Numero 2/2014

Pensieri di suicidio

Teresa Mattucci*

Alberta arriva alla mia osservazione all’età di 26 anni, inviata dal medico di base, in quanto, da circa un anno, “tra alti e bassi, ma più bassi che alti”, vive un profondo disagio.

È una giovane dai lineamenti delicati, armoniosa e curata. Non ha mai fumato, bevuto alcol, né assunto droghe. Si definisce depressa, senza energie, non riesce a studiare, non ha alcun desiderio di relazionarsi, ma soprattutto pensa alla morte come possibile soluzione. Quando sta male percepisce un senso di soffocamento “non riesco quasi a respirare” e di immobilità “non riesco quasi a muovermi, neanche a prendere un bicchiere d’acqua”.

Il rapporto con il cibo è conflittuale, ogni tanto fa qualche abbuffata, prova a vomitare senza riuscirci, sentendosi poi profondamente umiliata e con un senso d’inutilità e depressione (come per una ferita narcisistica). In passato si vergognava se mangiava con gli altri, spesso rinunciava anche al gelato con gli amici, che per questo la prendevano un po’ in giro.

La sua domanda esplicita è “aiutami e tirami fuori dalla depressione”.

La mia prima risposta è di accoglienza e di ascolto; poi le propongo un percorso di psicoterapia individuale, in considerazione della positiva motivazione che accompagna la sua richiesta di aiuto. Un momento intenso ed importante è stato quello del patto di vita, sancito da una calorosa stretta di mano, dall’incontro dei nostri sguardi, dalla possibilità di comprendere e sentire un po’ meglio se stessa e la propria vita in un percorso di consapevolezza, dal lasciarmi la possibilità di chiedere una consulenza psichiatrica per l’inserimento di una eventuale terapia psicofarmacologica (che poi non risulterà necessaria).

Il suo carattere. Carattere (segno inciso) è il modo di essere di una persona, esprime il suo passato, la sua storia biologico-biografica, la storia delle sue relazioni oggettuali, l’incontro/scontro con il mondo.

Alberta vive in un piccolo paese, ha una laurea triennale, è al secondo anno della specialistica, ma è indietro con gli esami.

Mi dice subito che ha il nome della nonna paterna, deceduta quando il padre di Alberta era bambino; era una donna molto saggia e rispettata. Lei si è sempre vergognata di questo nome un po’ maschile.

Il nonno si risposò con una vedova, desiderosa di stare continuamente al centro delle attenzioni di tutti. Questa donna si era legata molto al papà di Alberta, che però non l’ha mai chiamata mamma. Questi nonni hanno vissuto con loro; lei aveva una relazione particolarmente positiva con il nonno, non con la nonna che si occupava spesso di lei e le parlava male della mamma (di Alberta), verso la quale manifestava una profonda gelosia. Il papà non parlava mai della sua vera madre.

La morte di questa nonna è stata vissuta da lei, che aveva 20 anni, con un senso di liberazione e conseguenti sensi di colpa.

La nonna materna è ancora vivente.

In una mappa familiare[1], realizzata all’inizio dei nostri incontri, il papà, che ha un piccolo negozio, viene descritto come riflessivo, empatico, comprensivo, sensibile e autorevole. La madre, operaia in una fabbrica, come dolce, comprensiva e ansiosa. Il fratello, più piccolo di 4 anni, lavora con il padre e viene descritto come dolce, altruista fuori, ma egoista in casa, simpatico e gioioso “in questo molto diverso da me”.

Lei si descrive come comprensiva, “ma troppo nel mettermi nei panni degli altri”, “mi colpevolizzo troppo”, molto orgogliosa. Nel fuori è vissuta come dolce, sensibile, intelligente, sempre preoccupata per gli altri e poco di sé.

Tra tutti indica massima intensità di relazione.

Nella mappa familiare realizzata dopo circa un anno, il padre viene descritto come sensibile, spaventato, invasivo; la madre come un po’ infantile, cieca “non vuol vedere”, dipendente; il fratello come molto egoista, molto pauroso, molto protetto dai genitori; lei si definisce intuitiva.

Può concedersi di mettere gli occhi sulla propria scena, gli aggettivi e il numero delle linee vengono da lei modificati.

Le relazioni più intense sono quelle tra i genitori e tra la madre ed il fratello.

In particolare tra i genitori c’è un legame quasi simbiotico, con il papà in posizione di autorevolezza e la madre “mancante di una propria personalità ed individuazione, in adorazione del marito”, vissuto da Alberta con sentimenti di forte esclusione.

Lei non approva il fatto che i genitori ostentino la loro storia sentimentale a tutti “sono infantili e si comportano come due adolescenti”. Non ha mai potuto portare gli amici a casa, in quanto si vergognava sia dei genitori che della nonna e così risultava strana a tutti per le scuse che doveva inventare.

Condivide un’affettività positiva di tipo materno con una zia, sorella della madre (si aggancia a lei per uscir fuori dalla coppia genitoriale simbiotica).

Anamnesi analitica

La gravidanza è stata nella norma e a termine, la madre era molto ingrassata.

Uno dei segni incisi fondamentali (una delle variabili che determinano il carattere) nella sua storia è il momento della nascita, avvenuta dopo un lungo travaglio durato un giorno intero e con il cordone ombelicale intorno al collo; lei e la madre salve per miracolo. Nata cianotica è stata in incubatrice e non è stata fatta vedere a nessuno.

È stata allattata al seno per sei mesi, svezzata nella norma; racconta qualche difficoltà nel controllo degli sfinteri. A dieci mesi ci sono le prime parole e i primi passi.

La sua nascita aveva messo in pericolo la vita della mamma; ricorda che da piccola percepiva che i genitori “ce l’avevano con lei”, per aver messo in pericolo, con la sua nascita, la loro unione, così si rendeva invisibile, parlava piano e non si ribellava mai.

Altri eventi significativi.

Fino all’età di 7 anni aveva difficoltà a dormire di notte, così spesso si addormentava di giorno mentre giocava; non voleva dormire da sola, si accorgeva se i genitori dal “lettone” la riportavano in cameretta, fin quando fu messa nella sua stanza anche la culla del fratellino (vediamo dunque forti temi di allarme).

Quando aveva 10 anni, mentre il fratellino la rincorreva, cadde spezzandosi i denti davanti. Ne ha molto sofferto le conseguenze estetiche e cercava così di non aprire la bocca e di non sorridere. Per questo problema ha subìto tre interventi, di cui l’ultimo qualche anno fa.

Foto di P. MasciaFoto di P. Mascia

Da quell’episodio rimase traumatizzato anche il fratellino, che reagì con dei tic nervosi per molto tempo. Fu portato a visita da uno psicologo per la sua vivacità e non per la sua aggressività (come lei stessa specifica).

Alberta ha avuto sempre un sentimento di gelosia nei confronti del fratello e la sensazione che le prendesse le sue cose (le ha distrutto il motorino; i genitori hanno dato via la macchina che usava lei per comprarne una nuova per lui).

Ha frequentato la scuola materna per pochi mesi, era solitaria, non voleva giocare con tanti bambini, era infastidita dalla confusione, si sentiva “diversa” e si sentiva trattata in modo “diverso”.

Dopo le elementari ha frequentato le medie in un paese vicino, diventando autonoma nel prendere l’autobus e gioiosa di uscire dal paese.

Ha poi frequentato le superiori in una cittadina vicina, ma al primo anno ha subìto una bocciatura, a suo dire a causa di una delusione sentimentale: era il primo innamoramento ed il ragazzo la lasciò per la sua migliore amica.

Alberta sente i genitori ambivalenti nei suoi confronti: da un lato la riprendono continuamente per darle consigli, dall’altra le chiedono continuamente cose da fare, tanto che non riesce a studiare a causa delle frequenti interruzioni, soprattutto richieste dal padre. Di lui dice: “ho sempre cercato di entrare nei suoi desideri, ma la sua richiesta è sempre più grande ed io non ce la faccio mai”.

Ricorda il senso di angoscia che spesso aveva di notte. Lei faceva rumore sperando che i genitori entrassero nella sua stanza per chiederle cosa succedesse, ma non è mai avvenuto! Una notte andò lei nella stanza dei genitori, ma il padre la rimproverò dicendole che a quell’ora i bambini dormono nel proprio letto.

Nelle relazioni si fa sottrarre energia, anche dalle amiche; non riesce a dire “no” nel timore di perdere l’altro (la sua aggressività non è espressa). Il solo pensiero di non essere disponibile le ha sempre procurato sensi di colpa tali da anticipare la richiesta dell’altro.

È ipercritica nei propri confronti, estremamente responsabile, con un gran senso del dovere; è il papà a chiederle di esserlo, “proprio a me che sono già tanto responsabile”. È stata protettiva nei confronti della madre, molto sensibile e con problemi di salute (ulcera, gastrite), causati dalle conflittualità con la suocera. È stata protettiva con il fratello, scarsamente disponibile a collaborare in casa e che viene lasciato in pace. Lei viene lasciata tranquilla solo quando sta male.

Ha vissuto storie sentimentali difficili: dopo la prima delusione, a 16 anni inizia una storia con un giovane più grande di tre anni e con problematiche psicologiche, lei ingrassa di 10 kg (per poterlo sostenere?); lo lascia, a fatica, dopo sei anni “mi sono sentita rinascere”. Segue una breve relazione di cinque mesi, ha il primo rapporto sessuale, ma senza coinvolgimento. L’ultima relazione è solo platonica, lui soffre di attacchi di panico e per lunghi periodi non dà notizie di sé. Questa relazione si conclude con l’inizio del percorso psicoterapeutico.

Facciamo delle ipotesi

Alberta ha già sperimentato l’allarme vitale al momento del parto; nel momento in cui la sua sofferenza nella relazione con il mondo raggiunge quel livello di profondità l’idea del suicidio può diventare una liberazione. Aver contattato la possibilità di morire fa sì che venga utilizzata come possibile soluzione alla sofferenza (quasi un imprinting).

Il senso di soffocamento può essere accostabile all’esperienza del cordone ombelicale attorno al collo; il senso di paralisi al travaglio di un giorno (ferma lì senza movimento).

C’è una difficoltà di questa giovane ad affacciarsi al mondo ed in particolare rispetto alle uscite, in tutti i campi, dal nucleo familiare, dalla scuola, dal campo sessuale, affettivo.

Mito e realtà, conflittualità tra progetto ideale e piano di realtà: ci vogliono diversi incontri per uscire dalla mappa familiare ideale (salva la famiglia per non aggredirla). Con la propria energia ricostruisce il positivo intorno a sé continuamente e questo comporta non inserire il “no”.

Su di lei ci sono le dinamiche di tre generazioni; non riesce a separarsi dal proprio nome: il nome di una nonna con una particolare personalità, che non ha conosciuto. Sviluppa un rapporto privilegiato con il nonno, marito di questa nonna, che poi si risposa, porta il nome della grande assente. Il papà dovrebbe adorare questa figlia, ma non riesce a spostare il transfert su di lei, probabilmente perché viene agganciato dalla moglie. Si tratta di un edipo mancato e Alberta sta lì ad aspettare il padre; diventa la grande esclusa, perché il padre si è spostato.

Entra nella vita con il segno inciso del come del parto, in una dimensione di esclusione; immaginiamo quanta aggressività è stata espressa dalla nonna matrigna, alla quale Alberta ricordava la nonna deceduta, con il suo nome e con la relazione privilegiata con il nonno. Tutto ciò comporta una grande sofferenza, una grande solitudine, grandi temi di rischio masochistico e d’interpretazione di un personaggio (nonna), che non le consente di abbandonarsi (7 anni senza dormire di notte).

Altro segno inciso è l’incidente ai denti: affacciarsi = mettere la faccia rispetto al mondo.

Lo vediamo anche al tempo della scuola materna (difficoltà con il non conosciuto); è troppo impegnata a ricostruire il positivo intorno a sé (a ricostruirsi l’utero), così non rischia la separazione abbandonica e sopravvive, non aggredisce, passando continuamente l’energia all’altro (masochismo).

Nella relazione sentimentale lei supporta l’altro e nello sforzo aumenta dieci chili, questo ci conferma gli schemi masochistici primari.

C’è un progetto ideale, in cui le si chiede di essere straordinaria come la nonna, ma lei non ha gli strumenti per raggiungere quell’affermatività, i suoi segni incisi non le consentono di andare ad esplorare il mondo. Alberta cerca di entrare nei desideri del padre, ma il padre vorrebbe soltanto ritrovare la propria madre.

Lei ed il padre, pur amandosi non s’incontrano, perché hanno due bisogni edipici irrisolti, lui di madre, lei di padre. Se dice un “no” al padre, lui rimane malissimo e lei deve gestirsi questo. Questo schema si ripropone nelle relazioni sentimentali. Alberta infatti incontra sempre ragazzi problematici; nel sostenere l’altro non rischia l’abbandono (schema masochistico).

Non ha potuto incontrare il padre e va verso il conosciuto andando lontano dall’edipo; c’è poi il grande timore di mettersi in competizione con la coppia genitoriale, ostentata come bella e luminosa, che la farebbe sentire in colpa.

Che cosa accade durante il percorso

Dopo i primi cinque incontri Alberta comincia a percepire un movimento interiore che la intimorisce, un sentimento di rabbia nei confronti dei genitori, che le fanno richieste non condivise, sensi di colpa, difficoltà a chiedere, mentre lei è disponibile per tutti. In questo schema masochistico è più funzionale dare per essere in credito nella relazione, piuttosto che essere in debito nei confronti dell’altro.

Va a Londra per alcuni mesi con due amiche, per fare un’esperienza lavorativa; non trovando lavoro rientra in Italia, ma alcuni giorni prima ricomincia a star male, nel timore di essere stata dimenticata dalla famiglia, ma anche nel timore di ritrovare la stessa scena. In realtà la distanza le ha consentito di prendere consapevolezze importanti rispetto ai genitori, al fratello e alla sua gelosia, alle relazioni con l’esterno, ma soprattutto alla sua storia.

Della sua storia mi colpiscono il dolore, la solitudine, il forte senso del dovere.

Nella relazione terapeutica Alberta sperimenta un’accettazione autentica profonda; sono figura accettante, ma anche strutturante. L’accolgo e l’accompagno nel fuori. Piano piano fa i conti con una maggiore strutturazione, con la possibilità di qualche piccola, ma significativa affermatività, con la possibilità di dire “no”, soprattutto al padre, che oggi bussa alla sua porta e le chiede se può interromperla mentre studia. Sperimenta che c’è un modo di esprimere il proprio “no”, che non le fa perdere l’affetto dei suoi, che non l’abbandonano, ma fa i conti anche con una possibile destrutturazione del Super-Ego doveristico che ha.

Lavoriamo sulla possibilità di aumentare la sua affermatività, assertività, mettendo tutto ciò in relazione al tema abbandonico, per cercare un punto di equilibrio (la sua affermatività le richiama il tema abbandonico). La sua dipendenza dalle richieste paterne per essere da lui riconosciuta si è ridimensionata.

Dai genitori non si è mai sentita riconosciuta nel propria interiorità, mai vista: “mia madre è cieca”; la sua affermatività piacevole sta nella sua capacità di potersi distanziare e non entrare nella paura di morire o di rimanere sola.

Sta imparando a muoversi all’interno della sua famiglia (dire no non comporta perdere l’oggetto). Migliora, così, anche il rapporto con il cibo e ritrova quel piglio, che, a 18 anni le aveva consentito di prendere la patente prima di concludere le scuole superiori, al contrario di quello che avrebbe invece desiderato suo padre.

Chi sono io per lei? Forse una zia (ricordando la zia alla quale è particolarmente legata), con funzione di ostetrica, ma anche di accompagnatrice, di guida.

Il tema dell’equilibrio tra l’affermatività e il tema dell’abbandono è fra il dire ”io” e il dire “no” (con la paura della perdita dell’oggetto).

Nel percorso terapeutico sono stati preziosi gli acting di fase affermativa della Vegetoterapia Carattero-Analitica.

Ecco qual è, dunque, la domanda implicita di Alberta, che in realtà comprende una serie di richieste di aiuto:

aiutami a gestire l’allarme vitale, a respirare, a muovermi, ad affacciarmi, a dire “no” se necessario, a liberarmi dagli eccessivi sensi di colpa, a separarmi dal mio nome, ad uscire dal progetto ideale di essere come la nonna, a non aspettare più mio padre ma incontrarlo, a non sentirmi esclusa, sola, a non aver paura di essere abbandonata, a sentirmi accettata, a non entrare in rischio masochistico, ad essere vista e a sentire l’affetto dei familiari, espresso con il modo per loro possibile, a poter incontrare l’amore, senza il timore di entrare in competizione con la coppia genitoriale, a vivere e non più a sopravvivere.

Un’analisi è stare dalla parte della vita e della vitalità (Ferri, Cimini, 2012).

 

[1]La mappa familiare è molto utile per ottenere informazioni sulle psicodinamiche emozionali all’interno del campo familiare, così come sono vissuti dalla persona, alla quale si chiede di stabilire un numero di linee, da 1 a 3 (o nessuna linea) tra i vari membri del nucleo familiare che indichino lo spessore di relazione positiva.

 

Bibliografia
  • Baranger, W., Baranger, M. (2011), La situazione psicoanalitica come campo bi personale. Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Barrie, J. (2003), Peter Pan, il bambino che non voleva crescere. Milano: Feltrinelli Editore.
  • Ferro, A. (1992), La tecnica nella Psicoanalisi infantile - Il bambino e l'analista: dalla relazione al campo emotivo. Milano: Raffaello Cortina ed.
  • Searles, H., F. (1988), Il paziente Borderline. Torino: Bollati Boringhieri.
  • Winnicott, D.,W. (2002), Sviluppo affettivo e ambiente – Studi sulla teoria dello sviluppo affettivo. Roma: Armando Editore.
  • Ferri, G., Cimini, G. (2012), Psicopatologia e carattere. Roma: Alpes Italia.

 * Psicologa, Psicoterapeuta, Analista S.I.A.R.


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