CORPO SIMBOLO E IMMAGINARIO

Un intervento integrato con l’Arteterapia

BODY SYMBOL AND IMAGERY

An intervention integrated with Art Therapy

 

Eleonora Tabarrini[*]

 

Abstract

     In questo articolo si cerca di indagare in che modo l’arteterapia può funzionare come strumento terapeutico e analitico mirato e specifico. Saranno esposti i legami tra i processi espressivo-artistici e i processi psichici, corporei e mentali, evidenziando come esistano delle connessioni tra centro e periferia del sistema Sé che coinvolgono l’immaginario e la rappresentazione corticale. Esempi di interventi arteterapeutici verranno illustrati, con particolare riferimento al concetto di densità, mutuato dalla Analisi Reichiana Contemporanea.  

 

Parole chiave

     arteterapia - psicoterapia analitica reichiana - psicoterapia corporea, terapia immaginativa – simbolo – archetipo – psicofisiologia.

 

Abstract

     In this work we describe how art therapy may specifically operate from the analytical and therapeutic point of view. We will analyse connections between expression, artistic processes, psyche, body and mind, finding out bottom-up and top-down relations that involve imagination and cortical representations. Some art therapy works will be presented, particularly referring to density concept, as described from the Contemporary Reichian Analysis.

 

Key words

     art therapy - reichian analytical psychotherapy - body psychotherapy - imaginative therapy – symbol – archetype – psychophysiology.

 

 

     La relazione psiche-soma viene descritta da Reich negli anni ‘30 attraverso il concetto di identità funzionale. La contrattura muscolare era da lui vista come funzionalmente equivalente alla rimozione psichica; questa formulazione rivoluzionò il modo di intendere la terapia psicanalitica, introducendo la dimensione del corpo e dando valore non solo al cosa del contenuto verbale e delle associazioni ma anche, e soprattutto, al come del corpo e della sua espressività:il rigore muscolare e la rigidità psichica insieme costituiscono una unità, cioè sono segni di un disturbo della mobilità vegetativa di tutto il sistema biologico(Reich, 1933).

     Secondo questo modello, ciò che a livello biologico si manifesta come contrazione e simpaticotonia, viene percepito a livello psichico come angoscia, paura, dolore, chiusura, ritiro dal mondo; viceversa, ciò che a livello biologico si manifesta come espansione e vagotonia, viene percepito come piacere, rilassamento, movimento positivo verso il mondo, verso il contatto. Reich aveva costruito un modello unificante che connetteva in maniera semplice e chiara il livello biologico-chimico con quello psicologico, pervenendo al concetto di carattere.

IMG tabarriniFigura 1     Oggi, in Analisi Reichiana Contemporanea, parliamo di Mente Enattiva di Tratto che integra il livello corporeo, la fase evolutiva e il tratto caratteriale, introduce inoltre il tempo soggettivo, collocando il corpo in una terza dimensione che unisce il dove del corpo al come relazionale e al quando ontogenetico. (Ferri, 2020).

     La fruizione e la produzione di un’opera d’arte o di un prodotto artistico sono atti a mediazione corporea; possiamo ipotizzare che entrambi passino per una sorta di decodificazione imitativa, a partenza periferica, che coinvolga i neuroni specchio a livello centrale e che generi un particolare vissuto emotivo che potremmo definire come esperienza estetica. (Ruggieri, 1997).

     Il processo genererebbe cioè attivazioni fisiologiche e tensive che possono essere esperite come piacevoli o spiacevoli, seguendo la legge tensione, carica, distensione, scarica descritta da Reich come la formula fondamentale della vita e dell’energia vitale e sessuale.

     Sempre Ruggieri ipotizza che esista un rapporto di circolarità tra periferia corporea e rappresentazioni corticali, di modo che l’una (tensioni ed attività dei muscoli) modifichi le altre (processi cognitivi, emotivi, immaginativi) e viceversa. In diversi esperimenti egli indaga le relazioni tra percezione, immaginazione e azione e giunge alla conclusione che i processi percettivi e immaginativi convergano sulla medesima rappresentazione corticale la quale, a sua volta, regolerebbe il funzionamento dell’individuo a diversi livelli funzionali, attivando pattern di risposta gerarchizzati dal biologico al cognitivo. Ogni esperienza, dunque, confluisce in una rappresentazione corticale (bottom-up) che a sua volta regola e modula il funzionamento e l’attività a livello corporeo (top-down) (Ruggieri, 2011).

IMG tabarrini 15Figura 2     Entriamo così, attraverso le rappresentazioni, nel mondo delle immagini. La capacità di produrre immagini attraverso l’arte, i sogni, l’immaginazione, il mito, la religione, è qualcosa di profondamente connaturato nell’uomo e si perde nella notte dei tempi della sua storia, costeggiando e costellando l’origine e lo sviluppo della sua coscienza. “Mai l’umanità ha mancato di immagini potenti, apportatrici di magica protezione contro la paurosa realtà delle profondità psichiche; le forme dell’inconscio furono sempre espresse mediante immagini protettrici e guaritrici e in tal modo ricacciate nello spazio cosmico, ultrapsichico.” (Jung, 1954). Spesso si considera la produzione immaginale come qualcosa di completamente distante e distinto dai sensi e dai processi corporei, operando, di fatto la solita scissione mente-corpo. Eppure già Jaspers postulava che ci fosse un continuum tra percezione e immaginazione e Jung stesso ancorava il suo concetto di immagine archetipica ad un substrato filogenetico e istintuale che, attraverso l’immagine, avrebbe attivato modifiche del vissuto e del comportamento dell’individuo, indirizzandolo.

     Jung definì l’archetipo come “immagine primordiale”, “simbolo naturale”, “forma preesistente” e l’inconscio collettivo come una parte della psiche che, a differenza dell’inconscio personale, non deve la sua esistenza alle esperienze del singolo individuo, alla sua storia, ma è ereditato; è un substrato impersonale, transpersonale, filogenetico. Esso è composto di “forme determinate che sembrano essere presenti sempre ed ovunque”, a prescindere dall’età, la cultura, la collocazione geografica, l’era storica. Esse si manifestano nei sogni, nell’immaginazione attiva e, a livello collettivo, si concretizzano nei miti, nelle fiabe, nelle religioni e nelle opere d’arte; la capacità istintiva di produrre tali specifiche rappresentazioni (e non l’immagine stessa) viene definita archetipo. “Nell’esperienza pratica gli archetipi appaiono contemporaneamente come immagini e emozioni. Si può parlare di archetipi solo quando questi due aspetti si manifestano simultaneamente. […] quando è implicata l’emozione, l’immagine acquista un carattere numinoso (o un’energia psichica): essa diventa dinamica e deve produrre conseguenze di qualche rilievo” (Jung, 1953).

IMG tabarrini 1Figura 3     Gli archetipi, secondo la teoria junghiana, hanno una funzione di compensazione della parzialità dell’Io, e di integrazione degli opposti nella psiche dell’individuo: sono una sorta di coping ontogenetico che attinge all’esperienza filogenetica mediante la produzione di immagini e, contemporaneamente, attraverso un’attivazione fisiologica ed emotiva.Tali modificazioni psicofisiologiche elicitate dall’esposizione a immagini, sono state documentate in uno studio pilota che ha dimostrato come le risposte fisiologiche si differenzino significativamente tra soggetti esposti a immagini archetipiche e immagini che non lo sono (Tabarrini, 2006). Nello specifico: le immagini non archetipiche producevano un innalzamento temporaneo del battito cardiaco e della conduttanza cutanea che poi sfociava in un rapido adattamento e abbassamento di entrambi i parametri a livello della baseline; le immagini archetipiche, invece, producevano un abbassamento del battito cardiaco e un innalzamento del riflesso psicogalvanico pressoché costante per tutti i tre minuti di esposizione. Questi due parametri, così associati, sono la base del cosiddetto riflesso di orientamento che si attiva quando un soggetto è esposto a stimoli improvvisi e ignoti (Sokolov, 1963 e Barry, 1982 citati da Ruggieri, 1988). Questo sembrerebbe confermare la funzione di orientamento che Jung attribuiva all’archetipo.

     L’immaginario dunque, come il corpo, si configura come elemento terzo che è in grado di modificare la rappresentazione corticale e, a cascata, il funzionamento dell’individuo nei vari livelli della Mente Enattiva. Non tutte le immagini hanno la stessa capacità trasformativa, le immagini simboliche e le immagini archetipiche sono spesso molto potenti poiché attingono direttamente all’inconscio personale e all’inconscio collettivo e attivano processi trasformativi im-mediati, non mediati. Possiamo pensare al simbolo come ad una rappresentazione ad elevata complessità che raccoglie e rimanda ad un’ampia varietà di eventi psicologici, corporei, identitari e relazionali. Il simbolo si caratterizza per la sua ambiguità, per il fatto che allude ad un complesso di significati plurimi e utilizza un linguaggio analogico. Esso esprime una totalità e, in quanto tale, è spesso paradossale in quanto congiunge concetti opposti. “I simboli sono tentativi naturali di riconciliare e di riunire gli opposti all’interno della psiche” (Jung, 1953).

 

Esempi di lavoro arteterapeutico sul concetto di Densità

IMG tabarrini 2Figura 4     L’Analisi Reichiana Contemporanea considera la fase intrauterina (che ha inizio con la fecondazione e termina con il parto) di fondamentale importanza per lo sviluppo psicopatologico della persona. È in questa fase che si determina la densità del Sé, ossia la sua carica vitale di base, che è il prodotto della luminazione della coppia al momento della fecondazione e della qualità/quantità delle prime interazioni relazionali tra embrione-feto e madre-utero nella fase intrauterina. È dalla densità di base (bassissima, bassa, alta, eccessiva) che dipendono la strutturazione e la resilienza del Sé che imprinteranno le esperienze evolutive e le relazioni future.

IMG tabarrini 3Figura 5     Tra le patologie da difetto di densità troviamo Disturbo Borderline di Personalità e alcuni tipi di Depressione Maggiore. Uno dei lavori arteterapeutici che si può attivare, attraverso l’utilizzo della creta (o Das o plastilina) è il passaggio dalla dimensione orizzontale alla dimensione verticale. Spesso, quando propongo di realizzare una figura umana, la maggior parte dei pazienti tende a produrre una figura in due dimensioni, aderente alla base di lavoro; nel caso ci siano patologie a bassa densità, è molto utile implementare la trasformazione di questi manufatti al fine di pervenire alla figura verticale. Secondo l’Analisi Reichiana Contemporanea, il passaggio alla stazione eretta, avviene nella fase muscolare e porta con sé la possibilità della manipolazione dell’ambiente e della convergenza oculare che consente la visione della profondità. È sempre in questa fase che, attraverso l’esercizio ed il controllo della muscolatura piramidale volontaria, il bambino acquisisce nuove competenze ed entra in relazione con l’Altro da Sé. Si forma un Io più autonomo ed autocosciente, anche attraverso un’autorappresentazione in cui compare la terza dimensione e l’alternanza della figura-sfondo che forniscono l’accesso ad un pensiero più evoluto e al linguaggio verbale. Nel percorso arteterapeutico dalla orizzontalità alla verticalità, si narra e si trasforma in vivo la storia della persona, con la possibilità di intervenire e ristrutturare i passaggi in senso più funzionale e eutonico, migliorando la condizione psichica del paziente.

IMG tabarrini 4Figura 6      Nelle figure, vediamo il prodotto finale di due pazienti con diagnosi rispettivamente di Depressione Maggiore (Fig.1) e Disturbo Borderline di Personalità (Fig.2). 

In alcune patologie a bassa densità si manifesta un’espressività che eccede in densità (di tratto, di colore di quantità di materiale impiegato, di intensità), in linea con quanto sopra detto riguardo la bipolarità del simbolo, in cui è vera una cosa ma anche il suo contrario. Il lavoro in questi casi è quello di integrare e modulare questi eccessi, spesso lavorando con i tratti di copertura che vanno a compensare la bassa densità soggiacente.

IMG tabarrini 5Figura 7     Nei lavori che seguono, è stato utilizzato il disegno, lasciando libero il soggetto di scegliere quale tipo di tecnica utilizzare (pastello, spirito, acquerello, tempera, cera). La paziente è una ragazzina di 13 anni, che chiameremo Nina, con un tratto di copertura isterico e dei tratti borderline sottostanti. Si può vedere nella figura 3, l’espressione del suo tratto isterico e della sua dimensione fobica che erano, per così dire, lo strato di superficie e di adattamento che emergevano a livello sintomatologico e caratteriale. Sceglie di utilizzare i pastelli, nella prima fase della terapia, un medium “leggero e di superficie”, al pari dell’acquerello; il disegno è a-contestualizzato, espressione che troviamo frequentemente nei disegni e nell’immaginario di persone con tratti fobici e/o dissociativi; il contenuto del disegno è abbastanza esplicito rispetto ai temi di controllo e di allarme e ai tratti isterici (non solo per la dimensione del disegno rispetto al foglio e la grande pupilla ma anche per la policromia dell’iride).

IMG tabarrini 6Figura 8     Con il progredire della terapia, la ragazza contatta e manifesta l’emersione delle sue parti a bassa densità: manifesta parti rabbiose e oppositivo-provocatorie in maniera più aperta e getta, per così dire, la maschera di estrema compiacenza e superficialità che sembrava contraddistinguerla.  Come si può osservare nelle figure 4 e 5, la scelta della tempera, la modalità estremamente carica e densa sia a livello quantitativo (tantissimo colore utilizzato) che qualitativo (il riempimento di tutto lo spazio e il debordare dal foglio), il tratto pesante e incidente il foglio, segnano questo passaggio.

     Ad una lettura frettolosa, si potrebbe vedere in questo un peggioramento delle condizioni della ragazza, in realtà questa fase è stata determinate per poter lavorare sulle aree più profonde e fragili della sua personalità e trasformarle.

IMG tabarrini 7Figura 9     Le figure 6 e 7 testimoniano il progressivo alleggerimento dell’uso del colore (sia nelle cromie che nella quantità) e della densità eccessiva che va di pari passo con la maggiore strutturazione del Sé della ragazza e il miglioramento delle sue condizioni. In particolare, in figura 7, si raggiunge un’integrazione dei tratti isterici e un contatto con vissuti abbandonici-orali di fondo, come si può vedere dal diverso uso della policromia e dall’utilizzo del nero, contenuto nella forma “identitaria” della propria mano.

IMG tabarrini 8Figura 10     Parlando invece di densità medio-alta, ci spostiamo nell’area più francamente nevrotica. Ad esempio, nella nevrosi ossessiva c’è una grande quantità di energia che viene bloccata e coartata in una armatura muscolare (contrazioni e contratture croniche).

     I disegni che seguono sono parte del lavoro arteterapeutico con una bambina di 11 anni, che chiameremo Stella, con un quadro di DOC molto grave, in trattamento farmacologico e con un ricovero alle spalle. Nei momenti di crisi più acuta, la bambina non riusciva nemmeno a muoversi dalla stanza per paura che il suo corpo si spezzasse e una parte rimanesse nella stanza mentre l’altra se ne andasse. Il quadro clinico sfociava in fortissime fobie di contatto ed era presente un trauma di natura sessuale che acuiva alcuni aspetti dissociativi presenti solitamente anche nelle nevrosi ossessive.

IMG tabarrini 9Figura 11     Come si può osservare dalla figura 8, abbiamo il foglio diviso in due, la scelta del colore a spirito ad alta densità e saturazione, la presenza di pattern decontestualizzati e giustapposti. Il disegno esprime perfettamente tutti gli elementi del quadro sopra esposto.

     Il lavoro, in questo caso, è stato quello di pervenire alla diluizione e desaturazione del colore attraverso la modulazione delle tensioni in eccesso e, contemporaneamente, favorire la comparsa del contesto che, in chiave psicodinamica, ha costellato l’elaborazione del trauma e il riprendere contatto con il proprio corpo e i propri vissuti, integrandoli.

IMG tabarrini 10Figura 12     Le figura 9 e 10 mostrano il progressivo desaturare del colore, mentre le figure 10, 11 e 12 illustrano il lavoro di integrazione dei concetti opposti di potere (agito sadicamente dalla bambina sul contesto familiare) e impotenza (quando era preda delle crisi e delle angosce di contatto). Nel disegno 12, la bambina ha trovato il modo di mettere insieme gli aspetti positivi che i disegni 10 e 11 le suscitavano, contestualizzando, parcellizzando e confinando il potere sadico assoluto e illimitato con le linee flessibili e nette del senso di impotenza; la sua angoscia e la sua impotenza erano quindi esperite come una risorsa che poteva essere utilizzata in compensazione e modulazione dei tratti di controllo.

     Nella figura 13, possiamo apprezzare il notevole cambiamento nello stile espressivo della bambina in una fase finale della terapia: il colore ha un’altra densità e un’altra saturazione, gli elementi fanno parte di un tutto che può essere esperito come una scena e non sono più semplicemente giustapposti, l’aspetto ossessivo (il muro con i pattern ripetuti), se pur presente, è meno soverchiante e parte di un tutto in definitiva armonico.

IMG tabarrini 11Figura 13     In tutti gli interventi illustrati, al lavoro arteterapeutico è stato affiancato il lavoro corporeo con acting di VegetoTerapia mirati. Ad esempio, nel caso di Nina, il lavoro preminente è stato sugli occhi (Punto Fisso Luminoso e Naso-Cielo con luce fissa); nel caso di Stella, invece, si è lavorato principalmente a livello del torace e del collo (Apro e Chiudo e “No” e Collo).

     Dagli esempi sopra esposti, si può dunque constatare come il lavoro terapeutico con le immagini mentali e simboliche, attraverso la terapia immaginativa, l’arteterapia, la play therapy, può produrre una manipolazione di queste rappresentazioni interne che, evolvendo e trasformandosi, modificherà circolarmente le strutture corporee e le organizzazioni psicologico-caratteriali che le producono e sostanziano.

     L’arte e l’immaginario, così come il corpo, possono essere dunque una terza dimensione, un medium che dà forma e trasforma la mente di tratto, creando rappresentazioni alternative, più funzionali e integrate. In questo senso l’arteterapia acquisisce la dignità e la funzione di strumento terapeutico e analitico, uscendo dall’area occupazionale e aspecifica dove, in alcuni contesti, è ancora relegata.

 

 

BIBLIOGRAFIA

Caboara, Luzzatto P. (2009), Arte Terapia. Cittadella Editrice.

Castellazzi, V.L. (2003), Il Test del Disegno della Figura Umana. Roma: LAS.

Ferri, G., Cimini G., Psicopatologia e Carattere, Roma, Alpes, 2012

Ferri G., (2017), Il Corpo sa., Roma: Alpes.

Ferri, G. (2020), Il tempo nel Corpo. Roma: Alpes.

Grignoli, G. (2008), Percorsi trasformativi in arte terapia. Franco Angeli Editore.

Jung, C.G. et al. (1967), L’uomo e i suoi simboli. Milano: Longanesi & C..

Jung, C.G., (1934/1954) Gli Archetipi e l’Inconscio Collettivo, Opere, vol. 9 tomo 1, Bollati Boringhieri, 2008

Porges, S.W., Dana D. (2018), Le Applicazioni Cliniche della Teoria Polivagale. Roma: Giovanni Fioriti Editore.

Reich, W., (1933) Analisi del Carattere. Gallarate: Sugarco Edizioni.

Reich, W., (1942) La Funzione dell’Orgasmo. Milano: Il Saggiatore. 2016

Ruggieri, V, (1988) Mente Corpo Malattia. Il pensiero Scientifico Editore.

Ruggieri, V., (1997) L’esperienza Estetica. Armando Editore.

Ruggieri, V, & Coll. (2011), Struttura dell’Io tra Soggettività e Fisiologia Corporea. Edizioni Universitarie Romane.

Tabarrini, E., Aspetti psicofisiologici dell’immagine archetipica, Arti Terapie, n°1/2, 2006 Widmann C., Le Terapie Immaginative, Edizioni Scientifiche Ma.Gi, Roma, 2004.

[*] Eleonora Tabarrini Psicologa, Psicoterapeuta, Analista Reichiana, Arteterapeuta Via Flaminia 19, Roma Largo Cavour 10, Civita Castellana (VT)

Share