Numero 2/2013

IL PICCOLO PRINCIPE
un viaggio alla ricerca di sè

di Antoine de Saint Exupery (2002)

Daniela Paoletti*

Questo piccolo libro propone alcuni messaggi molto forti riguardanti il comportamento degli adulti. Il Piccolo Principe infatti, durante il cammino, visita sei pianeti diversi abitati da strani personaggi: un re (oggi diremmo un politico), un vanitoso (narcisista), un ubriacone (un alcolista), un uomo d'affari (un imprenditore), un lampionaio, un geografo (uno scienziato). Sono personaggi dubbi ma molto comuni, che mettono in risalto le strutture portanti e rigide che intrappolano l’uomo e lo allontanano dal contatto con la realtà, lo frenano, lo chiudono, e lo induriscono dinanzi alla vita.

Ogni personaggio che il Piccolo Principe incontra nel suo tortuoso viaggio rispecchia una caratteristica diversa del modo di condurre la vita degli adulti.

Tali caratteristiche ci spingeranno a capire che il passo successivo che si deve fare, per vivere in armonia con gli altri e con se stessi, per migliorarsi e crescere veramente, è quello direcuperare il contatto con le cose davvero significative.

Considero Il Piccolo Principe come quel libro che, con una semplice parola, è capace di farci vedere tutto chiaramente, di farci rendere conto dell'amore che portiamo dentro e indurci a manifestarlo senza paure. E' quel qualcosa di buono che si nasconde in tutti noi e che ogni tanto ci fa aprire gli occhi riportandoci alla bellezza delle cose e dei sentimenti. Serve a rammentarci, nell'amarezza e nella durezza che si acquista nel tempo e con l’esperienza, che, nonostante il tempo trascorso, possiamo ancora non perdere quella capacità di stupirci e meravigliarci che arricchisce ogni conquista inaspettata e nasconde un invito a riflettere su quei valori che permettono all’essere di prevalere sull’avere.

Per chi ha avuto modo di sperimentarlo personalmente, quanto descritto è quello che accade durante un percorso di analisi. Non voglio certo paragonare il lavoro di un analista ad una fiaba per piccini ma mi piace pensare all’analisi come ad un viaggio, in cui ad ogni incontro ci si ciba di un pezzo del frutto della conoscenza che ci rende di volta in volta sempre più capaci di liberarci dei nostri occhiali deformati e indossare nuove lenti attraverso cui osservare il mondo, come se lo vedessimo sempre per la prima volta, proprio come accade agli occhi di un bambino.

Ritengo che il desiderio del viaggio emerga dalla paura o dal conflitto che nasce tra l’idea che gli altri hanno di noi e quello che in realtà vorremmo essere.

Certo, non è facile intraprendere questo viaggio, le ricadute sono numerose, ma penso che sia solo paura quella che ci frena a volte dall’iniziarlo e ci impedisce di affrontare le cose.

In questo cammino di analisi e poi di formazione in psicoterapia ho acquisito la consapevolezza che ogni essere umano è in una trappola che nella maggior parte dei casi ignora, proprio perché la trappola è il nostro carattere con cui ci identifichiamo totalmente, di cui spesso siamo anche orgogliosi; pur acquisendone consapevolezza, spesso abbiamo talmente timore di ciò che potremmo trovare fuori che preferiamo rimanere nei nostri confini ristretti.L’uomo teme o odia l’uscita dalla sua prigione, si difende crudelmente da ogni tentativo di trovarne l’uscita”. (Reich, 1951, p. 17).

Imparare a conoscere la mia trappola ha significato conoscere la vera me stessa e vedere la realtà per come è realmente. Ha significato imparare ad accettarmi per come sono, perché è la parte più vera che ho, capire che valgo per come sono, non per quello che non sono stata o che non sarò mai. E questa è stata certamente la parte più difficile.

il viaggio come ricerca interiore

 Sul suo pianeta il Piccolo Principe non aveva molto con cui distrarsi, solo tre vulcani, di cui uno spento che puliva come gli altri perché avrebbe potuto risvegliarsi un giorno. Perciò quale gioia quando, dopo un lungo periodo di gestazione, un filo d’erba diverso da tutti gli altri si era trasformato in arbusto e aveva cominciato a preparare un fiore. Un bel mattino, all’ora del levar del sole, era apparsa in tutta la sua bellezza una rosa. Ma quel piccolo fiore così profumato non conosceva certo la modestia, voleva essere al centro dell’attenzione, sempre pronto a farsi servire… Il piccolo principe ricadde nella sua tristezza: il fiore non sapeva ripagarlo con il suo amore, orgoglioso, vanitoso com’era. Per questo aveva preso la decisione d’intraprendere un viaggio alla ricerca di un amico che gli riscaldasse il cuore.

Il piccolo protagonista è spinto così ad una fuga che, dietro alle difficoltà nel gestire il rapporto con l’altro da sé (la rosa), nasconde l’esigenza di una conoscenza interiore.

La storia di questo viaggio durato un anno, trasmette una visione di un mondo ancora molto attuale, legata all’inquietudine, di una umanità in crisi, egocentrica, nevrotica, materialista, un mondo dominato dalla peste emozionale, dalla corazza che ci imprigiona in un mondo senza uscita e ci rinchiude in un circolo vizioso creato da costruzioni mentali, illusioni, false spiegazioni. Dal viaggio attraverso i sette asteroidi sino all’approdo decisivo sulla terra, il piccolo eroe traccia un percorso di maturazione e crescita personale che lo vede confrontarsi con diversi personaggi: i diversi tratti caratteriali che caratterizzano l’uomo di oggi. Saint-Exupéry denuncia l’inautenticità in cui viviamo, l’incomunicabilità e la solitudine dell’uomo; interpreta la condizione umana con i suoi drammi incentrata com’è sul tema tra l’essere o l’apparire nel mondo, personaggi che cercano dei rapporti con gli altri o con le cose, ma rimangono prigionieri della loro solitudine e della loro corazza e la loro vita rimane vuota e monotona.

Purtroppo la ragione si ferma alla superficie delle cose, analizza, coglie i numeri, le cifre e il valore in denaro; ha sempre bisogno di spiegazioni visibili e razionali, per dare un senso a ciò che lo circonda senza tuttavia riuscire a penetrare le realtà nascoste, senza comprendere quelle contraddizioni che della vita sono una parte inscindibile. La felicità si ritiene che abbia sempre un oggetto, si è felici solo di qualcosa, è un sentimento la cui esistenza dipende dall’esterno. Il piacere deriva sempre da qualcosa che è al di fuori di noi. Ma la gioia invece dovrebbe nascere dall’interno, non dovrebbe avere oggetto, ti dovrebbe possedere senza alcuna ragione apparente. Tuttavia per contattare questi veri valori sono necessari altri strumenti di conoscenza, come il sentimento e la dimensione del sentire. Tale dimensione prevede il contattare le emozioni. Ci sono molte persone che hanno talmente congelato il loro sistema da non sentirle e non riconoscerle. Prevede, inoltre, di esprimerle perché, finché non vengono espresse, sciolte e liberate, rimangono irrigidite nella nostra memoria corporea e di saperle gestire. Ma per gestirle bisogna imparare a stare nell’emozione, ascoltarla, lasciarla esistere profondamente dentro di sé. Solo il sentire vede l’essere umano unico con tutti quegli elementi che lo compongono, sa afferrare intuitivamente l’invisibile e il profondo legame che unisce le cose.

Lo scopo di un viaggio analitico, secondo me, potrebbe essere dunque contattare il proprio sentire uscendo dalla trappola, che non significa non avere blocchi e difese, ma riconoscere quello che noi già siamo, accettare l’io sono, e non, ciò che devo essere o ciò che gli altri vogliono che io sia ed è quello che penso sono finalmente riuscita a fare.

L’epoca attuale si configura come una ricerca di godimento immediato, senza capacità di attesa. La vita dell’uomo moderno è all’insegna della ricerca di una felicità istantanea, fatta di emozioni e meno sentimenti, di eccitazioni e meno consapevolezza, di più comunicazioni e meno relazioni. Una felicità che si gioca nella quotidianità dei piaceri terreni. Si vive per il successo, per il lavoro, per tutto ciò che ci fa sentire dei privilegiati. (Bauman, 2002). Un godimento senza desiderio. Gli antichi chiamarono desiderio (de-sidus) quella tensione tipica dell’uomo che lo porta a guardare le stelle (sidera). Da qui il significato del verbo desiderare: stare sotto le stelle ed attendere. Diventa perciò indispensabile avviare delle strategie per rallentare il ritmo frenetico che ci sta incalzando tutti, a partire dal recupero del piacere del tempo. Piacere di sostare, dell’andare a piedi, scoprire particolari mai visti, assaporare le piccole cose, imparare a farle uscire dallo sfondo, riscoprire gli odori, dare rilievo alle sensazioni, valorizzare le emozioni, recuperare il tempo dell’ascoltare e dell’ascoltarsi.

Ma attingere a questo tipo di consapevolezza di noi stessi è possibile soltanto attraverso una continua esperienza diretta di sé, un’esperienza diretta corporea ed emozionale. Finché qualcosa non viene memorizzata nel corpo, non viene acquisita. Nella mia prassi analitica questo è stato possibile utilizzando la funzione della Vegetoterapia Analitico-Caratteriale, indagando il corpo nei suoi significanti tramite una serie di acting, agiti su vari livelli corporei.

La relazione oggettuale con l’altro da sé

E' molto toccante il racconto della preoccupazione del Piccolo Principe per la rosa che aveva lasciato nel suo pianeta, ma a causa della quale, per i suoi continui capricci, per il suo esigente egocentrismo, se ne era andato. La relazione appare subito segnata dal conflitto e dall'ambivalenza che lo spinge ad abbandonare colei che tanto ama perché a volte solo allontanandoci dalla fonte del nostro dolore, possiamo esplorare i territori sconosciuti della nostra anima e la separazione si dimostra dolorosa ma necessaria, per riconsiderare la sincerità degli affetti e trovare noi stessi.

L’incontro con l’altro risveglia in noi sentimenti ed emozioni contrastanti che comprendono sia il desiderio di conoscenza e vicinanza che timori e insicurezze che ci rendono guardinghi e a volte anche ostili. Ci sono i timori di venire feriti, traditi, imbrogliati, che ci rendono insicuri e ci spingono a cercare dei punti di riferimento che ci garantiscano di non soffrire. Spesso questi punti di riferimento sono proprio le caratteristiche esteriori, quelle che possiamo vedere senza avvicinarci troppo all’altro (senza rischiare quindi). Purtroppo quasi sempre gli aspetti esteriori più che aiutarci a capire ci confondono e ci allontanano ancora di più rendendoci ulteriormente diffidenti.

Il Piccolo Principe si rende conto di aver sbagliato a giudicare la sua rosa per le sciocchezze che diceva: "Avrei dovuto non ascoltarla [...] non ho saputo capire niente allora! Avrei dovuto giudicarla dagli atti e non dalle parole. Mi profumava e mi illuminava. Non avrei mai dovuto venirmene via! ".

 

Avrebbe dovuto andare oltre le parole e rimanere in contatto con la tenerezza che si mascherava dietro di esse. Ma non è facile amare e nemmeno farsi amare, così come è difficile saper coltivare una relazione d’amore: la rosa non può fare a meno delle sue spine e il Piccolo Principe non può fare a meno di svalorizzarla e abbandonarla per le cose che dice.

Mettere gli occhi, nel linguaggio reichiano, significa vedere senza proiezioni, senza mettere parti di noi che adulterano la possibilità di incontrare l’altro. Ma i nostri occhi sono abituati a guardare senza vedere davvero. Il funzionamento della Vita vivente è tutto intorno a noi, in noi, nei nostri sensi, proprio davanti a noi chiaramente visibile in ogni animale o albero o fiore, lo sentiamo nel nostro corpo, nel nostro sangue e tuttavia esso rimane per chi è nella trappola, il più grande e il più inaccessibile degli enigmi…. ”Il vero grande problema umano è la fondamentale evasione dall’essenziale. Questa evasione, questa evasività fanno parte della struttura profonda dell’uomo. Il tenersi lontano dall’uscita della trappola è il risultato di questa sua struttura.” (Reich, 1951, pp. 17-18)

Abbiamo imparato a guardare attraverso soprattutto per proteggerci dal male che ci circonda, ma così facendo perdiamo di vista soprattutto quello che vale veramente perché restiamo completamente imprigionati in un preconcetto o in un pregiudizio. Non basta aguzzare gli occhi per vedere, è richiesto un modo speciale di guardare.

La volpe dice al Piccolo Principe che solo con il cuore si vede correttamente.

“Cristo vede ciò che essi non vedono mai perché non è chiuso all'atto di vedere.”(Reich, ibidem, p. 43).

Così come il pilota viene istruito dal bambino e apprende che i legami orientano l’esistenza, e la volpe inizia il piccolo eroe alla lentezza e all’importanza dell’addomesticamento (“È il tempo che si è perduto per una persona a determinare la sua importanza”); anch’io ho appreso dalla mia analisi il più importante insegnamento pratico. Ho imparato che l’amore è fatto di sensazioni delicate, di presenze vicine anche se lontane, che il tempo si dilata e che anche 5 minuti sono preziosi e lunghi più di tante ore, perché irrecuperabili. Ho imparato quanto sono potenti certe emozioni, così tanto che ogni individuo dovrebbe trovare il suo stile e il suo metodo per superare i limiti di tempo e di spazio, e renderne partecipe chi ne è coinvolto.

Il Piccolo Principe e la Volpe: la relazione terapeutica

Posso descrivere l’analisi come un viaggio che ha come protagonisti l’analista e il paziente e come mèta la conoscenza di sé, l’acquisizione di una nuova visione della propria vita, l’analisi delle proprie difficoltà, delle proprie capacità e delle possibili risorse per superarle. Si tratta di un percorso molto particolare, una strada che due estranei percorrono divenendo compagni di un viaggio, all’insegna della scoperta reciproca, dove ognuno cede un pezzettino di sé per accogliere parti dell’altro. E’ la creazione di uno spazio protetto, fatto di fiducia, di rassicurazione e di riflessione, in cui l’appuntamento che ci si dà è l’incontro per condividere, accogliere, ascoltare e non giudicare. Ed è proprio l’incontro con la volpe ad offrire una bella metafora dello stabilirsi di questo particolare legame affettivo e conoscitivo tra analista e paziente. Lei che vuole essere addomesticata per poter avere un rapporto con il protagonista! Addomesticare nel senso inteso dalla volpe, ha l'accezione di dare una casa, è inteso quindi come creare legami, non come assoggettare o cercare di trasformare l’altro a nostro piacimento. La volpe svela il vero significato di tale espressione: entrare in contatto con qualcuno, prendersene cura, impiegare del tempo, preoccuparsi, condividere. Non è dunque il valore dell’oggetto in sé che rende prezioso tale legame, ma il rapporto d’affezione che unisce l’oggetto (o l’essere amato) a chi lo ama (frequenta); nel linguaggio reichiano diremmo il come della relazione.

L’addomesticamento simboleggia la predisposizione naturale e la vocazione dell'uomo alla vita di relazione che ogni persona costruisce attraverso le sue esperienze affettive significative. Ma essa è un lento e graduale avvicinamento che richiede impegno e costanza e che ci permette di imparare ad amare l’altro conoscendolo e rispettandolo nel suo modo vero di essere. Per addomesticare qualcuno e lasciarsi addomesticare non bisogna essere frettolosi. Bisogna preparare dolcemente il cuore all’incontro ed essere pronti ad accoglierlo. Per tale compito sono necessarie molta pazienza e molta attenzione all’altro, bisogna avvicinarsi dolcemente, creare momenti di attesa, aspettare l’altro nell’ora in cui deve arrivare, sentire nascere la gioia dell’incontro e il pianto quando ci si deve lasciare… e così, dall’incontro sempre più vicino nascerà un terzo: non più io e l’altro ma un noi. Inoltre è utile creare e rispettare dei riti, ossia appuntamenti, consuetudini, ricorrenze fisse, che non solo definiscono più adeguatamente i confini della relazione, ma mediano meglio il rapporto di entrambe le persone coinvolte. Addomesticare significa dunque creare dei legami per la vita, una condivisione di sentimenti, emozioni, pensieri, e non una semplice vicinanza, senza alcuna comunione d’idee.

Questo vale anche in analisi. Finché l’analista non partecipa affettivamente alla matrice relazionale del paziente, non si scopre all'interno della matrice stessa, il paziente non è pienamente coinvolto e il beneficio dell'esperienza di analisi viene, almeno in parte, perduta. L’analista svolge un ruolo attivo nella costruzione della relazione, assieme al paziente. Non si limita quindi più ad essere solo un osservatore distaccato, silenzioso, neutro.

Nel capitolo XXI, del libro il Piccolo Principe, sono a mio dire racchiusi i codici della terapia analitica. C'è la preziosità insostituibile del mondo dei sentimenti, dell'unicità, dell'appartenenza, della pazienza e dell'attesa. C'è la costruzione di un legame, c'è il tempo necessario alla creazione di un vincolo, un tempo che non preme e rispetta il tempo dell'altro. C'è l'umiltà di chi regala la propria esperienza senza pregiudizi e di chi la accoglie, con il cuore aperto, con la bellezza della scoperta, con il desiderio di cose nuove. C'è l'unicità della scelta e l'appagamento che ne consegue, c’è il tempo per conservare il valore del ricordo, della malinconia, della nostalgia in cambio di momenti unici di accudimento, appartenenza e vicinanza.

Il Legame

"Vieni a giocare con me", le propose il Piccolo Principe, “sono così triste..." "Non posso giocare con te", disse la volpe, "non sono addomesticata". "Che cosa vuol dire addomesticare?" "È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami" disse la volpe. "Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro”.  

L’unicità

“Se tu mi addomestichi, tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo … la mia vita sarà illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano…”

Il Tempo della Vicinanza

"Che cosa bisogna fare?" domandò il piccolo principe. "Bisogna essere molto pazienti", rispose la volpe. "In principio tu ti sederai un pò lontano da me, così, nell'erba. Io ti guarderò con la coda dell'occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un pò più vicino..."

Il rispetto per le regole

“Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora … Ci vogliono i riti". "Che cos'è un rito?" disse il Piccolo Principe. "Anche questa è una cosa da tempo dimenticata", disse la volpe. "È quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un'ora dalle altre ore”.

L’Attesa

Disse la volpe: "Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell'ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore...”

L’arricchimento

Così il piccolo principe addomesticò la volpe. E quando l'ora della partenza fu vicina: "Ah!" disse la volpe, "... piangerò" "Ma allora che ci guadagni?"

"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano".

La preziosità della dedizione e dell’insegnamento

Poi soggiunse: "Va' a rivedere le rose. Capirai che la tua è unica al mondo. Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalerò un segreto". Il piccolo principe se ne andò a rivedere le rose."Voi siete belle, ma siete vuote", disse ancora. "Non si può morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perché è lei che ho innaffiata. Perché è lei che ho messa sotto la campana di vetro. Perché è lei che ho riparata col paravento. Perché su di lei ho uccisi i bruchi (salvo i due o tre per le farfalle). Perché è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perché è la mia rosa". E ritornò dalla volpe.

L'anima

"Addio", disse la volpe. "Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi".

L'accudimento

"E' il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante".

L'Appartenenza

"Gli uomini hanno dimenticato questa verita'. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa. "

La separazione

E quando l'ora della partenza fu vicina: "Ah!" disse la volpe, "... piangerò". "La colpa è tua", disse il piccolo principe, "io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi...". "È vero", disse la volpe. "Ma piangerai!" disse il piccolo principe. "È certo", disse la volpe…

Nella lettura, scopriamo quindi che la relazione, deve seguire determinate tappe: ci sono le attese, gli orari, i giorni, le regole, insomma i riti da rispettare. Il crearsi dunque della relazione terapeutica o di una relazione neghentropica, come diremmo noi nella S.I.A.R., è un processo lento, graduale e molto delicato, che ha bisogno del fattore tempo: ogni giorno, attraverso il rito dell’appuntamento e delle riflessioni che ci si porta a casa, si impara a vedere col cuore, a sentire cioè le emozioni, ad ascoltare il corpo e i suoi bisogni, perché l’essenziale è invisibile agli occhi. E ciascuno conosce ciò che per lui è essenziale.

Dalla mia analisi ho appreso che, se si mantiene intatta la capacità di emozionarsi, di entrare in contatto con il proprio sentire e di riscoprire l’autenticità del rapporto con la vita, può essere essenziale anche solo godersi un tramonto in solitudine, anche una telefonata diventa importantissima, così come il guardare alle cose con semplicità: dopotutto la bellezza delle cose ama nascondersi.

L’analisi è una lettura, una ricerca intelligente (da intelligere “leggere tra”) della nostra vita perché va a curiosare sul senso nascosto delle cose, anche di quelle non visibili in superficie, del perché delle nostre emozioni, dei nostri comportamenti, dei nostri sintomi, le loro origini, le loro connessioni, le loro storie, soprattutto dei loro come. Uno degli scopi dell’analisi è proprio rendere visibile agli occhi del paziente ciò che ancora non lo è, rendere conscio l’inconscio, ossia rendere più chiari e consapevoli i propri schemi di pensiero e di azione, che si fanno sentire attraverso le difficoltà e le problematiche che lo hanno condotto in terapia.

La figura dell’analista è un punto fermo, una figura di riferimento che dopo averci accolto, ci sostiene, ci guida e ci accompagna in questo inaspettato e avventuroso viaggio verso i mari della nostra conoscenza, gioendo dei nostri successi, soffrendo per i nostri fallimenti e non lasciandoci mai soli, proprio perché come dice la volpe: “Se tu mi addomestichi, tu sarai per me unico al mondo”.

Così è successo per me, quando la vita mi ha portato improvvisamente sul sentiero della S.I.A.R., una strada di cui fino a poco prima non immaginavo neppure l’esistenza. E’ stato inizialmente come navigare in acque per me insidiose, con il vento sempre contro e in una continua burrasca. Ci sono stati momenti in cui avevo la sensazione di sprofondare negli abissi più profondi del mio passato, in cui la tentazione di mollare e arrendermi era sempre lì dietro l’angolo, sempre più forte ad ogni ricordo che riemergeva. La fatica più grande: affidarmi ad un'altra persona, ma la salvezza è stata proprio quella. Abbandonarmi e scoprire il sollievo di non annegare, di non precipitare nel dolore da sola, perché c’era uno sguardo amico e una mano tesa che mi sosteneva nelle mie sceltesenza pretese, senza richieste, ma solo con la sua presenza a farmi da guida.

Ma nonostante il viaggio sia lungo e tormentoso non mancano certo le ricchezze e i tesori di cui ci fa dono.

Il morso del serpente come desiderio di rinascita

Siamo così giunti alla vigilia del distacco. Il Piccolo Principe si appresta a ritornare sul suo pianeta. Dopo un lungo peregrinare è giunto l’anniversario del suo arrivo sulla Terra e quindi il momento del suo ritorno, là dove una rosa lo attende. Il viaggio è stato prezioso per lui: ha capito molte cose, ha stretto legami di amicizia con la volpe e il pilota, ha messo a nudo, con la sua ingenuità, i difetti degli uomini, e, soprattutto, ha capito che l’essenziale è invisibile agli occhi, solo il cuore con le sue vibrazioni lo rivela. Non rimane che l’incontro con il serpente che non aveva certo dimenticato la promessa fatta a quell’essere così puro: lo avrebbe aiutato a ritornare a casa.

Anche il mio viaggio durato quattro lunghi anni è stato prezioso, ha rappresentato per me la più bella e ricca esperienza di introspezione e riflessione sul significato della vita. Attraverso il confronto continuo con le fasi della mia vita ed i suoi significati più profondi, mi sono trovata nelle condizioni di meditare sui miei valori e sull'importanza che personalmente attribuisco all'Amore, al senso della vita, all'inevitabilità del dolore. Il ritrovarmi tra le mani questo piccolo libro mi è servito solo a fare di tutto ciò un principio di vita e non solo una riflessione.

Il Piccolo Principe rappresenta un po' il difficile travaglio che ciascuno vive per diventare grande, nel misurarsi con il mondo degli adulti al quale, se da una parte tendiamo, dall'altra ci opponiamo anche con feroce determinazione. Pensando proprio agli adulti, alla loro ambiziosa speranza di farci, un giorno, diventare delle persone responsabili e, per quanto è possibile, adeguate agli impegni che dovremo dimostrare di saper prendere, non sorprende che da piccoli il nostro più grande desiderio è di non deluderli mai. Nei nostri disperati tentativi di rassomigliarli, si racchiude il profondo desiderio di soddisfare ogni loro ambizione nei nostri confronti. Ma non sempre ne siamo capaci e non ci spieghiamo come mai per loro sia tanto difficile capire i nostri fallimenti. E' la confusione che deriva dal non avere una chiara percezione di noi, dalla paura di deluderli, dal timore di non essere mai all’altezza delle scelte che la vita ci porta a fare, che ci costringe il più delle volte ad atteggiamenti contrari alla nostra natura, come aggressività, chiusura, solitudine o falsa indifferenza che sono causa di peggiori conseguenze e alle quali non sempre siamo preparati.

 

Il rischio è chiudersi in se stessi ancora di più e personalmente l’unica strategia che avevo trovato per andare avanti era fuggire, non fisicamente ma con la mente, con la fantasia, mi estraniavo con la musica e i libri purché vivessi una realtà diversa e provassi emozioni più vive rispetto a quelle che la vita aveva riservato per me. Di fronte all’insicurezza, al timore degli altri e all’incertezza della vita viene facile fuggire, così anche il Piccolo Principe, che con la sua delicata purezza non capiva il suo Fiore e soffriva per le sue astuzie e le sue bugie, reagisce come ciascuno di noi farebbe per non soffrire: lo abbandona.

Solo quando poi ci si imbatte con l'imperfezione e si contatta la solitudine e il silenzio del deserto che ci portiamo dentro, i limiti dell'umana vanità, di chi affoga nell'alcool il proprio dolore, di chi ritiene che solo nell'autorità risieda la saggezza o di chi pensa di possedere il mondo perché possiede le stelle, ci si accorge che qualcosa deve cambiare: in noi, nei nostri schemi, nei nostri atteggiamenti, nei nostri comportamenti.

Ritengo che la gente possegga il libero arbitrio e che quindi ognuno sia libero di scegliere il proprio cammino: a volte questo cammino è chiaro, altre volte tutto il contrario, è immerso in una totale oscurità. Ogni curva, ogni svolta può mettere alla prova il nostro senso di orientamento, ma sono le scelte che facciamo quando arriviamo di fronte ad un bivio a definire chi siamo.

Ci sono momenti nella vita in cui, dunque, dobbiamo scegliere. Che fare? stare fermi e sperare nella buona sorte e in tempi migliori (perché è molto più semplice addossare la colpa di ciò che ci sta succedendo agli altri, pensare che è colpa del destino o delle circostanze) o prendere l’iniziativa, mettersi in discussione e provare a cambiare?

L’evoluzione è insita nelle leggi della vita, serve a mutar pelle come accade nei serpenti. Se si sceglie la via dell’evoluzione, può anche capitare di attraversare la sofferenza, affinché si possa rinascere. In questo contesto, a mio avviso, s’inserisce la figura del serpente nella parte finale del viaggio del Piccolo Principe. L’incontro col rettile equivale a fare quella scelta di fronte al bivio. È la scelta di prendere l’iniziativa, ossia il coraggio di intraprendere quella via di rinascita, che seppur più insidiosa, lo ricondurrà nel suo mondo, individuato, con nuovi strumenti e con una nuova conoscenza di sé e delle cose. Il serpente rappresenta dunque il germe dell’individuazione e della rigenerazione. E’ un modo per abbandonare la sua corazza e per riuscirne più riorganizzati, più leggeri proprio come fa il rettile spogliandosi della sua vecchia pelle.

 

Bibliografia
  • De Saint-Exupéry, A. (2000), Il Piccolo Principe. Editore Bompiani.
  • Bauman, Z. (2009),L’arte della vita. Traduzione di Marco Cupellaro. Edizioni Laterza. 
  • Reich, W.(1951), L’assassinio di Cristo: la peste emozionale dell'umanità (tr.Marco Amante, 1972). Milano: SugarCoEdizioni.

[* ] Psicologa, Psicoterapeuta

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