Numero 1/2012

Anoressia: svuotarsi per non sentire il

vuoto

 

Ines Maria Mattalia*

 

Il nostro tempo richiede - per stare al passo - di andare di corsa, di andare o meglio, di essere sempre più veloci.

Ma questa velocizzazione invece di restituirci tempo, come una spirale che stringe, ce lo ruba, lasciandoci in un ingorgo di affaccendamenti, di emozioni e di informazioni, in un vuoto di sentimenti, di conoscenza e, soprattutto, di relazioni sempre più sostituite da transazioni.

In questo gioco sbilanciato di pieni ingorgati e di vuoti affettivi rarefatti si collocano e si amplificano i disturbi del comportamento alimentare, quali l'anoressia, la bulimia e l'obesità, che in questi ultimi decenni risultano in netto aumento.

In questo breve articolo vorrei porre l'accento, in modo particolare, sull'anoressia mentale, in quanto questo disturbo presenta un paradosso che rischia di colludere col paradosso, appena richiamato, del tempo senza tempo.

Anche nell’anoressia, infatti, c'è, da una parte, un’accelerazione del pensiero, delle attività motorie e razionali verso ideali onnipotenti di controllo di ogni limite, ma dall'altra, questo disturbo esprime un tentativo di bloccare, di sospendere il tempo interno della vita che lascia un corpo svuotato.

 

Che cos'è e come si manifesta l'anoressia

In quest’ottica l'anoressia è proprio uno svuotarsi per non sentire il vuoto.

Ma quale vuoto? Un vuoto profondo e antico, un buco nello stomaco, in quell'area ombelicale, della prima grande bocca, in cui è iniziata la storia del nostro nutrirci.

Risuona lì il vuoto dell'anoressia tenacemente negato e tenuto a distanza ma, nello stesso tempo, continuamente rinnovato con il digiuno e difeso come unica possibilità per sentire di esserci.

Come e quando si manifesta l'anoressia mentale?

Si manifesta soprattutto nelle ragazze, trova il suo esordio tipico, spesso in concomitanza ad eventi precipitanti, durante l'adolescenza (anche se tende ad espandersi verso altre età) ed esprime il conflitto insito nei momenti di passaggio. Nell’adolescenza, infatti, fase di metamorfosi del corpo, il tempo dello scorrere della vita obbliga ad affrontare il processo ineludibile del confronto, non solo con l'altro da Sé, ma soprattutto con il proprio Sé, con un Sé nuovo che ha bisogno di essere nuovamente conosciuto e reinvestito.

I sintomi che la descrivono sono il rifiuto di mantenere un giusto peso corporeo, un’intensa paura di ingrassare anche se si è sottopeso, una percezione alterata del peso e della forma del proprio corpo (elementi che influenzano in modo esasperato l’autostima), un’incapacità di riconoscere la gravità della propria condizione di sottopeso e, nelle ragazze dopo il menarca, l’amenorrea.

Inoltre, in alcune forme, si possono presentare abbuffate e/o vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi e di diuretici.

Ma questo quadro sintomatologico può essere l'espressione di strutture di personalità molto diverse: a più alta densità, ovvero nevrotiche, più rarefatte, ovvero borderline, oppure può segnalare transitori squilibri evolutivi.

È per questo che il modello reichiano SIAR prevede, oltre ad una diagnosi descrittiva dei sintomi, anche la definizione di una diagnosi strutturale per indagare il terreno su cui la sindrome si impianta e la definizione di una diagnosi analitica per cogliere il senso del sintomo e per collocarlo nella storia specifica e unica di quella persona.

Tale accuratezza diagnostica è essenziale per poter individuare il progetto, le azioni ed i percorsi terapeutici più mirati.

 

Anoressia: paradosso della vita

L'anoressia è un paradosso, un paradosso di nome e di fatto, che si esprime in modo eclatante, diretto e globale sul corpo e tramite il corpo.

Un paradosso di nome, perché anoressia significa letteralmente assenza di appetito. Ma in realtà nell'anoressia, più che una mancanza, si verifica una soppressione della fame, un rifiuto del cibo: un grande no, potremmo dire.

Un paradosso di fatto, perché il quadro presentato da una persona anoressica risulta contraddittorio, inconciliabile sia per ciò che si vede, sia per ciò che si sente.

- Ciò che vediamo è una giovane ragazza ossessionata dalla paura di ingrassare, che per rincorrere un ideale di bellezza, si imbruttisce; che più è debilitata, più è attiva e più inventa posizioni steniche: non cammina, corre, sta in piedi piuttosto che seduta, “l'anoressica, - dice Brusset - si consuma per non consumare”. (Brusset, 1979)

- Ciò che sentiamo è che quella ragazza per riuscire a sentirsi viva, si lascia morire.

Tale contraddizione sbalordisce e suscita uno strano fascino in chi si accosta perché avvicina all'esperienza della morte come unico modo per cercare e sentire un limite, il limite estremo, per differenziarsi ed affermare, in senso ontologico, la propria individualità.

 

Anoressia e Tempo
ovvero, dal tempo mitico al tempo umano

Le atmosfere interiori di questo complesso dramma, che si esprime nel sospendere la vita per gestire le angosce di separazione, sono ben tratteggiate già nel mito, che attraverso il tempo, è giunto fino a noi.

Ecco, quindi, il mito che racconta di due adolescenti, Eco e Narciso.

Eco era una ninfa che riusciva ad incantare con la parola.

Zeus se ne avvaleva, chiamandola complice, per distrarre Era, sua moglie, durante i tradimenti con le altre dee e ninfe.J. W. Waterhouse, Eco e NarcisoJ. W. Waterhouse, Eco e NarcisoJ. W. Waterhouse, Eco e Narciso

Ma Era, scoperto l'inganno e infuocata dalla gelosia, punisce Eco, privandola della parola.

La priva della possibilità di parlare autonomamente e le lascia solo la possibilità di ripetere, di rispecchiare l’ultima parola che gli altri pronunciano.

Eco è già priva della parola quando incontra Narciso e se ne innamora.

Succede così, il fanciullo per caso si sperde dai suoi compagni e comincia a domandare "C'è qualcuno?" ed Eco risponde "Qualcuno?". Lui si meraviglia e, cercando con gli occhi da tutte le parti, grida a gran voce "Vieni". E lei chiama lui che la chiama. Egli si guarda dietro le spalle e, poiché neanche questa volta qualcuno vien fuori, smarrito dal rimbalzare della voce dice "Perché mi fuggi? Qui riuniamoci!" Ed Eco che a nessun suono risponderebbe più volentieri "Uniamoci" ripete. E decisa a far come dice, esce dal bosco e fa per gettargli le braccia al collo.

Ma lui, terrorizzato, fugge e nel fuggire "Giù le mani, non mi abbracciare! Preferisco morire che darmi a te", esclama. Eco non risponde altro che "Darmi a te".

Disprezzata e rifiutata, si nasconde nei boschi coprendosi il viso per la vergogna.

Ma l'amore che non ha potuto esprimere resta confitto in lei e cresce per il dolore del rifiuto.

I pensieri la tengono desta e la fanno deperire in modo pietoso, la pelle si raggrinzisce per la magrezza e tutti gli umori del corpo si disperdono nell'aria.

Non rimangono che la voce ecolalica, il suono che vive in lei, e le ossa.

Le ossa, dicono, si ridussero a sassi in prossimità di uno specchio d'acqua.

E' in quello specchio d'acqua che Narciso vede riflessa la propria immagine, e se ne innamora.

Ma anche Narciso presto scopre l'inganno: l’immagine di cui è perdutamente innamorato è la sua propria immagine, è un riflesso, un'illusione imprendibile nella realtà.

Anche lui urla il proprio dolore e l'infelicità per non poter realizzare l'amore e, anche lui, per venire fuori dall'insostenibile dolore torna alla natura, annegando nell'acqua.

Non resta che, in prossimità di uno specchio d'acqua, la sua metamorfosi in fiore. (Ovidio, Metamorfosi III libro, pp. 375-401)

Eco e Narciso non riuscendo a crescere come esseri mortali svanirono, dissolvendosi per l’eternità negli elementi, senza forma - l'aria e l'acqua - da cui prese origine la vita.

In questi termini si presenta il paradosso dell'anoressia: morire per essere liberi di vivere.

In questo mito nella relazione tra Era ed Eco, che può rappresentare la relazione tra madre e figlia, viene tolta la parola come possibilità di espressione della propria individualità femminile e viene, così, impedito l’accesso alla comunicazione con il maschile.

Spesso, infatti, nell'anoressia madre e figlia si trovano entrambe intrappolate in una simbiosi dolorante, simbiosi che si protrae senza tempo e che ha le radici in un tempo che precede la parola, quello delle prime lotte per lo svezzamento.

C'è poi il tema della relazione con Zeus.

Zeus ed Eco, come padre e figlia, dopo una relazione in qualche modo di complicità, restano distanti, l'uno non vede più, non sente più o non sa del dramma dell'altra. Altra che, nella sua disperazione, nella sua angoscia di separazione si trova a vivere una profonda delusione, una lacerante solitudine.

E poi Eco e Narciso, entrambi non possono vivere la propria trasformazione in esseri sessuati e de-finiti, la propria incarnazione in donna e uomo.

Entrambi restano intrappolati in un gioco illusorio di riflessi tra l'acustico e il visivo, in un gioco che deforma la realtà e impedisce di contattare ed esprimere l'amore. E questo sentimento, nutrimento fondamentale per crescere, resta confitto dentro il sé, intuito ma inafferrabile come una pietra alchemica.

E la vita dell'anoressica si tende, attraverso una spinta verso l'alto, in un sottilissimo filo nella ricerca di quel nutrimento essenziale, di quella pietra alchemica: il sentimento, la bellezza e la leggerezza della vita, l'amore.

Ma proprio quella tensione annulla la possibilità di cogliere, di toccare e di prendere quel nutrimento tanto cercato e, nello stesso tempo, fa perdere la coscienza che quel sottilissimo filo, anche se resistente, si può spezzare.

Entrambi, Eco e Narciso, ci rappresentano due aspetti dell'anoressia.

Eco ci rimanda ciò che l'anoressica sente nel profondo: una terrifica angoscia di separazione, un'impossibilità di rappresentarsi un proprio corpo separato, distinto da quello della madre. Queste angosce di separazione si ripresentano intense ed assolute nel delicato momento di passaggio quale è l'adolescenza, momento in cui il tempo biologico spinge a profonde trasformazioni e allora il corpo diventa un oggetto da cui prendere distanza, un corpo non mio, un corpo svuotato di me e abitato da altro da me, un corpo estraneo rispetto al se stesso.

Ma, nei momenti di passaggio, questa ricerca sofferta di una nuova identità, di una nuova forma, mette in atto estreme ed altrettanto assolute difese contro il rischio di non esserci, di crollo, mette in atto una difesa esasperata, ben visibile, forse per l'altro, ma innanzitutto per se stesse.

E Narciso ci rappresenta proprio ciò che si vede della posizione anoressica: la risposta difensiva. Un rifugio per allontanarsi dalla paura profonda, dall'angoscia di separazione, dal terrore di non esserci. Il ritiro narcisistico dell'anoressica esprime il suo bisogno di essere perfetta, di essere cioè intera, non divisa, non distinta.

Certo tale risposta difensiva lascia ugualmente vuoto il bisogno d'amore perché blocca il corpo in una contrazione senza fine che impedisce di entrare in contatto, in relazione autentica con sé e, quindi, con l’altro. Ma è comunque il miglior equilibrio possibile trovato in quel momento e, in quanto tale, andrà prima di tutto compreso e rispettato, mai attaccato …

Per Eco e Narciso, come per chi si trova intrappolato nell'anoressia mentale le due esigenze fondamentali per crescere: essere se stessi (individuazione) e contemporaneamente separarsi da se stessi, essere altro da (separazione) non possono integrarsi, comporsi, incontrarsi e restano sospese… Allora, il tempo biologico, naturale, viene bloccato in un tempo infinito senza limiti e senza ritmi…

L'anoressica nel suo estremo tentativo di controllare ogni rischio di separazione e di limite, si ferma sulla soglia, sulla soglia tra il dentro e il fuori, sulla soglia tra il prima e il dopo e lì resta sospesa e bloccata in un equilibrio che non prevede cadute né in un senso né nell’altro e con il suo digiuno afferma e riafferma continuamente il controllo di queste soglie. E il controllo stesso contribuisce alla sensazione di onni-potenza che si può provare sostando in equilibrio nei pressi della verità,come nello spazio-limite tra vita e morte.

Il tempo femminile, ritmato da segnali biologici (menarca, mestrui, gravidanza, menopausa) è forse più esplicito e incalzante del tempo maschile.

Se da una parte favorisce un esame di realtà, dall'altra attacca senza pietà il narcisismo onnipotente.

Il disconoscimento del corpo e il dominare con la volontà l'orologio biologico, sfidando le leggi del tempo naturale, il tempo che si sente… permette all'anoressica di negare, di controllare il passaggio delle fasi, di negare i limiti della vita.

E allora si consente di essere femmina, essere donna, ma donna come e quando si vuole, in un tempo pensato.

L'amenorrea che nelle anoressiche è precoce e può precedere il dimagrimento, può essere considerato il più tipico grido di dolore e di paura femminile. La ebbero all'ingresso dei campi di concentramento le donne internate.

E il riapparire delle mestruazioni è un vero messaggio della vita che riprende, che riprende coraggio e si rimette in cammino… è come un secondo menarca: due volte l'inizio…una rinascita.

È come se ritornasse il tempo, e con il reinserimento del tempo, la storia, che era imprigionata nel corpo potesse riprendere a pulsare liberandosi e liberando il corpo, il corpo reale, ritmato dalla natura, determinato dal sesso, il corpo non onnipotente perché vivo…

E nel lavoro terapeutico con le anoressiche, il corpo non va disconosciuto ma integrato, il vuoto non va riempito ma compreso e la morte, minacciata dalle anoressiche, non va temuta ma rispettata, rispettata come limite naturale della vita perché solo così è possibile contattare il tema profondo e fondamentale del disturbo anoressico: il desiderio di rinascita, quel desiderio che si permette la tregua dell'attesa, la riscoperta delle fantasie e della creatività…

La sfida diventa quindi passare dal gioco con la morte al gioco con la vita, l'imprevedibile e sorprendente gioco che per essere giocato richiede di separarci da ciò che eravamo per diventare ciò che siamo, conservando l'altro che eravamo…

Bibliografia
  • Brusset, B. (1979) L’anoressia mentale del bambino e dell’adolescente. Roma: Borla.
  • Nasone, P., Ovidio (2005), in P. Bernardini Marzolla (a cura di), Metamorfosi. Torino: Einaudi, pp. 375-401.

 

* Psicologa Psicoterapeuta, Analista SIAR.

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