Hannah Arendt

La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme 

Feltrinelli, 2023

 

recensione a cura di Antonella Messina[*]

                                                                                                                                                                                                                                                                       

 

        Nel 1961, a Gerusalemme, seguii il processo Eichmann come corrispondente del The New Yorker, e fu sulle colonne di quel giornale che questo resoconto uscì per la prima volta, nel febbraio e nel marzo 1963. Esso fu poi ripubblicato, come libro, nel maggio 1963, in forma un po’ più ampia. La presente è una edizione riveduta e ulteriormente accresciuta.

Hannah Arendt Giugno 1964

 

 

la banalita del male buonoCopertina del libro "La banalità del male" di Hannah ArendtScelgo di scrivere la recensione di un libro pubblicato 62 anni fa. Il libro pone interrogativi sulla crudeltà, sul male, sulla capacità di vedere l’Altro, sulla relazione con l’autorità riconosciuta e sulle leggi. Ci pare un modo di raccontare la faticosa ricerca attuale ed il tentativo di far dialogare tra loro psicologia, leggi, etica, responsabilità.

 «Eichmann[1] alla polizia e alla Corte disse e ripeté di aver fatto il suo dovere, di aver obbedito non soltanto a ordini, ma anche alla legge. (...). Eichmann, con le sue doti mentali piuttosto modeste, era certamente l’ultimo, nell’aula del tribunale, da cui ci si potesse attendere che contestasse queste idee e impostasse in altro modo la propria difesa. Oltre ad aver fatto quello che a suo giudizio era il dovere di un cittadino ligio alla legge, egli aveva anche agito in base a ordini – preoccupandosi sempre di essere “coperto” – e perciò ora si smarrì completamente e finì con l’insistere alternativamente sui pregi e sui difetti dell’obbedienza cieca, ossia dell’“obbedienza cadaverica”, Kadavergehorsam, come la chiamava lui» (Arendt, pp.142-143).

«Eichmann aveva sempre sostenuto di essere colpevole soltanto di avere “aiutato” e “favorito” i delitti di cui era accusato, e di non aver mai commesso personalmente un omicidio. La sentenza, con suo gran sollievo, in un certo senso riconobbe che l’accusa non era riuscita a dimostrare il contrario.

E a questo proposito, le cose dette nella sentenza erano più che esatte, erano la verità: “Se volessimo descrivere la sua attività con i termini usati nella sezione 23 del nostro codice penale, dovremmo dire che essa fu principalmente quella di una persona che incoraggiava altri con consigli o suggerimenti, e di una persona che permetteva ad altri di agire o li aiutava”» (Arendt, pp.253-254).

Egli, secondo la Arendt, organizzò azioni orribili, mantenendo un superficiale distacco dalla realtà malvagia dei suoi atti, a causa della sua “inabilità a pensare dal punto di vista di qualcun altro”. Mancando di questa particolare abilità viveva dentro una superficialità banale.

Secondo la Arendt il male non è mai radicale, ma soltanto estremo, può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo, invisibile alle barriere del senso critico. Questa è la sua banalità.

Il male banale, secondo Hannah Arendt, diventa addirittura più pericoloso del male agito da un male consapevole e radicale. Il male agito da chi consapevolmente lo sceglie e ne determina l’applicazione può essere incarnato in un individuo che per sete di potere, ambizioni, insoddisfazione, sceglie consapevolmente di compiere azioni malvage per seguire le sue necessità psicologiche. Il male banale, al contrario, richiede semplicemente la cieca obbedienza, nella sua superficialità e deresponsabilizzazione di chi lo ripete, può essere eseguito da molti più individui che assumono il ruolo di una rotella che permette alla macchina di funzionare.

Per la Arendt solo il bene è profondo e può essere radicale.

 

[1]      Adolf Eichmann fu uno dei principali responsabili della deportazione degli Ebrei di tutta Europa durante l’Olocausto. Divenne direttore del dipartimento incaricato delle deportazioni e di altre “questioni ebraiche”. In questa nuova posizione, Eichmann divenne una figura centrale nella deportazione di oltre un milione e mezzo di Ebrei europei verso i centri di sterminio della Polonia e della parte di Unione Sovietica occupata dai Tedeschi. Nel gennaio 1942, Eichmann partecipò alla Conferenza di Wannsee durante la quale venne pianificata la totale eliminazione degli Ebrei europei. Eichmann e il suo staff organizzarono la deportazione di centinaia di migliaia di Ebrei dalla Slovacchia, l’Olanda, la Francia e il Belgio. Nel 1943 e nel 1944, essi pianificarono poi la deportazione degli Ebrei dalla Grecia, dal Nord Italia e dall’Ungheria.Dalla fine di aprile 1944 fino all’inizio di Luglio dello stesso anno, Eichmann e i suoi collaboratori diressero la deportazione, nei centri di sterminio, di circa 440.000 Ebrei ungheresi. Tratto da Enciclopedia dell’Olocausto

 

[*]Psicologa, Psicoterapeuta, Analista S.I.A.R. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. Studio professionale: Via Cuturi, 8. Catania.

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