanza il riflesso.

Klimt, L'albero della vitaKlimt, L'albero della vitaLe leggi di Einstein non contemplavano l’irreversibilità dei processi fisici, egli confermò che il tempo è illusorio, teoria rivista dopo che Kurt Gobel propose un modello cosmologico in cui era possibile ritornare al passato, utilizzando la curvatura dello spazio-tempo proposta dalla teoria della relatività.

L’idea di una direzione del tempo è connessa al concetto di evoluzione usato per la prima volta dalla termodinamica; fu Arthur Stanley Eddington a coniare il termine Freccia del Tempo, considerando l’aumento di entropia dei sistemi isolati e del consecutivo aumento nel tempo del loro disordine, termine divenuto scientifico alla fine del 1800, nel corpo della biologia e più di recente in quello della geologia e della chimica.

Secondo Bergson la dimensione qualitativa in cui si sviluppano gli eventi psichici, non ha legami con la dimensione quantitativa degli eventi fisici e quindi il tempo vissuto nella nostra coscienza è un amalgama di stati psichici in continua evoluzione e senza legami reciproci di cause ed effetto. Questo tempo interno non può essere spiegato dalla scienza attuale con i suoi concetti rigidi, in tal senso Bergson è d’accordo con l’opinione di Einstein che il tempo è fuori dalla fisica.

Per Ilya Prigogine (premio Nobel per la chimica nel 1977) il tempo è una misura dell’evoluzione e può essere oggetto di scienza, ammesso di riformulare le sue leggi incorporando in esse il tempo nella maniera corretta. Il tempo è un costituente essenziale dell’Universo e gli esseri umani sono un prodotto del tempo, di cui la coscienza prende semplicemente nota; il tempo soggettivo viene così a dipendere dall’esistenza della coscienza.

Nello schema di Prigogine tutto si evolve nel tempo e aumenta in complessità, più complesso è il sistema più impredicibile il suo futuro. Il big-bang non può essere l’inizio dello spazio-tempo ma solo il passaggio da una situazione ad un’altra più complessa, impredicibile.

Quando Prigogine si domanda se il tempo esiste, anche quando non c’è nessuno a percepirlo, sembra rispondere che il tempo è una proprietà della natura e l’evoluzione porterà inevitabilmente alla presenza di esseri pensanti, capaci di avere coscienza del tempo.

E ancora, che l’irreversibilità è legata a un tempo interno espresso in termini di relazione tra le varie unità che formano il sistema, come le correlazioni tra le particelle. Non si può fermare il flusso delle correlazioni, così come non si può prevenire il decadimento degli stati atomici instabili.

Genovino Ferri, rispetto al concetto di tempo interno, precisa che esso può essere sentito più che pensato, in quanto porta con sé la storia, l’energia e l’intelligenza di quell’insieme di relazioni, eventi che hanno determinato la forza profonda di quell’individuo. (Ferri, 2005).

È forse il tempo interno che custodiamo e che comunichiamo attraverso il nostro corpo che ci distingue dall’altro?

In un’ottica analitica reichiana la Freccia del Tempo prende corpo e trova la sua origine in quell’ovulo fecondato, punto di partenza di quel nuovo sistema che evolverà attraverso la sua relazione con l’altro da sé, con il mondo.

Lungo la freccia del tempo

Il tempo può essere inteso come tempio che permette e conserva le possibili relazioni, le intrinseche emozioni.

Il big-bang evolutivo di un ovulo permette la nascita di un nuovo sistema vivente che, grazie ad un bagaglio, ad un approvvigionamento energetico (gradiente neghentropico) può sostenere la vita per sette giorni galleggiando nei liquidi intrauterini, all’interno del primo nucleo funzionale Sé-Altro da sé.

In questa fase il campo energetico del nuovo sistema vivente incontra il campo energetico dei liquidi dell’utero materno così come, poi, il feto con il proprio ritmo, le proprie vibrazioni e la propria carica espansiva incontra il ritmo, l’emozionalità, i sentimenti, il calore o la freddezza del tempo interno materno di quel suo e di quel suo allora, che determina la specificità del suo tempo.

E da qui il passaggio alla seconda fase intrauterina, dove i due tempi si sono concessi una occasione di relazione attraverso la condivisione e la comunicazione della loro possibilità energetica.

Come ben sappiamo il livello corporeo coinvolto è la pancia, quel grande custode che, come una grande ampolla sorveglia la miracolosità di quel tempo fatto di incontri, di desideri, di scambi, di progettualità futura.

Se questo incontro è stato il frutto di una grande passione o di una grande progettualità, ciò determinerà per il feto la base energetica, la sua alta densità. Se l’incontro sarà stato positivo, ma stressato da eventi importanti, la sua carica sarà sicuramente potente ma allarmata. Se le circostanze di coppia o materne saranno alimentate e guidate da un tempo di affettività carente, il movimento di questo nuovo sistema di vita, sarà accompagnato da un tempo di quel e di quell’allora pericolosamente vuoto.

Questa possibilità di vita determinerà probabilmente, una non sostenibilità alle richieste della realtà esterna e la non possibilità di comunicare con essa, per non avvertire, sentire ed entrare in contatto con quel tempo... interno.

Successivamente questo nuovo sistema vivente entrerà, attraverso il parto, in quella fase chiamata oro labiale, che vedrà come protagoniste le labbra, fonte di nutrimento e sostegno, accompagnate da altre funzioni fisiologiche fondamentali quali la respirazione e il contatto epidermico, possibilità di contatto e calore.

Tempo in cui possiamo incontrare un forte e perpetuo calore, o la freddezza nell’accudimento, o la richiesta di una precoce crescita.

In quel ed allora potremmo ritrovare, un eccessivo affetto da parte di un primo campo che prepara con grande fiducia la crescita del proprio bambino, oppure  una madre che fa trapelare la paura e la non accettazione del suo fragile bambino.

Negli occhi di questo futuro bambino si potrà ricercare e ritrovare quel tempo colmo di sguardi accoglienti, affettuose carezze e sentita presenza, la stessa che gli permetterà di assaporare con una adeguata certezza di sé altre possibili realtà; oppure potremmo incontrare degli occhi angosciati da una presenza che non ha dato possibilità di scelta, che ha bloccato quel tempo in quel periodo di vita; o incrociare occhi freddi in attesa di riscaldare le proprie labbra e il proprio abbraccio. È così che il tempo antico, custodito in ognuno di noi, trova il canale per comunicare.

È un tempo questo, a me molto caro. Un forte abbraccio che mi ha nutrito infinitamente, che mi ha insegnato come il calore è una delle possibilità per comunicare all’altro il proprio bisogno di stringere per sopravvivere, per sconfiggere le proprie paure e per ridurre la propria solitudine

E se questo tempo non lo abbiamo vissuto in modo funzionale ci è stato forse rubato?

Ho dato per molto tempo grande valore a quel periodo che struttura in noi la possibilità di scoprire, di avventurarsi, di entusiasmarsi per poter realizzare quanto desiderato… sentire l’aria tra i capelli nel correre e provare a sfidare, ingenuamente, il mondo.

In questa fase il nostro tempo interno raccoglie le varie possibilità di una realtà che proietta infiniti colori e infinite luci, dove dentro di noi cominciano a radicarsi, a fortificarsi e a muoversi le nostre più intense energie, siamo nella fase in cui ci viene insegnato a correre, ad andare verso, sperimentare e iniziare a credere nelle proprie potenzialità e capacità.

Ma se quel tempo ci viene tolto, serrato o coartato, l’investimento energetico nelle nostre future relazioni risentirà di quella fatica, di quel serrare e di quell’opporsi al nostro più intimo movimento. Siamo nella fase muscolare, che vede come protagonisti il nostro pieno o il nostro vuoto torace, le nostre forti o deboli braccia, dove l’Io comincia a disegnarsi più nettamente e l’energia va ad organizzarsi nella muscolatura volontaria.

Successivamente, non possiamo sottovalutare il ruolo del nostro diaframma quando il nostro sé si affaccia alla scena chiamata edipica. Il nostro tempo organizza quelle energie che vanno ad illuminare il nostro bacino, a dare forma e forza alle nostre relazioni, quella fase che è la pubertà.

E il corpo in tutti questi momenti di vita, diviene il portavoce di quelle esperienze relazionali.

È da questa lettura o da questa rispettosa attenzione che possiamo incrociare la vita dell’altro da noi, leggendone la storia del suo tempo nel tempo, partendo dai suoi occhi vivi e commossi, tristi o stanchi, dalla sua bocca serrata o spalancata, dal suo collo morbido, rigido o timidamente incassato, dal torace vitale, depresso o ispirato, dal suo diaframma in movimento o fermo lì a bloccare il passaggio di quella densità di energia, che trova il suo carattere già lì in quel tempo così lontano, di cui il proprio ventre è divenuto il custode...

Potremmo considerare il tempo, come tempio che include il tutto dandone un ritmo, responsabile del come una possibile comunicazione può dar vita ad una relazione e la più semplice delle emozioni al più profondo dei sentimenti.

E se tutto questo non ha avuto la possibilità di fluire serenamente, allora possiamo parlare di un tempo fermato, bloccato o rubato.

C’è anche un tempo interno delle paure.

Ho pensato per molto tempo che evitare di sentire o sapere di non aver paura potesse essere l’espressione di un possibile coraggio. Scopro crescendo che la paura sceglie i vestiti da indossare, per presentarsi nelle relazioni/interazioni create e realizzate.

Quando parlo di vestiti, intendo le possibili reazioni che un individuo mette in atto di fronte a ciò che lo spaventa, lo disorienta, lo allarma e lo disarma.

Si parla di tre modalità reattive alla paura: la paralisi (pietrificazione), l’evitamento (la fuga) e infine l’attivazione (posizione d’attacco, ossia il muoversi con torace, collo e occhi rispetto a questo nemico, conoscerlo profondamente, e utilizzare tutte le risorse a nostra disposizione, un come di fronte alla paura volto ad aumentare il nostro campo di energia. (Ferri, 1999).

Ed è proprio in questo ultimo vestito che mi sono sempre infilata, fino allo scoprire di poter imparare, se questo è il giusto termine da adottare, l’utilizzo di altre strategie più adeguate e più funzionali per la sopravvivenza di fronte ad un possibile pericolo.

Il tempo nel setting analitico

Nel setting analitico post-reichiano della S.I.A.R., oltre alla presa in cura attraverso la lettura del linguaggio verbale e corporeo, entra in scena l’analisi del carattere della relazione, che vede come protagonisti l’analista e l’analizzato, un nuovo sistema vivente che presenta a sé e porta con sé una propria specifica relazione di tratto, un proprio specifico stadio e un proprio tempo.

In un ottica così complessa nel setting non s’incontrano solo le atmosfere, il come, la storia, le emozioni e i pensieri relativi esclusivamente all’analizzato, ma prende forma anche il bagaglio biografico, emozionale e relazionale dell’analista, allontanandoci sempre più dalla funzione neutra del terapeuta di cui tanto si è parlato in passato.

A1hwZslUmUL. SL1500 pescatore di ricordiMusante, Il pescatore di ricordiMusante, Il pescatore di ricordiPer cui l’analista, con una adeguata sensibilità e attenzione al proprio sentire e attraverso una consapevolezza del suo come e della sua posizione, può fare del suo controtrasfert di tratto uno strumento terapeutico volto a trovare assieme al paziente la giusta direzione neghentropica.

Pertanto il setting, in quest’ottica, è considerato un Sistema Vivente Complesso, con un suo spazio-tempo neghentropico, con un proprio carattere, cornice necessaria per l’espressività della relazione.

“Il setting che si realizza in Analisi Reichiana è un setting complesso, in linea con la teoria dei sistemi complessi. È la realizzazione di uno spazio-tempo privilegiato in cui la neghentropia della relazione, considerata forma vivente, aumenta progressivamente del suo valore originario. Questa relazione nasce da un primo contatto tra terapeuta e paziente, sviluppa un proprio carattere e attraverso l’incontro tra i tratti caratterologici dell’analista e dell’analizzato assicurerà la sua autorganizzazione, manterrà la sua autopoiesi, provocherà la sua evoluzione, garantirà l’esistenza dei suoi stadi, le sue relazioni oggettuali. In Analisi Reichiana il concetto di coevoluzione ha un valore fondamentale per cui la neghentropia, cioè la tendenza dei sistemi viventi ad organizzarsi su livelli di complessità maggiori, opposto ad entropia, deve realizzarsi su tutte e tre le forme viventi che si affacciano sul teatro del setting, analista, analizzato e relazione.” (Ferri, Cimini, 2012).

Dov’è il mio tempo interno nel mio percorso analitico?

Ad ogni seduta vivevo l’attesa che quella potesse essere un passaggio che non poteva non realizzarsi, un passaggio, una intuizione netta e vivida. Ma successivamente ho scoperto che ho dovuto inevitabilmente lavorare le trame della mia tela storica per dare poi spazio a nuovi colori.

Il mio tempo interno è sicuramente molto lento per motivi ed eventi che lo hanno bloccato ad aspettare una probabile forza maggiore? Un coraggio maggiore?

E di questa lentezza, a tratti molto faticosa e per me in alcuni momenti anche invalidante, ne scopro le ragioni muovendomi verso questo ritmo con rispetto; un tempo che ha in sé o comunque porta con sé una sua vitalità… anche se in alcuni casi bloccata.

All’interno del setting tutto questo prende forma attraverso l’espressività del nostro corpo, quando osserviamo un torace ripiegato su di sé, degli occhi velocissimi e costantemente sfuggenti, una bocca spalancata o visibilmente serrata, un collo che trova protezione tra le spalle o si tende per la possibilità di una vittoria. Tutto quello che i nostri occhi guardano e il nostro corpo sente, durante una esperienza analitica, non è manifestazione di un tempo che si è depositato lì? Espressione di una propria soggettività?

Ma tutto questo non ha una unica direzione. In un percorso analitico incontriamo, captiamo, guardiamo e poi impariamo anche a sentire l’altro, in questo caso il nostro analista: ci risuona sul nostro torace più o meno corazzato e nei nostri occhi, caricandoli di intensità e coraggio dopo che con calore e accoglienza ci ha insegnato ad avere maggiore conoscenza e maggior rispetto per chi siamo, ognuno con il proprio tempo di movimento, in modo da permettere l’assunzione di altre posizioni, più energetiche.

 

Bibliografia
  • Abbagnano, N. (1993), Dizionario di Filosofia. TEA.
  • Intervista a Genovino Ferri (2005). Chi mi ha rubato le lancette? Da "La liberazione della domenica"
  • Quaderni di Analisi Reichiana (1999), La paura: dal panico al coraggio, manifestazioni cliniche, dinamiche, comportamentali. Roma: Edizioni Psicologia.
  • Ferri, G., Cimini, G. (2012), Psicopatologia e Carattere. La psicoanalisi nel corpo ed il corpo in psicanalisi. Roma: Alpes

[* ] Psicologa, Psicoterapeuta, Analista S.I.A.R.

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