Numero 1/2012

ATTORNO AL CORPO DI UMBERTO SABA

Marina Pompei*

Attorno a questo mio corpo è una raccolta di saggi scritti da studiosi di letteratura italiana che sono andati a cercare il corpo degli autori amati.

(Pacelli, L., e altri, a cura di, 2010. Matelica: Hacca).

Lo hanno cercato nei testi e nella critica, nelle interviste, nelle fotografie. Abituati a lavorare intorno al corpo letterario, hanno cercato il corpo fisico.

La copertina del libro mi cattura: il disegno di un corpo umano senza pelle, e linee che si dipartono dai vari organi o segmenti e raggiungono nomi scritti intorno: Dante, Moravia … Saba. Una linea unisce il nome di Saba al ginocchio destro del corpo disegnato. Perché proprio lì? Sono stati collegati a caso nomi e parti del corpo, o secondo una precisa scelta?

Ormai la cosa mi riguardava. E’ come quando incontro un paziente per la prima volta: le sue parole al telefono, la sua voce, e poi il corpo che appare nel quadro aperto della porta dello studio. Un quadro vivente da incontrare.

Ringrazio chi ha scritto e disegnato il libro e procedo con Umberto Saba come con un paziente. Delicatamente esploro la sua storia mentre vedo come il suo corpo si muove. E’ lui che snoda il filo della narrazione, io guardo e ascolto usando chiavi di lettura per un’anamnesi, un’ipotesi di diagnosi, per individuare un possibile percorso evolutivo.

Il corpo

E’ piuttosto  alto, le spalle curve, il torace sacrificato, gli occhi azzurri. Occhi orecchie e naso grandi (antenne che captano i segnali del mondo esterno e di quello interno). Le labbra sono sottili, in bocca la pipa. Il collo è nascosto.

Anamnesi in chiave analitica

- Periodo intrauterino, perinatale e della prima infanzia

Umberto viene concepito da madre ebrea e padre cattolico che, per sposarla lascia il cattolicesimo. Prima ancora della sua nascita il padre abbandona la madre: per ragioni politiche (siamo nel 1883 ed era irredentista nella Trieste asburgica), ma anche per insofferenza al legame matrimoniale.

Nasce senza padre. La madre lo affida per i primi tre anni ad una balia “madre  di gioia” che lui amerà moltissimo. Prezioso sostituto materno da cui verrà dolorosamente strappato per andare a vivere con la madre e due zie: una vedova e l’altra nubile.

Cresce a Trieste: cittadino italiano in provincia asburgica, in un territorio dove si parla triestino, veneto, sloveno, tedesco. Trieste triste e contraddittoria come tutta la vita di Umberto alla ricerca di un’identità difficile da ricomporre.

- Adolescenza e giovinezza

Della sua adolescenza Umberto parlerà attraverso l’ultima sua opera, incompiuta: Ernesto. Si trattadiun romanzo autobiografico in cui racconta i suoi sedici anni, con la scoperta attiva della sessualità: prima con un incontro omosessuale vissuto con curiosità, tenerezza e spavalderia; poi attraverso l’incontro con una prostituta, di cui sottolinea risonanze di ricordi della sua amata balia.

A vent’anni siamo nel tempo del suo uscire nel mondo, fuori da Trieste: a Pisa per l’università, quando comincia anche a scrivere i primi versi e qualche articolo per alcuni giornali locali. Vive con grande intensità eventi molto significativi: incontra per la prima volta il padre, ha un conflitto e si separa da un grande amico, ha una forte caduta depressiva, ritorna a Trieste.

Dai ventiquattro ai venticinque anni fa il servizio militare.

A 26 sposa Lina “dal rosso scialle” (da Autobiografia,1923, in Il Canzoniere).

A ventisette anni nasce la figlia Linuccia “fugace incanto di primavera” (da La Malinconia,1923, in Il Canzoniere)e pubblica la prima raccolta di versi, accolta duramente dalla critica.

In quell’occasione si darà un nuovo cognome: Saba, dando le spalle a Poli, il cognome paterno. “Saba” potrebbe derivare dal nome della nutrice, la slovena Peppa Sabbaz, oppure dall’ebraico “pane”. In ogni caso, riferimenti a nutrimento materno.

Lettura analitica

Mi fermo qui nell’anamnesi, perché a ventisette anni i tratti caratteriali sono già da tempo definiti e gli eventi biografici successivi ne ripropongono costantemente le caratteristiche.

Rileggiamo la sua storia con chiavi di lettura  analitiche reichiane.

Nato d’oscure

vicende,

poco fu il desiderio, appena un breve

sospiro.

(da Il borgo,1925, in Il Canzoniere)

Scriverà così intorno ai quarant’anni, quando già si sarà formato alla lettura di Nietzsche e Freud.

Sta parlando dell’alba della sua vita, del concepimento? E’ già lì la mancanza che si manifesterà poi come depressione? E’ nel “poco fu il desiderio”? “Appena un breve sospiro” che non farà poi espandere il suo torace?

Certamente Umberto nasce da una gravidanza solitaria, forse  spaventata, arrabbiata, compressa. Lo slancio di vita che l’ha concepito e gli ha dato la possibilità di arrivare a nascere non l’ha accompagnato dopo con la stessa intensità.

Quei primi nove mesi gli hanno dato, però, anche una sensibilità grande, quella speciale capacità di percezione che poi ne farà un artista. Parlo di quel tempo straordinario in cui non agiscono muscolarità ed intelletto, ma recettori primari, che hanno la funzione di preservare la vita. E nei suoi scritti troveremo sempre, insieme al triste impedimento alla gioia, anche una consapevole profonda appartenenza ad un’unica radice di vita: forme animali e umane in comunione.

 

Tu sei come una giovane,

una bianca pollastra.  …..

Tu sei come una gravida

giovenca…..

Tu sei come una lunga

cagna, che sempre tanta

dolcezza ha negli occhi,

e ferocia nel cuore.…..

Tu sei come la pavida coniglia.…..

Tu sei come la rondine

che torna in primavera.…..

Tu questo hai della rondine:

le movenze leggere;

questo che a me, che mi sentiva ed era

vecchio, annunciavi un’altra primavera.

(da A mia moglie, 1909, in Il Canzoniere)

 

Venuto al mondo, trova una madre che non sa accoglierlo, e non trova il padre. Cosa scrive di loro?

Mio padre è stato per me l’”assassino”,

fino ai vent’anni che l’ho conosciuto.

Allora ho visto ch’egli era un bambino,

e che il dono ch’io ho da lui l’ho avuto.

Aveva in volto il mio sguardo azzurrino,

un sorriso, in miseria, dolce e astuto.

Andò sempre pel mondo pellegrino;

più d’una donna l’ha amato e pasciuto.

Egli era gaio e leggero; mia madre

tutti sentiva della vita i pesi.

Di mano ei gli sfuggì come un pallone.

“Non somigliare – ammoniva – a tuo padre”.

ed io più tardi in me stesso lo intesi:

eran due razze in antica tenzone.

(Autobiografia 3, 1923, in Il Canzoniere)

 

Umberto sa leggere dentro di sé, sa di psicoanalisi perché l’ha vissuta in un’analisi con Edoardo Weiss e l’ha portata a coscienza esplicita nella sua poesia e nella sua prosa.

Tutta la sua opera è un parlare di sé, non egocentrico, ma in ricerca di connessione complessa.

Connettere insieme il padre e la madre, la leggerezza e la pesantezza, la poesia e la ricerca.

Amai la verità che giace al fondo,

quasi un sogno  obliato, che il dolore

riscopre amica. Con paura il cuore

le si accosta, che più non l’abbandona.

(da Amai, 1946, in Il Canzoniere)

Connettere insieme le differenti lingue della sua Trieste, delle sue identità diverse (dell’uomo e della città).

Deve sapere che io, certamente per motivi nevrotici, ho sempre avuto delle difficoltà con l’ortografia, anche italiana”(Saba,1991,p.17)scrive in una lettera a Joachim Flescher del 1948.

Connettere perché non sostiene le separazioni, che per lui sono state troppo dolorose: la madre si  separa da lui subito dopo la nascita, e poi lo separerà dalla balia a tre anni. Possiamo parlare di difettualità orale (già annunciata dalle labbra sottili e dall’inseparabile pipa) e di problematiche identitarie.

Ma, come scriverà in una lettera del 1952 a Vittorio Sereni, “La cosa peggiore della mia infanzia fu l’assenza di un padre (buono o cattivo)” (Saba,1991,p.102).

Un’assenza che gli impedisce di passare con energia dal campo materno a quello paterno (dal primo campo energetico al secondo campo energetico).

Un’assenza cui “il dott. Weiss supplì”, (Saba,1991,p.102) come dice sempre nella stessa lettera a Sereni, ma che non può fargli trovare pienamente il torace. Il torace con cui incontriamo il mondo esterno a noi.

Il suo torace non può espandersi perché non trova una polarità paterna affermativa che lo aiuti a risalire dalla depressione materna. Il torace non può espandersi, per questo le spalle si curvano: la concavità toracica trascina con sé la convessità del dorso.

E il collo non può emergere.

E’ costretto a fare un salto dalla difettualità di primo campo, materna, di pancia, all’alto degli occhi. Si salva con lo sguardo vivo. Ha l’energia per farlo, ma ne dubiterà sempre. Questa è la sua angoscia. C’è potenzialità, ma come è difficile e doloroso arrivare alla potenza in atto!

Parla della sua ultima opera, il romanzo, come di un parto, della poesia come di un’erezione. Fa un percorso dall’erezione al parto, ma rimane incompiuto!

La sua dolorosa tenacia non è sostenuta certo dagli eventi esterni tragici: il fascismo, la guerra e la persecuzione razziale.

Nonostante tutto con la poesia può volare in alto, come i suoi amati uccelli.

E il ginocchio dell’immagine di copertina da cui questo scritto è nato? E’ probabile che l’autore l’abbia unito a caso al nome Saba, oppure no: ha intuito che lì potesse esserci qualcosa di interessante. L’articolazione che permette un incedere fluido, l’andare nel mondo di Umberto, il suo camminare con decisione è stato certo ostacolato dalla sua storia personale e dal nazifascismo da cui è dovuto fuggire.

Umberto Saba non ha potuto avere l’incedere dell’uomo affermativo, ma la sua anima gli ha permesso di sollevarsi in alto, come in un volo d’uccello.

L’alata

genia che adoro – ce n’è al mondo tanta! –

varia d’usi e costumi, ebbra di vita,

si sveglia e canta.

(Uccelli, 1948, in Il Canzoniere)

 

Bibliografia
  • Pacelli, L., Papi, F., Pierangeli, F. (a cura di) (2010), Attorno a questo mio corpo. Matelica (MC): Hacca. Grafica di copertina: Maurizio Ceccato
  • Saba, U. (1975), Ernesto. Torino: Einaudi
  • Saba, U. (1961), Il Canzoniere (1900-1954). Torino: Einaudi
  • Saba, U. (1991), Lettere sulla psicoanalisi. Milano: Edizioni SE

* Psicologa Psicoterapeuta, Analista S.I.A.R

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