RESPIRA QUESTA LIBERTA'

BREATHE THIS FREEEDOM

 

Simona Arcidiacono[*]

 

Abstract

        Francesco è un giovane adulto che chiede di essere accompagnato verso un rafforzamento delle sue risorse e uno svincolo da dinamiche relazionali che lo appesantiscono e lo lasciano arenato, per poter iniziare a muoversi verso il terzo campo, il sociale. Significativi appaiono i segni incisi alla nascita, nei tempi e nelle modalità. Il percorso terapeutico, è stato portato avanti secondo l’approccio analitico reichiano contemporaneo ed è stato sostenuto dalla fotografia, grande passione di Francesco, che è divenuta altresì strumento del lavoro terapeutico a partire dal setting.

 

Parole chiave

        segni incisi – miracolo – salvatore – separazione – individuazione – fotografia.

 

Abstract

        Francesco is a young adult who seeks support in strengthening his inner resources and freeing himself from relational dynamics that weighed him down and left him stuck, in order to begin moving toward the “third field”. The signs present at birth, both in terms of timing and manner, appear to be particularly significant. The therapeutic process was carried out according to the contemporary Reichian analytical approach and was supported by photography, Francesco’s great passion, which also became a therapeutic tool starting from the setting.

 

Key words

        engraved signs – miracle - savior – separation – individuation – photography.

     Francesco, arriva nel mio studio circa 3 anni fa, aveva 28 anni. Viene autonomamente e non dice ai genitori della terapia, volendo sostenere lui stesso questo spazio, ma non lavora, ha dei soldi da parte. La cadenza degli incontri sarà di una volta ogni 15 giorni e la modalità di pagamento iniziale mista: una volta con il denaro, la volta successiva con una sua fotografia, sua passione, che abbiamo incluso nel lavoro terapeutico. Dopo circa 5 mesi riuscirà a pagare entrambe le sedute avendo trovato un lavoro part time. Il Setting nella cadenza degli incontri e nella modalità di pagamento è stato pensato per permettere a Francesco di poter fare un percorso terapeutico, sebbene lui fosse dubbioso e scoraggiato di riuscire a sostenerlo in quanto non aveva una grande disponibilità economica. Questa modalità gli ha permesso poi di attivare le sue risorse trovando un nuovo lavoro e riuscendo così a pagare le sedute proprio nel momento in cui il progetto con il pagamento misto era al termine.

 

Primi incontri

     Francesco ha gli occhi tra il verde e il castano, le palpebre appaiono leggermente abbassate, in particolar modo quella dell’occhio destro che sembra meno aperto. Ha le spalle larghe, è alto, una bella presenza, e a volte è più curato nel vestire, ad esempio indossa la giacca o mette il profumo. Il suo tono è pacato nel parlare, sommesso. Tende a rimanere a lungo su un argomento, in maniera ripetitiva e gli ambiti di argomentazione sono molto ristretti. Inizialmente l’emozione che lo animava di più era la rabbia, mista a disprezzo che manifestava con delle smorfie del viso all’altezza della bocca, nei confronti dei genitori, soprattutto il padre, e delle persone da cui si sentiva attaccato o ferito. I racconti della sua vita appaiono molto scarni, le esperienze limitate, circoscritte e dalle tinte negative.

     Francesco ha frequentato il liceo scientifico e si è iscritto all’Università in una facoltà scelta da lui. Arrivando circa a metà percorso con gli esami dati ha lasciato la facoltà 4 anni fuoricorso. Le difficoltà riguardavano la paura di non riuscire, rispetto agli esami da dare, alcuni non li superava, li rinviava. Ma soprattutto mi parla della pressione che sentiva da parte dei suoi genitori nel concludere il percorso, nel concretizzare dei risultati. Quando sono aumentate le tasse universitarie un ulteriore stato di ansia gli fa decidere di interrompere. Vive con i suoi genitori e la sorella più piccola. Con lei Francesco si confida, ha un rapporto molto stretto, e lei sembra difenderlo nelle discussioni familiari. La sorella più grande abita e lavora in Francia con il ragazzo, la sente più distante affettivamente, diversa da lui, la descrive come impegnata, la guarda con ammirazione per avercela fatta. In famiglia lavora solo la madre. E’ lei che sostiene la famiglia, non solo economicamente. La considera forte, che non si fa abbattere dalle difficoltà, andando avanti. Nella polarità opposta invece, quella del debole, se non addirittura del perdente, colloca il padre che descrive come testardo, ripetitivo, permaloso. E’ anche una persona pratica che interviene quando si rompono le cose. Ad eccezione di questo lato più concreto, Francesco sembra di identificarsi con lui.

     Il padre lavorava nella stessa azienda della madre, ma quando Francesco aveva circa 21 anni, il padre si è licenziato a causa delle numerose penali da pagare nel lavoro, diceva che non conveniva continuare. Da allora non ha più avuto un posto fisso e ha fatto dei lavori occasionali. Da quando ha circa 18 anni Francesco lavora (fa il portiere in un’agenzia che poi chiude, l’addetto ad un call center dove non riusciva a concludere molti contratti ed è andato via prima di essere licenziato) e non chiede più soldi ai suoi genitori.

     Quando arriva in studio mi parla di un corso di fotografia di cui stava seguendo il terzo modulo, che ha sostenuto lui stesso economicamente sia per la formazione che per l’acquisto dell’attrezzatura, nonostante sia un gran risparmiatore e abbia molte preoccupazioni rispetto al denaro. Dopo esperienze inconcluse, frustranti e insoddisfacenti quella della fotografia è una strada in cui Francesco si impegna, riesce a proseguire, appare determinato. Emerge una passione rispetto a questo ambito, una sua parte più vitale, tra l’ansia per la tecnica e la prestazione.

 

Cosa chiede

     Mi parla di una relazione con un amico ingombrante, dolorosa e ambivalente. Quando Francesco viene da me, ha interrotto da 5 mesi i contatti con lui, sebbene frequentassero degli amici in comune e in quelle occasioni continuassero a vedersi. Francesco dice anche di essere stato innamorato di questo ragazzo che però non ricambiava, essendo eterosessuale e fidanzato con una ragazza. Parla di un’amicizia diventata sempre più stretta e di una grande delusione. Coltivava molta rabbia, molto rancore. Diceva di invidiarlo perché “riesce a farsi scorrere le cose addosso” mentre lui non riesce a farlo. Gli sarebbe piaciuto farlo rispetto al rapporto con il padre che sente molto difficile. Dice del padre: “non dico che lo odio”. Francesco mi parla anche delle sue mani, a cui toglie, strappa, con le dita e con i denti, le pellicine delle unghie fino a farle sanguinare. Il medio e il pollice soprattutto. Sono gesti automatici che partono da un fastidio fisico ma li associa anche ad emozioni come la rabbia e la paura, o anche la noia. Le sue dita le definisce: “maltrattate, distrutte, disperate”.

 

La sua storia e i segni incisi

     Francesco nasce come secondogenito, 20 mesi dopo la prima sorella. Successivamente nascerà un’altra sorella, quando lui avrà 6 anni. È il primo maschio della famiglia del nonno paterno. Prima ci sono state solo figlie femmine. Prende così il nome del nonno. La gravidanza è andata bene, dice, la madre ha lavorato fino ai 7-8 mesi. Il parto avviene con 2 settimane di ritardo, ma mi segnala anche 10 mesi come periodo di gestazione. Emerge un oltre tempo, poco definito, ma sicuramente significativo nelle narrazioni che gli sono state fatte. Si tenta il parto naturale, ma dopo circa 20 ore di travaglio viene eseguito un parto cesareo. La complicazione del parto era determinata dalla presenza del cordone ombelicale intorno al collo, lui non respirava, era tutto nero, aveva bevuto molto liquido amniotico e non rispondeva agli stimoli. Nasce grande, di quasi 3,9 kg, cosa che, gli dicono, ha portato a far scoppiare le vene delle gambe della madre (questo problema della madre è durato per molto tempo e ha dovuto subire anche un’operazione). È dovuto stare in incubatrice, aveva degli spasmi e una gamba la teneva piegata. Racconta che i medici avevano poche speranze, tanto da aver suggerito ai genitori, molto cattolici, di battezzarlo in ospedale circa due settimane dopo la nascita. “Tutti erano convinti che non ce l’avrei mai fatta”. Il personale dell'ospedale pregava per lui. Gradualmente, gli spasmi si sono ridotti, il colorito è migliorato, sembrava stare meglio ed è uscito dall’ospedale circa 25 giorni dopo. Parte da piccolissimo, in aereo con i genitori, per essere ricoverato in un ospedale specializzato in neuropsichiatria infantile. Lì i medici riscontrano che non c’è nessun deficit, nessuna lesione riscontrata nelle indagini alla nascita. Gli stessi medici parlano di un miracolo che si unisce a quello di avercela fatta.

 

I segni incisi:

- Una gravidanza oltre i tempi, di almeno due settimane, e un periodo in incubatrice di circa 20 giorni, possono risuonare nei tempi di azione e di attivazione, nelle sue fasi di passaggio.                                              

 - Con il parto cesareo ha sperimentato una nascita repentina, senza passare con gradualità dal canale del parto, e questa esperienza può ritornare sempre nei momenti di passaggio (De Bonis, M.C., Pompei, M., 2015), in cui inizia delle nuove attività, in cui è chiamato a mettere in campo le sue risorse ma rischia di scoraggiarsi.

- Il racconto del miracolo di essere riuscito a sopravvivere non leggeva la sua forza interna, le sue potenzialità e rimandava un'immagine di fragilità e bisogno di un aiuto esterno, di essere appunto salvato da un miracolo.

- 3,8 kg alla nascita fanno pensare ad una buona densità, una energia di base, confermata poi dal graduale miglioramento del quadro clinico e dall’assenza di deficit riportati nonostante il rischio elevato di morte. Le sue risorse interne di resilienza si sono attivate. Vi è stato inoltre il supporto del campo esterno che è arrivato a più livelli, dall’incubatrice che gli garantiva un ambiente protetto e di sopravvivenza, dalla famiglia riunita, dalle preghiere e dalle cure del personale dell’ospedale.

- Nel suo racconto emerge un senso di colpa rispetto alle conseguenze che la madre ha avuto alle gambe durante il parto, per il fatto che lui fosse grosso. Porta su di sé il rischio di fare male, di provocare dei danni che può risuonare nelle azioni che porta avanti, limitando la sua iniziativa, la sua intraprendenza e appesantendo le sue possibili separazioni.

- Il cordone ombelicale intorno al collo e l’asfissia segnano ulteriormente e fortemente il suo primo passaggio alla vita che può essere richiamato negli ulteriori momenti di passaggio, di ingresso a nuove fasi di vita. L’asfissia si lega al rischio di morte, è la paura di non farcela di cui troviamo un esempio nel suo percorso universitario. 

     Il cordone ritorna negli impedimenti, imbrigliamenti in cui si sente in trappola, senza via d’uscita. Sono le situazioni in cui vorrebbe fare qualcosa e non sa come fare, in cui rimane bloccato accumulando molta rabbia. Il come di questa sua prima difficile separazione dalla madre, come evento fobico, ci parla inoltre di come può vivere le sue successive separazioni nelle relazioni, ad esempio con l’amico.

- Dopo 20 giorni dalla nascita la madre riesce a vederlo e lo allatterà al seno, prima si occupa di lui un’ostetrica. Nonostante siano passati 20 giorni questo fa pensare che ci sia potuto essere un buon attaccamento al seno e quindi la possibilità di un recupero all’interno della relazione con la madre, che conferma il processo di densificazione del Sé (Ferri, Cimini, 2012).

     I tempi di sviluppo appaiono regolari. Dice che dopo le prime analisi lui non ha più fatto ulteriori controlli. Lo accompagna tuttavia il pensiero che ci possa essere qualche conseguenza di quella sua precoce esperienza, e pensa a delle volte in cui nel parlare, ad esempio con suo padre, non riesce bene, si blocca, sbaglia a pronunciare delle parole. Racconta anche che dai 4-5 anni fino ai 10 ha avuto un rapporto particolare con un figlio di amici di famiglia. Questo rapporto si è interrotto dopo un litigio tra le famiglie. Francesco racconta che questo ragazzo, più grande di 9 anni, gli chiedeva di fare delle cose “disdicevoli”. Parla di contatti sessuali orali. Lui non capiva bene ma lo seguiva. Delle volte questo ragazzo si è spinto oltre, facendo anche la pipì nella sua bocca e Francesco è riuscito a dire di non volerlo e il ragazzo ha smesso. Un'amica al liceo è stata la prima con cui ne ha parlato, e con lei ha iniziato a dare un peso a quello che era successo.

     A 19 anni trova il coraggio per confidarsi con i suoi genitori. La loro risposta lo lascia nell’impotenza, dicono che non si poteva fare niente, che era passato tanto tempo. Sono ulteriori segni nel suo torace, già precocemente coinvolto nell’asfissia alla nascita. Non sono molti i racconti della sua infanzia. Parla di essere stato solo, di non aver avuto amici. Alle elementari aveva in classe un unico compagno con cui parlava ma che qualche anno dopo è andato via. C’era un “bulletto” che gli dava fastidio. Le maestre lo hanno fatto sedere accanto a lui “che tanto era buono, lo avrebbe educato”. Lo racconta con rabbia. Alle medie veniva preso molto in giro perché era “troppo buono” e non conosceva le parolacce. Solo nell’ultimo anno ha iniziato a rispondere.

     Al liceo lo scenario cambia. Se alla nascita c’era il miracolo, al liceo arriva quella che nella sua narrazione sembra essere la sua salvatrice: una sua compagna di scuola si accorge di lui, dei suoi occhi, gli fa dei complimenti, gli chiede di uscire con lei per la ricreazione. Da allora lei è diventata la sua migliore amica e gli ha permesso di inserirsi in un contesto sociale, in un gruppo di amici. È un gruppo accogliente, del quale lui può sentirsi parte, con loro si confronta, scopre delle cose di sé: racconta di aver preso coscienza della sua omosessualità proprio con alcuni di loro, intorno ai 17-18 anni. Il gruppo di amici appare un grande riferimento identitario e affettivo ma è allo stesso tempo un gruppo indifferenziato e Francesco sembra inglobato in esso. Si coinvolge molto rispetto alle varie vicende, ai conflitti che nascono, piange per delle liti nella chat di gruppo.

 

Progetto terapeutico

     Il progetto terapeutico per Francesco, riguarda la sua domanda implicita: ricollegarsi con le sue risorse integrando le sue fragilità, superare le situazioni in cui rimane bloccato e alleggerirsi rispetto alle pressioni e alla rabbia. Ha bisogno di essere poi accompagnato nel terzo campo, nel sociale. La relazione terapeutica è stata accogliente, di primo campo ma in grado di orientarlo anche, accompagnarlo ad affacciarsi con la sua soggettività e ad esprimere una sua posizione in cui possa definirsi rispetto agli altri, prendere distanza e muoversi nelle direzioni per lui buone e vitali.

 

I livelli corporei su cui lavorare:

- Occhi: rispetto alla possibilità di essere visto, iniziando a mettere gli occhi sulla sua storia, sulle cose che ci sono, le sue risorse. Questo gli permette di vedersi e di vedere meglio.

- Torace: rispetto alla possibilità di alleggerire quello spazio contratto, ferito, favorire il respiro, la vitalità che può passare nel suo petto, il sentirsi vivo.

Riguarda anche la percezione della sua forza e del suo valore. Torace altresì come capacità di agire, di fare e di rispondere agli eventi e agli altri.

- Collo: da sostenere insieme al torace per favorire la parte affermativa che vuole esprimersi, nella direzione di una verticalità nell’asse narcisistico.

       

     Parte del progetto terapeutico comprende la sua passione per la fotografia che recupera dall’infanzia. Francesco rafforza l’ocularità attraverso il suo interesse per la fotografia. E’ una direzione evolutiva che lo porta a salire dall’oralità verso la muscolarità, a dare sostegno ai muscoli oculari, agganciandosi quindi al primo livello corporeo. La macchina fotografica diventa come una protesi dei suoi occhi.

     Per fotografare Francesco va nel mondo, si muove e guarda alla ricerca di un punto fermo su cui fermarsi, far convergere i suoi occhi, mettere a fuoco. Le sue fotografie le abbiamo guardate insieme: raccordano le parti, il processo che si va dispiegando, in una sorta di rotazione degli occhi, che permette di allargare lo sguardo, di arricchire il mondo in cui vive. Le fotografie vengono stampate, incorniciate, fungono da compenso di una seduta e nella relazione terapeutica acquistano un valore e un riconoscimento; tutto questo lo aiuterà nell’iniziare a darselo da sé.

     Un acting che con Francesco abbiamo sperimentato è stato quello dell’io a mani piatte. Partendo dalla posizione di base sdraiato sul lettino con i piedi appoggiati sul materasso, si portano le braccia e le mani in alto e poi in basso fino a colpire il materasso, con i palmi. Mentre le braccia scendono giù pronuncia la parola io. Questo acting è stato pensato per reindirizzare la carica energetica a sostegno dell’io (Ferri, 2020), dando forza al torace, favorendo la sua affermatività. 

     Durante l’attivazione emerge un episodio di quando aveva 16 anni: racconta che piangendo diceva a suo padre che lui non gli voleva bene. Il padre gli risponde “tu non mi vuoi bene e mi dici che io non te ne voglio” e si allontana. La madre interviene dicendo “non è che tuo padre non ti vuole bene ma vuole insegnarti che il mondo è cattivo”. Questo ricordo compare quando prova ad alzare l’intensità nel tono e nel gesto. Mi racconta che aveva l’intento di rivolgersi contro le persone da cui doveva difendersi, che gli hanno fatto del male. Quando gli chiedo chi fossero risponde i suoi genitori che lo hanno ferito e non hanno creduto in lui.

     Quando era piccolo i suoi genitori non sono stati in grado di proteggerlo e di aiutarlo né sono riusciti a fare qualcosa quando era più grande. E’ rimasto schiacciato da un senso di impotenza, di passività, di rassegnazione. A quel ragazzo, parlando a se stesso, oggi lui direbbe, e ora può dire, che dentro di lui ci sono delle risorse, lui stesso deve attingervi, e ci sono anche altre persone a cui appoggiarsi. La rabbia si può così trasformare in un pianto lento e silenzioso ma denso. Quella rabbia che nasceva dalla sua ferita, rischiava di andare contro, rimanendo nell’insoddisfazione e nel conflitto, può così essere espressa e riorientata e trovare una forza più sua, interna, che gli può permettere quindi una nuova espressione, a favore. Il vissuto di rabbia non è più predominante e gli episodi in cui si feriva le mani si riducono nell’intensità e nella frequenza, diventando episodi davvero sporadici.

     Durante il percorso Francesco passa da un rapporto con il suo gruppo di amici, ampio e indistinto, a coltivare maggiormente dei rapporti più individuali: emergono i nomi degli amici, inizia a incontrare singolarmente questi amici, fino ad arrivare a prendere delle posizioni nuove nelle sue relazioni. L’amico di cui era innamorato smette di essere una presenza ingombrante e limitante. La paura di lasciare il gruppo e di tradirlo è forte, ma si può a poco a poco distanziare, iniziare a differenziare. Man mano che Francesco si definisce meglio nei rapporti, aumenta la sua presenza, può sperimentare altre distanze rispetto all’altro. Si sente anche più desideroso e capace di muoversi e il suo campo di vita e di azione si allarga. Aumenta la sua vitalità e la iniziativa. Inizia a viaggiare in più città d’Italia, ad andare a trovare degli amici. Fino a viaggiare anche per dei lavori inerenti alla fotografia, stando lontano da casa anche per mesi. In un movimento sempre maggiore di andata e ritorno in cui si può andare più distanti e tornare, tornare a sé, alla propria casa e alle proprie cose e accogliere quello che si è sperimentato fuori, come motore di ulteriori movimenti.

 

Img Arcidiacono albero compressedImg_Arcidiacono-Respira_questa_liberta_compressed.jpgDue fotografie

     Mi voglio concentrate adesso su due delle foto che Francesco mi ha portato e che hanno accompagnato il nostro lavoro insieme. Questa è la prima foto che Francesco mi porta quando abbiamo iniziato il percorso terapeutico.

FOTO DELL'ALBERO

     Mi racconta: “In mezzo alla villa c’era tanta gente. Ho trovato un angolino appartato in cui ho visto questo albero meno in evidenza di altri, tutto solo, e sono andato da lui. Per arrivarci ho dovuto attraversare un punto più selvaggio, dove non ero mai stato e dopo un po’ però mi sono fermato, non riuscivo ad andare oltre”. Cosa vede nella foto: “Raggiungere l’altezza per raggiungere il giusto nutrimento, il diritto a quella luce, respingendo le radici che erano di impedimento prima”. Il titolo che dà a questa foto è: “Libertà”.

     La seconda fotografia è l’ultima che mi porta, non più come modalità di pagamento, ma come un regalo, prima di un viaggio che vuole fare per cercare lavoro. Francesco mi dice che ha pensato a questa foto come a un compimento del percorso. Della foto mi dice che l’ha scattata in una spiaggia dove ha trascorso la sua infanzia, le sue estati, nella quale ha notato quel cartello che l’ha colpito molto, non lo aveva mai visto. Nel farla ha aspettato che l’uccello che girava nei dintorni si inserisse nell’inquadratura.

FOTO DELLA SPIAGGIA

     Il titolo scelto per questa foto è “Respira”. Mi dice che quando tutto intorno è caotico, movimentato, gli viene da chiudere gli occhi e ascoltare il respiro. Il respiro lo intende come il poter prendersi uno spazio per sé, e la parola libertà che compare sul cartello per lui è una libertà interiore. Sicuramente è un tornare a sé. La verticalità espressa nella prima immagine nell’albero la ritroviamo nel cartello della seconda. Ritorna anche il legame con il terreno che appare più disteso, meno caotico e indifferenziato. Lo spazio si allarga, c’è una maggiore profondità. C’è un qui, del cartello, e c’è  un là, un altrove, della piattaforma di massi sul mare, quasi una direzione. La visione è più ampia e nitida. Il nutrimento non è più la luce cercata con affanno dalle foglie ma è il respiro che può posarsi. L’albero rimane fermo, come il cartello ma c’è anche l’uccello che può iniziare a volare. Ad andare e tornare. Forse il cordone non stringe più come prima.

 

 

Bibliografia

 

De Bonis, M.C., Pompei, M. (2015) Come sarà il tuo bambino? Dal concepimento inizia a formarsi il carattere. Milano: Alpes.

Ferri, G. Cimini, G. (2012). Psicopatologia e carattere. L’Analisi Reichiana. La psicoanalisi nel corpo ed il corpo in psicoanalisi. Roma: Alpes.

Ferri, G. (2020). Il tempo nel corpo. Attivazioni Corporee in Psicoterapia. Roma: Alpes.

 

[*]Psicologa, psicoterapeuta S.I.A.R.  Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. Indirizzo professionale: via Domenico Scinà, 51, Palermo.

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