Numero 2/2023

La vegetoterapia per superare la depressione post-partum

Rosa Dolce*

Agosto 2009: a Genova una madre di 35 anni, disoccupata e ragazza madre, uccide il figlio neonato e poi si toglie la vita. La donna soffriva di crisi depressive (www.repubblica.it).

Febbraio 2016: a Cosenza una biologa di 37 anni uccide la figlia di 7 mesi perché "piangeva e si lamentava" e poi ha tentato il suicidio.

Febbraio 2016: in Italia una donna romena di 27 anni uccide il figlio appena nato, notando in lui una somiglianza con l'amante. Sembra soffrisse di una forte depressione (www.Il messaggero.it).

Com’è possibile che una mamma uccida il proprio bambino? E’ questa la domanda spontanea che tutti ci facciamo quando ascoltiamo dalla cronaca questi tristissimi eventi.

 

I casi che hanno un epilogo così tragico sono fortunatamente rari; infatti la depressione post-partum ha vari gradi di gravità. In Italia si può stimare che su 576.659 nascite all’anno, almeno 46.000 donne possono soffrire di depressione post-partum (dati istat 2008 dal sito del Ministero della Salute). Con un’aggravante: solo 1 donna depressa su 4 è in grado di chiedere aiuto. Questo significa che ogni anno tantissime mamme affrontano da sole la depressione post-partum, spesso senza trovare un sostegno valido ne’ negli operatori alla nascita, né nei propri familiari.

 

La risposta alla precedente domanda, però, non è poi tanto difficile da trovare: si tratta di sofferenza umana, di fragilità umana, quella di una madre.

 

Una fragilità che può essere riconosciuta dai medici, dagli psicologi, dalle ostetriche, e da tutti gli operatori alla nascita, i quali possono utilizzare specifiche modalità relazionali e specifici strumenti operativi perché questa fragilità non diventi disperazione inascoltata.

L’importanza della prevenzione alla depressione post-partum

Interessarci alla prevenzione alla depressione post-partum significa principalmente occuparci della salute psicofisica della mamma e di diretta conseguenza della salute psicofisica del suo bambino.

Le emozioni percepite dal bambino si sviluppano positivamente se c’è nella sua vita una relazione positiva con le sue figure significative di riferimento, prime fra tutte la mamma. E ciò favorisce lo sviluppo di una sana personalità del bambino. E’ grazie ad un ambiente basato sull’affidabilità e su un adeguato adattamento sano della madre ai suoi bisogni che il piccolo svilupperà un senso di sé positivo (Winnicott, trad. 1987).

Perché ciò avvenga occorre che la madre sia sufficientemente buona (Winnicott, trad. 1989), ovvero che reagisca in maniera sensibile ai segnali del suo bambino e fornisca, quindi, uno spazio per giocare e per comunicare in maniera creativa e un ambiente di contenimento sicuro. Il bambino ha bisogno di sentire che la sua figura di riferimento principale è stabile e affidabile.

Una madre presa dalla sua tristezza, dalla sua depressione, non riesce a rispondere in maniera pronta alle esigenze del suo bambino, a instaurare un’interazione gioiosa e a stimolarlo adeguatamente. Avrà difficoltà a seguire i bisogni evolutivi del bambino. E questo può influenzare il suo sviluppo cognitivo ed emotivo.

Prevenire la depressione post-partum significa seguire ed osservare con attenzione la donna durante la sua gravidanza. Accade spesso che già in gravidanza si manifestino dei sintomi che ci possano far sospettare una futura sofferenza depressiva nel post-partum. Per esempio quando la donna vive la gravidanza come fortemente limitativa, quasi paralizzante, soprattutto nell’ultimo trimestre, quando è costretta a rallentare notevolmente i suoi ritmi e le sue attività.

Il disturbo depressivo e la depressione post-partum

La depressione post-partum è un tipo particolare del più generale disturbo depressivo.

Che cos’è un disturbo depressivo? Il disturbo depressivo maggiore, MDD (Major depressive disorder, chiamato anche depressione clinica, depressione endogena) è un disturbo dell'umore, caratterizzato da episodi di umore depresso, accompagnati principalmente da una bassa autostima e perdita di interesse o piacere nelle attività normalmente piacevoli. La persona depressa si sente scoraggiata, delusa, annoiata, triste, pessimista, scontenta, nervosa, irritabile. Spesso vive un angoscioso ritiro sociale, coartata nella solitudine e nell’abbandono; lamentosa, non mostra di avere stima di se stessa, è sempre inquieta; non vede futuro davanti a sé o questo non riserva niente di positivo, così come il mondo in cui vive” (Ferri, 2012, p. 161). “Normalmente non ha appetito; il cibo ha perso di sapore; la sessualità non la interessa; vive un’insonnia ostinata o un’ipersonnia quasi ogni giorno, priva di energia la sua esistenza è un grigiore costante. La pena si coniuga ad un inaridimento degli affetti e all’incapacità di trovare risonanza emotiva anche con i familiari” (ibidem, p. 162).

Questo gruppo di sintomi è stato identificato, descritto e classificato come uno dei disturbi dell'umore nel manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM) edito dall'American Psychiatric Association. (APA)

Noi post-reichiani sottolineiamo la depressione come un disturbo caratterizzato da un abbassamento quantitativo del livello di energia dell’organismo (Backer, 1978).

La persona si trova ad avere una quantità energetica del suo organismo inferiore rispetto a quella che aveva precedentemente. Non ha più quantità sufficiente di energia per relazionarsi alla vita. E questa diminuzione quantitativa si manifesta anche negli aspetti qualitativi della sua vita.

Ma qual è la sua origine?

Per noi esistono 2 possibili origini della depressione:

1. Il disturbo depressivo maggiore, che si origina nella fase intrauterina (disturbo depressivo di prima grande bocca). Ovvero, durante il periodo della gravidanza, dal concepimento alla nascita, si è verificato uno o più eventi, per i quali c’è stato un abbassamento della relazione energetico/affettiva fra madre e utero, un evento che madre e feto vivono come un allarme e che produce un attaccamento maggiore del feto alla mamma. La conseguenza è che quel feto non si sentirà mai pronto a separarsi funzionalmente dalla mamma, anche se il tempo della gravidanza è a termine. Deve necessariamente rimuovere la paura, il furore e la protesta provocati dalla nascita (separazione) per lui troppo precoce (Ferri, 2012, pp. 166-167)

La depressione, che ha origine in questo tempo intrauterino, è la più grave e può accadere che la depressione post-partum di una donna possa agganciarsi ad una preesistente depressione anche mai manifestata.

2. l’altra possibile origine della depressione deriva da problematiche di natura relazionale con la prima persona significativa della propria vita, avvenute nel periodo dopo il parto, il periodo che va dall’allattamento allo svezzamento, nella fase oro-labiale. Il disturbo depressivo oro-labiale è meno grave del primo, perché il bambino ha più strumenti, rispetto al feto, per la propria sopravvivenza.

Si origina da una carenza di nutrimento, non solo nutrimento fisico, ma anche nutrimento di calore, di sostegno, di presenza sufficiente per quel bambino.

Quel bambino deprivato, da adulto, starà o nello stato di richiesta perenne, perché ha avuto troppo poco in quel periodo dopo la nascita (affetto, calore, sostegno, nutrimento insufficienti) e continua a chiederli per tutta la vita (blocco orale insoddisfatto) oppure reagirà a quella carenza con una rimozione chiedendo più energia alla fase successiva, quella muscolare, per coprire il vuoto affettivo (blocco orale rimosso) e quindi una persona che chiede tanto a se stessa (Ibidem, pp.164-165).

Se la depressione è una caduta energetica dell’intera persona, la depressione post-partum è un tipo particolare di caduta energetica: è una diminuzione oggettiva, quantitativa di energia perché prima, con la gravidanza, c’è un sistema madre/feto; dopo la nascita nell’organismo della donna c’è solo lei mentre il bambino è fuori. Quindi l’energia data dal sistema è cambiato, tanto che la donna la può percepire come una assenza. Se la mamma non riesce in breve tempo a sentire che il sistema relazionale con il suo bambino (che sta fuori) si è modificato rispetto al tempo della gravidanza, potrà avere la percezione di una caduta energetica. Percepirà il suo utero vuoto.

I sintomi della depressione post-partum non sono molto diversi da quelli della depressione comune. Ma a quelli si aggiungono quelli specifici legati alla relazione con il proprio bambino, come il sentimento di incapacità ad alimentare, a cambiare e a prendersi cura di lui.

Birth of St John the Baptist by Ghirlandaio,Ghirlandaio, Birth of St. John the Baptist

La diagnosi

Che cosa fare se ci troviamo di fronte ad una donna che ha partorito e che ci dice “sono depressa”? che denuncia sintomi depressivi?

Prima di tutto dovremo capire il livello di gravità della sua depressione. Faremo una diagnosi che deriverà dall’incrocio di 4 letture:

  1. la lettura che deriva dall’osservazione del comportamento della donna: osserveremo i sintomi, se sono più o meno invalidanti rispetto al prendersi cura del suo bambino, per esempio se sono presenti per tutto il giorno o intermittenti; se ci troviamo di fronte ad una madre triste, nostalgica, malinconica, che racconta delle sue difficoltà, ma anche del suo amore per il suo bambino o se è principalmente concentrata sul suo malessere; se ha desiderio di riprendere in mano la sua vita o meno;
  2. una lettura che deriva dall’anamnesi della storia recente della donna, ovvero delle sue relazioni attuali. Questo ci fa capire se è in un ambiente favorevole, di sostegno, amorevole, oppure in un sistema sfavorevole, castrante, opprimente.
  3. una lettura che deriva dall’anamnesi remota della donna, ovvero la ricostruzione della storia della donna/madre, per conoscere la relazione avuta con la propria madre perché spesso c’è un rispecchiamento. Se la storia della donna presenta degli eventi che ci parlano di una caduta affettiva sarà importante collocarli temporalmente o nel suo intrauterino (quando la donna era feto) o nel suo post-partum, perché questo ci permetterà di fare una diagnosi differenziale fra una depressione più o meno grave. Valuteremo se la donna ha nella sua storia recente e passata altre esperienze di depressione; se c’è stata nella sua storia una cura di depressione con antidepressivi o con un percorso di psicoterapia, se nei parti precedenti (se non è primapara) c’è già stata una depressione post-partum.
  4. una lettura corporea: il suo atteggiamento, la sua postura, la cura di sé, il tono della sua voce (monotono o con più toni?).
Quando non possiamo prevenire possiamo intervenire

Attraverso la diagnosi sapremo se siamo di fronte ad una depressione post-partum di forma lieve (comunemente chiamata maternity blues) o se siamo di fronte ad una sua forma più grave o ancora se siamo di fronte ad una depressione post-partum che si è agganciata ad una depressione endogena nelle sue due forme di depressione intrauterina o orolabiale per le quali servirà anche un sostegno farmacologico.

Ma per tutte le donne che lamentano uno stato depressivo dopo la nascita del proprio bambino, è prioritario rassicurarle e mostrare loro che i sintomi che provano sono sintomi fisiologici e reattivi al vissuto della maternità. Quei sintomi vanno da noi accolti, compresi e spiegati. La donna va da noi accolta, compresa e sostenuta. Sarà importantissimo farle sentire che non è più sola ad affrontare i suoi stati d’animo.

Per tutte sarà di aiuto lavorare con uno strumento terapeutico specifico: con acting di VegetoTerapia. La VegetoTerapia è una Terapia che si basa sulla attivazione del Sistema Neuro-Vegetativo. E’ una metodica iniziata da Wilhelm Reich e poi sistematizzata alla S.I.A.R. nel corso degli anni. La VegetoTerapia ha una duplice funzione: analitica e terapeutica. Nel caso specifico, con una donna in depressione post-partum, la utilizziamo nella sua dimensione terapeutica, perché la richiesta della donna sarà quella di alleviare i suoi sintomi.

         Il lavoro corporeo con acting di VegetoTerapia inizia coinvolgendo gli occhi, per aiutare la donna ad uscire dal suo stato di confusione, di allarme e dalla perdita di confini che sta vivendo.

Punto fisso luminoso.

La donna è distesa in posizione supina con le gambe flesse e le braccia lungo i fianchi. I piedi sono ben poggiati sul lettino fra loro paralleli. L'operatore sta dietro di lei, tenendo una lucina perpendicolarmente ai suoi occhi, ad una distanza di circa 15-20 cm.

Si chiede alla donna di guardare la lucina. L’intento è di lavorare sull’attivazione della percezione del suo Io; fisiologicamente, infatti, sollecitiamo le zone frontali neo-corticali; la aiutiamo a ri-trovarsi, guardando un punto fisso luminoso, che simbolicamente è un punto di riferimento per la donna che si trova nel buio della depressione post-partum. Aiutiamo così la neomamma a fare il punto su se stessa, in un particolare momento della sua vita, quello della maternità, risvegliando le sue capacità di presenza e attenzione. Aiuta a strutturarsi, a non disperdersi e quindi a proiettarsi e ad una progettualità.

Acting naso/cielo verso il naso

La donna è distesa in posizione supina con le gambe flesse e le braccia lungo i fianchi. I piedi sono ben poggiati sul lettino fra loro paralleli. L'operatore sta dietro di lei, tenendo una lucina perpendicolarmente ai suoi occhi, ad una distanza di circa 15-20 cm.

Chiediamo alla donna di guardare la lucina per poi spostarsi con lo sguardo sulla punta del naso. Tornerà sulla lucina e poi di nuovo sul naso e così via.

Vedere la lucina significa vedere l’altro da sé, che in questo caso è vedere il proprio bambino, ma vederlo separato da sé, come altro da sé e prender coscienza della scena che la donna ha intorno a sé in questo specifico momento della sua vita.

Vedere il naso significa vedere se stessa, individuarsi, nello specifico caso ritrovare se stessa come madre, ma anche come donna, come compagna, come persona.

Dopo aver lavorato con gli occhi e quindi aver aiutato la donna a ritrovare la propria centratura, possiamo fare un passo avanti e lavorare con quegli acting che stimolano la sua dimensione affermativa, ovvero che possano aiutare la donna a trovare le sue risorse energetiche.

Respirazione con Io e mani piatte

Sempre nella stessa posizione supina chiediamo alla donna di inspirare e di dire “Io” alla fine della inspirazione. Poi di espirare mentre batte il palmo delle mani sul lettino. E’ un acting che coinvolge l’affermatività toracica, attraverso la respirazione e il movimento. Non dimentichiamo che nella dimensione depressiva la donna è ferma nella sua zona viscerale. Pertanto l’aiutiamo a salire sul suo torace e sentire la sua forza di donna, di compagna e di madre.

Distendere il collo

Con questo acting chiediamo al collo e alla testa di unirsi al torace su cui abbiamo appena lavorato.

In posizione supina sul lettino ma con le gambe stese e i piedi a martello, chiediamo alla donna di alzare la testa ed il collo dal lettino e di guardare le dita dei piedi per qualche minuto.

Questo acting serve per dispiegare la parte posteriore del collo e i muscoli trapezi. Lo utilizziamo per far ritrovare alla donna in depressione post-partum la propria energia tonica, attraverso l’allungamento del collo. E’ un acting che permette di recuperare la propria soggettività e di dispiegare le aggressività inespresse.

Attraverso lo sforzo dei muscoli sternocleidomastoidei colleghiamo la zona cervicale (la testa) con la zona toracica, cioè con il quarto livello. E nel 4° livello c’è il cuore che oltre ad essere l’organo che permette la vita è anche la porta d’ingresso della nostra identità essenziale (Sassone, www.analisi-reichiana.it).

Aprire e chiudere le mani

Nella posizione supina con ginocchia flesse, braccia lungo i fianchi poggiate sul lettino e il palmo delle mani rivolto verso il cielo, si invita la donna ad aprire e chiudere le mani.

Le braccia, parte del 4° livello, riflettono la tonicità del torace e del collo, con i quali abbiamo lavorato precedentemente.

Il nostro obiettivo con la donna in depressione post-partum è di aiutarla ad equilibrare il movimento di apertura delle mani (energia centrifuga) e il movimento di chiusura delle mani (energia centripeta), perché la donna possa cercare e trovare un equilibrio fra l’andare verso e il prendere da.

Obiettivo finale del lavoro corporeo e della costruzione della relazione è quello di affermare che si impara ad essere madri!

 

Bibliografia
  • Backer, E., F. (1978), L’uomo nella trappola. Astrolabio Ubaldini ed.
  • Ferri, G. (2012), Psicopatologia e Carattere. Roma: Alpes ed.
  • Sassone, R. I sette livelli reichiani e la psicologia olistica (articolo). www.analisi-reichiana.it.
  • Winnicott, D. (1987), I bambini e le loro madri, trad. Maria Lucia Mascagni e Renata Gaddini. Milano: Cortina ed.
  • Winnicott, D. (1989), Sulla natura umana. trad. Tullia Roghi. ed. it. a cura di Renata De Benedetti Gaddini. Milano: Cortina.

 * Pedagogista, Psicologa, Psicoterapeuta ad orientamento corporeo, Analista S.I.A.R.

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