NYMPHOMANIAC

Scritto e diretto da Lars Von Trier 2013

 

a cura di Giulia Bertotto[*]

 

 

 

     La pellicola è del 2013, divisa in due film chiamati volumi, scritta e diretta da Lars Von Trier, dal titolo “Nymphomaniac”. Una donna che ha superato i quarant'anni viene trovata ferita e sanguinante da un uomo più anziano, Salinger, il quale, dato che la donna rifiuta di essere portata in ospedale, decide di condurla a casa sua per aiutarla a riprendersi. Lei in un flashback diviso in capitoli, racconterà all'uomo come quella che clinicamente definiamo una dipendenza dal sesso l'abbia portata alla rovina fisica ed emotiva. Salinger è un uomo colto ed elegante, cortese e dotto, che l'ascolterà impreziosendo la sua storia con osservazioni naturalistiche e antropologiche. Il saggio uditore è asessuato, opposto speculare di lei, lui riesce ad attraversare l'esistenza intellettualizzando e studiando, ma senza aver mai avuto rapporti sessuali di alcun tipo. I due sono distanti biograficamente ma non così dissimili energeticamente: entrambi sono stati costretti a farsi scudo dall'affetto pieno e autentico a causa del loro vissuto magari intrauterino e perinatale ostile.

     Joe esordisce il suo racconto affermando «ho scoperto la mia fica a due anni», fin da piccola sembra manifestare una immensa energia vitale, frenata da un rapporto conflittuale con la madre fredda e non disponibile al contatto affettivo, una donna estremamente corazzata, una «gelida stronza». Suo padre è un uomo con una corazza meno invalidante ma sovrastato dalla moglie. E' un medico, una mente empirica a detta sua, ma capace di sentire il respiro del divenire, lo spirito che è nella corteccia, nel vento, “l'oceano orgonico cosmico”, potremmo dire. Insegna alla piccola Joe a riconoscere le foglie di tiglio, pioppo e frassino, che lei colleziona nelle pagine di un erbario. Una sorta di oggetto di transizione condiviso col bosco, una collezione organica e un album di ricordi di famiglia vegetali.

     Joe ha una pulsione vitale orgastica esuberante, che rimasta inaccolta dalla madre, si è organizzata in una struttura psicofisica di ribellione. Joe non fa l'amore per sentire ma «scopa» per non dover entrare davvero in contatto; «per me la ninfomania era insensibilità» spiega a Salinger. L'amore vitale di Joe, non gratificato dal legame con la mamma, si cristallizza in una corazza di incapacità affettiva, repulsione per la tenerezza, trasgressione e sfida verso la società; deve proteggersi dalla possibilità di restare ancora delusa e stavolta di non reggere lo choc. Dunque riempie la sua agenda di appuntamenti, la sua vagina di ogni pene ma la sua energia invece di risultarne liberata è sempre più soffocata.

     Della sua prima e unica esperienza in qualche modo sentimentale con Jerome dice «mi sono sentita umiliata dall'amore. L'erotismo dice sì, l'amore tira fuori gli istinti più bassi, dire sì quando vuoi dire no e viceversa»; per Joe l'amore è inganno, confusione comunicativa, discrepanza tra ciò che viene affermato verbalmente e trasmesso energeticamente.

     nymphoLocandina NimphomaniacLa sua vitalità incalza l'ossessione sessuale che a sua volta non sgrava in modo pieno il suo campo energetico ma autoalimenta un ipererotismo insaziabile. Quindi in realtà il suo acme non è un libero e fluido spasmo orgastico, ma una tensione mai sciolta, uno slancio mai appagato. Dai suoi rapporti compulsivi ottiene un senso di onnipotenza, una gratificazione manipolativa sugli altri, un senso di controllo funzionale a sopravvivere ma senza un'integrata soddisfazione affettiva. Il suo funzionamento ha bisogno di oscillare tra eccitazioni euforiche e scariche disperate.

     Pesca uomini ma l'esca è lei stessa.

     Scrive Reich “L'organismo corazzato si differenzia da quello non corazzato, fondamentalmente per il fatto che fra il suo nucleo biologico-da cui scaturiscono tutti gli impulsi naturali-ed il mondo-ov'esso vive ed agisce-è inserito un muro di rigidità. Ne consegue che è frenato ogni impulso naturale ed in particolare la funzione amorosa. Il nucleo vivente dell'organismo corazzato ha mantenuto intatti i suoi impulsi, che però non possono giungere ad esprimersi liberamente. Nel disperato tentativo di esprimere se stesso ogni impulso libero è costretto a penetrare il muro di corazzamento o a spezzarlo. L'impulso deve usare violenza per giungere alla superficie e alla meta. (…) il fatto essenziale del procedimento è la trasformazione di tutti gli impulsi amorosi in distruttività, quando oltrepassano la corazza. E' lo sforzo di esprimersi in modo naturale e di raggiungere la loro meta ciò che trasforma tutti gli impulsi essenziali biologici in distruttività”.

     Von Trier inserisce in modo incantevole immagini che rendono cosmica la vicenda della protagonista: una ninfa accostata ad un'umida larva di insetto, tecniche di pesca, alghe fluttuanti, correnti d'acqua, rami contorti, conchiglie sezionate per mostrare la spirale di Fibonacci e la proporzione aurea che accomuna l'armonia di tutte le cose, la superimposizione cosmica che governa e accomuna amebe, vermi ad anelli, uragani e nebulose spaziali. Erotico è l'esprimersi colorato e fantasioso della materia, non la fissazione anatomica genitale. E Joe da qualche parte in se stessa si sente partecipe di questa totalità amorosa, ma ogni tentativo di esprimere questo slancio verso tutto il mistero dell'universo, si rivela un fallimento causato dalla dipendenza sessuale.

     La spirale, spiega Reich, è la forma che l'energia attraversa per coagularsi in materia, una sorta di forma-ponte, che l'energia assume prima di solidificarsi in materia. Questo mostra che nel pensiero cosmologico e ontologico di Reich vi erano intuizioni di fisica quantistica, una concezione vibrazionale dell'esistenza, paradigma nel quale la materia non ha una costituzione fissa ma una natura duplice di onda e particella.

     “Prima che esistesse una vita qualsiasi, v'era il fluire dell'energia orgonica cosmica. (…) Nel corso degli eoni da queste scaglie si svilupparono organismi unicellulari. Adesso l'energia orgonica cosmica fluiva non solo negli sterminati spazi galattici, ma altresì in minuscoli frammenti di materia membranosa, impigliati entro membrane e continuanti a fluire, sempre in modo spiraleggiante, entro queste membrane, seguendo un sistema chiuso di flusso. (…) noi non possiamo asserire che questo minuscolo frammento di protoplasma fluente avesse già la facoltà di percepire se stesso, anche se già possedeva la facoltà di reagire a stimoli esterni e interni. Era eccitabile, in concordanza con l'eccitabilità dell'energia orgonica che fluisce fuori dai confini di membrane”. Dunque l'eccitabilità è caratteristica essenziale dell'energia, non dei genitali in senso pornograficamente coatto.

     La ragazza e poi la donna, prova a liberare la sua energia in una condotta sessuale esasperata e autolesionista, fino ad abbandonare suo figlio per seguitare con le sue frequentazioni extraconiugali, poi tenterà di reprimerla fino ad isolarsi da ogni contatto con il mondo, polarizzerà il suo amore-energia da un opposto all'altro senza trovare mai una foce che affermi la sua impellente identità.

     La scena in cui la nostra protagonista interrompe il flusso dei sensi per sfuggire l'eccitazione è una celebrazione rovesciata della vita: copre i rubinetti, fodera gli angoli dei mobili, smussa ogni forma fallica e sporgenza su cui potrebbe strusciarsi, riveste gli specchi con delle pagine di giornale per non vedere il riflesso del proprio corpo, oscura perfino la luce dalle finestre perché è l'orgone cosmico che viene irradiato nell'atmosfera. Per evitare l'eros, deve fuggire la vita, per impedire il desiderio deve astenersi da tutta la realtà che la circonda. Perché l'erotismo non è nei genitali ma in tutta la realtà sostanziale che è infatti costituita di orgone, energia cosmica, ad uno stato più o meno denso e organizzato. L'erotismo non è solo un impulso biologico, ma l'urgenza ontologica, la spinta insostituibile di un campo di energia circoscrittosi in un vivente a fondersi con l'infinito orgone in cui è immerso e di cui è costituito. 

     Joe cerca di impedire a qualsiasi stimolo vitale, la stoffa delle lenzuola sulla pelle, l'aria nelle narici, il sole tra i capelli, di eccitare il suo erotismo per la vita, che si trasforma puntualmente in autolesionismo e distruzione degli altri.

     Cerca di trattenere ogni suo impulso, ormai dipendenza, tenta con violenza di dominare la sua bulimia lasciva senza sazietà, si inchioda sul letto, bloccata in un cappotto stretto fino al collo.

     Stesa sul talamo come appesa a una croce, con le mani lontane dalla vagina, la braccia forzatamente spalancate, sembra crocifissa al materasso.

     Qualsiasi emozione è vissuta da lei attraverso il canale erotico: attraverso l'eros Joe assorbe l'universo, scarica la disperazione, esercita il potere, scarica il suo potentissimo campo. Vediamo una gocciolina colare all'interno della sua coscia persino quando suo padre muore; non si tratta di morbosità e provocazione cinematografica, ma di una profonda rivelazione del personaggio e della sua personalità: l'eccitazione sensuale è  l'unico modo che Joe conosce per distendere il suo dolore, per scaricare la sua poderosa energia vitale. La “perversione” non è altro che una soluzione alternativa, una strategia di sopravvivenza che può essere invalidante alla felicità ma funzionale a mantenere in essere la struttura psico-fisica di un individuo. Nulla in natura è esente dal concetto di funzionalità, mai la natura sprecherebbe energia nel trovare soluzioni che non hanno un'utilità ai fini della sopravvivenza, anche laddove ci sembra moralmente crudele o socialmente aberrante.

     Il primo film si chiude con l'incapacità di raggiungere l'orgasmo. Per Joe significa perdere la condizione con cui identificava se stessa, una presunta potenza orgastica che la riparava dalla possibilità di sentire l'orrore e la solitudine e insieme la faceva sentire in piena comunione con tutto, le foglie, il bosco, l'universo. Joe aveva la certezza di riuscire nell'orgasmo, cioè saper dilatare il suo campo di energia a quella cosmica, riunirsi a quella forza universale, ogni volta che il terrore l'assaliva. Per Joe non ci sono emozioni tiepide, o l'orgasmo o il panico, due canali per l'assoluto che lei sente scalpitare in se stessa da sempre. Per questo dice «forse la differenza tra me e gli altri è che io ho sempre preteso di più dai tramonti».

     Joe è una vitalità incontenibile, che ha impattato contro una madre energeticamente scostante e rigida, una fantasia fertile che si è scontrata su una madre emotivamente sterile. In Joe vibra un anelito cosmico, uno slancio divino.

     Il regista danese fa compiere ai personaggi del dialogo una digressione sull'iconografia sacra confrontando quella della chiesa cattolica e quella tipica della chiesa ortodossa. Nella chiesa cattolica è stata vincente l'immagine del Cristo crocifisso, in quella d'Oriente la Teotókos, (“Madre di Dio”) la raffigurazione della Madonna con il bambino Gesù. Quindi l'accoglienza materna di un utero pulsante, un allattamento senza inibizioni nel quale il neonato succhia orgasmi orali di gioia, un inno alla vita e non un canto di morte.

     Il Cristo pantocratore della chiesa d'Oriente, emblema di fierezza senza tirannia, forza senza aggressività, simbolo del carattere genitale compiuto è stato fiaccato dalla chiesa cattolica in un Cristo devoto alla sofferenza e all'abnegazione, nemico della natura, rivolto solo all'aldilà mentre il Cristo reichiano è un Cristo in contatto con i propri impulsi, aderente alle proprie emozioni, innamorato del creato, alleato della natura, amante delle donne. Un uomo che non ha dovuto sovrastrutturare la sua pulsazione amorosa in lussuria sfrenata e pornografia morbosa, ne illudersi di poterla annientare nell'astinenza.  Un uomo che non ha bisogno di sodomizzare o sottomettersi per sentire Dio, per amare il Padre e la Madre. Un uomo trionfante che benedice gli animali, le piante, gli elementi. A cui non è necessario reprimere perché la vita lo terrorizza e a cui non è necessario il sesso maniacale e squallido per la stessa ragione, cioè il terrore di sentire la vita.

     Il Cristo di Reich onora Dio nella natura, non la teme sperando in un altrove soprannaturale. La sua corazza è così leggera che può camminare sull'acqua, la sua gioia talmente traboccante che può guarire gli ammalati. Cristo può dare senza sottrarre a se stesso perché la fonte del suo nutrimento energetico è direttamente Dio. Scrive Reich “per lo studioso orgonomico del ventesimo secolo Cristo aveva tutte le caratteristiche del carattere genitale. Non avrebbe potuto amare i bambini, la gente, la natura, non avrebbe potuto sentire la vita e agire con tale grazia se avesse sofferto di frustrazioni genitali. Le manifestazioni ben conosciute della frustrazione genitale-i pensieri osceni, la lascivia, la crudeltà fisica o morale, la falsa dolcezza- sono assurdi nell'immagine di Cristo come ci è stata tramandata”.

     Nel suo percorso a ritroso Joe ricorda di quando a sei o sette anni viene sottoposta ad un'operazione chirurgica non troppo invasiva. Prima che l'anestesia faccia effetto viene travolta da una sorta di rapimento, nel quale è investita da tutta la magnificenza delle stelle, mentre allo spettatore viene offerta un'immagine coloratissima e fulgida di una galassia.

     Durante la pubertà poi, si trova distesa sul prato, un ruscello scorre, le spighe alte intorno, e la ragazza inizia a levitare. Il medico meccanicista diagnostica una crisi epilettica, per il mistico una visione estatica, per Joe e il suo interlocutore si trattò di un orgasmo spontaneo. Vediamo come la potenza vitale detonante della donna trovi sempre uno sbocco deflagrante per esprimersi. La sua energia che non trova compiutezza in un appagamento affettivo pieno e gioioso rimbalza in fenomeni “panici”, totali.

     Vediamo Joe in alto su un crinale, sorpresa alla vista di un albero spoglio e curvo, avvinghiato con le sue tenaci radici alla roccia. E' lei stessa allo specchio della natura, e il suo riflesso è un albero piegato su un terreno duro e inospitale di dura pietra, una madre granitica.

     «Resisterò come un albero deforme su una collina».

 

[*] Dott.ssa in Filosofia

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