Il modello post-reichiano della S.I.A.R.
(Seconda parte)

Marcello Mannella* 

La Siar, in una chiara cornice analitica, riconosce pieno valore alla VegetoTerapia e ne afferma definitivamente la centralità; abbandona la concezione energetico-pulsionale dell’uomo; trasforma il setting in senso neghentropico-sistemico-complesso; rinuncia all’aspirazione utopica naturalistica. Proviamo a vedere da vicino ognuno di questi importanti e decisivi sviluppi.

Così Ferri afferma: “Ci ponemmo negli anni ’90, infatti, di fronte all’emergente necessità di approfondire e perfezionare la relazione nel setting, secondo parametri reichiani e di declinarla con la dimensione profondità/tempo. Un guizzo meta-analitico ci fece leggere il controtransfert come controtransfert di tratto e, in più, ci fece centrare il focus sull’Architettura della Relazione. […] Eravamo di nuovo nell’alveo del fiume analitico”.[1]

Il modello della S.I.A.R. osserva il sistema vivente uomo attraverso la prospettiva del tempo evolutivo, un tempo tridimensionale che, non più centrato sugli aspetti attuali, del qui ed ora (tempo bidimensionale), esamina le problematiche emozionali alla luce della storia evolutiva dell’individuo. Ciò ha portato ad individuare i nessi fra l’attivazione e la dominanza ontogenetica dei livelli, la prevalenza cerebrale[2], le fasi evolutive, mentre gli acting non sono più considerati soltanto in relazione ai livelli corporei, ma attentamente coniugati alle fasi evolutive.

Se, pertanto, così come in Reich, nella metodologia di Navarro i livelli sono proposti secondo una successione, dall’alto verso il basso, che prende in considerazione l’organismo che ha ormai completato il processo evolutivo, la S.I.A.R., invece, li ordina a partire dalla loro attivazione ontogenetica. Cioè li ordina in base al fatto che, durante lo sviluppo evolutivo, assumono una prevalenza energetico-fisiologica e sono pertanto di volta in volta deputati a veicolare e a ricevere impressioni in una specifica relazione di fase fra il sé e l’altro da-sé. (Ferri, Cimini, 2012).

Il primo livello ad attivarsi e ad assumere la prevalenza è pertanto quello addominale nelle fasi intrauterine, mentre la dominanza cerebrale è dei cervelli rettiliano e limbico.

Fanno seguito il secondo livello nella fase oro-labiale, con prevalenza cerebrale limbica, il quarto livello nella fase muscolare, anche essi caratterizzati da una prevalenza cerebrale limbica; ed infine il terzo, il quinto, il settimo e il primo livello, a prevalenza cerebrale limbica e neopalliale.

La coniugazione di livelli, fasi, passaggi di fase, tratti, cervelli, aree cerebrali ed acting permette di modulare l’intervento terapeutico sulle necessità cliniche del paziente. Nel modello S.I.A.R. parliamo di progettualità terapeutica generale o mirata.

La progettualità generale (somministrazione degli acting a partire da quelli del primo livello, secondo la successione proposta da Reich e Navarro) è attuata quando si ritiene opportuno che per un individuo sia necessaria la rivisitazione complessiva del sé, al fine di realizzare un “equilibrio sempre maggiore, perché più largo, dall’intrauterino al genitale, attraversando e coordinando frequenze, ritmi, e tempi evolutivi differenti” (Ferri, Cimini, 2012, p.186), permettendo all’Io di “essere sempre più intelligente, nel senso di leggere meglio il proprio Sé, ed una naturalezza armonica va a sostituire blocchi psicoemozionali e corporei disfunzionali” (ibidem).

La progettualità mirata (con acting di specifico livello, fase e tratto) è proposta, invece, per uno specifico disturbo, “sia esso sintomo, sia esso sindrome, sia esso tratto caratterologico oltre soglia” (ibidem) e gli acting somministrati pertanto sono quelli giudicati più adeguati a far muovere la persona dalla particolare condizione emozionale in cui risulta essere bloccata.

La possibilità di modulare l’intervento terapeutico discende alla S.I.A.R. anche dal fatto che è pervenuta ad una diversa considerazione del carattere.

Mentre tradizionalmente è stato inteso nei termini negativi della corazza che imprigiona e distorce il nucleo biologico naturale, ed inevitabile è allora il progetto terapeutico monotematico volto a smantellarlo, la S.I.A.R. supera l’equazione carattere=armatura o corazza (essa può esser vera solo per alcuni tipi caratteriali) e sostiene che ciascuno dei sette livelli corporei può trovarsi in una situazione di ipertono, ipotono, eutono. L’ipotono è sempre più frequente nel nostro tempo (Ferri, Cimini, 2012); in tutti questi casi non si può parlare di corazza e il progetto terapeutico, ovviamente, non può essere rivolto a sciogliere, ma piuttosto a densificare, a costruire una struttura, un carattere.

La S.I.A.R., pertanto, lo considera, quando improntato all’eutono dei tratti, la necessaria costruzione volta a dare forma alla nostra interiorità indeterminata e a permettere una soddisfacente e creativa relazione con il mondo.

Lo spostamento dalla concezione energetico-pulsionale a quella relazionale ha consentito alla S.I.A.R. di pervenire alla considerazione sistemico-complessa del setting.

Quest’ultimo è, pertanto, inteso come contenente relazionale, come lo spazio cioè in cui è agita la relazione fra l’analista e il paziente, vera e propria chiave del processo terapeutico.

Considerando la persona dell’analista profondamente implicata nel processo di trasformazione, particolare attenzione è rivolta allora al suo controtransfert. A differenza però della tradizione psicoanalitica, nel modello della S.I.A.R. il termine non è da intendersi soltanto come la particolare costellazione emotiva che l’analista prova nei riguardi dell’analizzato, ma rappresenta un prezioso strumento terapeutico. E’ regola fondamentale che se ne abbia piena consapevolezza, soprattutto nei suoi aspetti corporei. Qual è il livello corporeo che si attiva nella relazione con il paziente? E come risuonano i suoi tratti caratteriali sulla nostra struttura di personalità? Attraverso un’attenta analisi del carattere della relazione analista/analizzato (il setting inteso come analisi del carattere della relazione) è possibile modulare un adeguato assetto controtransferale psico-corporeo, assumendo la giusta posizione e il giusto come[3] per stimolare la capacità autopoietica di guarigione del paziente. Il setting assumerà allora una propria forma e organizzazione, troverà le proprie soluzioni, creative e sostenibili (il setting come sistema vivente complesso).

Ne consegue che la finalità terapeutica da perseguire non è, come per Reich e Navarro, identica per tutti gli individui; non si tratta di ripristinare il supposto funzionamento naturale dell’uomo. L’attività terapeutica non è più simile a quella dell’archeologo, così come lo è stata fino ad un certo punto per la psicoanalisi classica e ancora per tanta tradizione reichiana, che scava sempre più in profondità fino a portare alla luce le vestigia del passato (le esperienze infantili traumatiche per Freud; il funzionamento naturale per Reich). Nel modello S.I.A.R. la verità terapeutica non è un dato storico o naturale da svelare ma piuttosto qualcosa da costruire, la creazione autopoietica di quel nuovo sistema vivente che ha preso forma dall’incontro fra i tratti personalogici dell’analista e quelli del paziente. Esso si muove, pertanto, in una prospettiva decisamente costruttivista[4].

Da tutto ciò discende una posizione clinica non direttiva che viene a costituirsi, attraverso un agire (la somministrazione di acting), un domandare e problematizzare aperti e ambigui, come rumore, come elemento perturbatore, come stimolo capace di innescare la processualità autopoietica del sistema.

Dalla presa di distanza dall’utopismo naturalistico discendono alla S.I.A.R. altre importanti conseguenze teorico-pratiche: il giudizio estremamente critico sull’Orgonomia; un ripensamento del concetto di energia; una diversa considerazione del concetto di potenza orgastica.

A parere della S.I.A.R. la riflessione orgonomica, al di là di singolari e importanti intuizioni pure presenti, presenta una marcata problematicità epistemologica e segna una caduta verticale rispetto alla rigorosità scientifica che aveva contraddistinto la ricerca precedente. Tale fase del suo pensiero è dominata da un atteggiamento speculativo non impeccabile, che si intreccia profondamente con le aspirazioni personali, psicologiche ed esistenziali, di Reich e ha contribuito a porre l’intera sua riflessione ai margini del dibattito scientifico/culturale. Essa registra un progressivo abbandono della dimensione analitica e la prassi terapeutica, attraverso la proposizione di una tecnica (la Terapia Orgonica) considerata efficace anche nell’assenza di una chiara presenza coscienziale del paziente, si approssima pericolosamente verso una deriva meccanicista.

La riflessione orgonomica aveva avuto i suoi inizi nel cosiddetto periodo americano, in seguito alla presunta scoperta dell’energia orgonica cosmica che presiederebbe ad ogni fenomeno della natura, inorganico ed organico. L’idea che l’esistenza sia espressione di un principio energetico non è nuova nella storia della cultura, tanto occidentale che orientale. In Oriente troviamo, ad esempio, la tradizione cinese affermare la realtà del ch’i. Reich si riallaccia alla tradizione del pensiero vitalista che in età moderna aveva avuto nella filosofia di Giordano Bruno, filosofo che amò particolarmente, una delle sue massime espressioni (Reich, 1994). Avvertì anche le suggestioni della filosofia dell’elan vital di Bergson. Egli, però, “non riuscì a concepire l’energia orgonica come una misura di attività organica, ma fu costretto a vedere in essa una sostanza che poteva essere scoperta e accumulata” (Capra, 2003, p.286) e finì col concepirla cartesianamente come una realtà sostanziale con proprietà, leggi e finalità.

Inconsapevolmente era pervenuto ad una nuova metafisica della natura. A proposito della sua realtà, Ferri si domanda: “possiamo parlare oggi ancora di orgone e di energia orgonica? Credo proprio di no. E questa convinzione la sostengo indipendentemente dal valore scientifico (le attuali ricerche sembrano averli messi decisamente in ombra), ma perché mi piace essere in relazione con il mondo e un tale tipo di convinzione e posizione culturale mi costringe e mi relega in un soliloquio. […] Molti studiosi reichiani, prima di me, hanno sostenuto che il concetto di energia in Reich non sia da considerare un’evidenza al microscopio, ma piuttosto una lente di osservazione, un modo di porsi nella relazione di studio con l’oggetto vita, nella consapevolezza della relazione dell’osservatore con l’oggetto osservato. Uno per tutti: Roger Dadoun, che afferma ‘bionergia non è tanto il nome di un principio o di una teoria e ancor meno di una visione filosofica, quanto piuttosto la designazione di un campo unitario d’indagine’”[5]. La S.I.A.R. considera l’energetica reichiana un’ipotesi esplicativa che gli consente di andare oltre il riduzionismo e di approcciarsi alla realtà da un punto di vista sistemico-complesso.

Il rifiuto dell’utopismo naturalistico consente, infine, alla S.I.A.R. di pervenire ad una diversa considerazione di un altro dei concetti fondanti la tradizione reichiana, quello di potenza orgastica. Formulato nel periodo psicoanalitico, tale concetto aveva finito con l’assumere significati che esulavano dalla consueta considerazione dell’esperienza sessuale. Agli inizi della sua riflessione, Reich l’aveva intesa come la capacità di abbandonarsi, all’acme del piacere sessuale, “senza alcuna inibizione, al flusso dell’energia biologica, la capacità di scaricare l’eccitazione sessuale accumulata, attraverso contrazioni piacevoli involontarie del corpo.”(Reich, 1985, p.116).

orme sulla sabbiaFoto di Laura De StrobelLa potenza orgastica costituiva la condizione indispensabile per la sanità in quanto evitava ogni ristagno energetico che avrebbe potuto esitare in disturbi mentali o somatici. Rappresentava pertanto il fine della terapia ed era il segno distintivo dell’uomo genitale, un tipo caratteriale contraddistinto dalla misura, dall’ordine e dalla stabilità, perché capace di accettare le proprie sensazioni sessuali (la natura dentro di sé) e fluire pertanto in armonia con la natura fuori di sé.

Con lo sviluppo del suo pensiero, in concomitanza con lo spostamento di attenzione dall’uomo alla natura, la potenza orgastica era via via divenuta, dapprima il filo rosso[6] che attraversava e connetteva tutta la vita vivente, per essere considerata infine espressione di una funzione naturale, la superimposizione cosmica,[7] ancora più originaria, capace di connettere la vita vivente e non vivente. Essa esprimeva la tendenza dell’energia orgonica imprigionata nella corporeità di fuoriuscire e ricongiungersi all’oceano di energia orgonica cosmica. Nell’esperienza dell’orgasmo, superando ogni residuo coscienziale (Mannella, 2014), “il vivente nell’orgasmo non è altro che una parte della natura pulsante” (Reich, 1994, p.479), l’uomo, in una sorta di copula cosmica, viveva un’esperienza fusionale e si radicava profondamente nella natura.

In Reich, dunque, la funzione dell’orgasmo finiva con l’assumere un significato mistico-naturalistico.

Con la S.I.A.R. ridiventa una funzione umana, perdendo, nel contempo, il carattere eminente di esperienza sessuale. Ferri sostiene che “la potenza orgastica oggi va intesa come la possibilità di abbandonarsi e farsi attraversare dall’energia vitale, dal flusso neghentropico della pulsazione che attraversa il Sé in maniera piacevole e solare, con il senso di appartenenza ad un campo energetico maggiore e la percezione delle differenze di campo” (intervista a Ferri, n°2/2012) e, a suo parere, rappresenta il fine della terapia solo se la intendiamo come “la possibilità di pulsare e fluire dagli occhi ai genitali, che coinvolge, la mia interezza, la mia storia, attraversando i miei sette livelli”(ibidem)[8] “…. che coinvolge la mia interezza, la mia storia”(ibidem), è proprio in questa affermazione che possiamo cogliere il diverso e nuovo modo di intendere la potenza orgastica. Essa è la possibilità di manifestare ogni aspetto e dimensione del vivere umano, l’amore, il lavoro e la conoscenza, nella chiara coscienza di appartenere e di essere in relazione con l’ambiente naturale, sociale e culturale. La potenza orgastica è il movimento libero e fluido dell’energia vitale, che ci apre alla possibilità esistenziale di affermare e di esprimere creativamente la vita. È la capacità di fluire dagli occhi ai genitali, di soffermarsi, in un gioco/alternanza di prevalenze e di copresenze mai definitivo in ognuno dei sette livelli, di comporli in diverse e provvisorie gerarchie, per poter esprimere le molteplici funzioni e attitudini di quel particolare Sé, in base al suo temperamento e alla sua storia.

L’obiettivo terapeutico non è allora quello di pervenire alla definizione di personalità assolutamente coerenti e stabili (l’uomo genitale tradizionalmente inteso), pienamente realizzate. La convinzione è che l’esistenza sia un processo di crescita coscienziale che non ha mai fine e che richieda la realtà di personalità fluide, aperte, capaci di rispondere creativamente e responsabilmente ai nuovi e molteplici compiti che l’esistenza continuamente ci propone.

Solo così è possibile vivere nella responsabilità e nel piacere, e disporsi alla possibilità di comprensione dei significati sovrapersonali e sovrarazionali dell’esistenza.

 

Bibliografia
  • Capra, F. (2003), Il punto di svolta. Milano: Feltrinelli.
  • Ferri, G., Cimini, G. (2012) Psicopatologia e carattere. Alpes
  • Mannella, M. (2014) Wilhelm Reich: Il dramma e il genio. Roma: Alpes ed.
  • Reich, W. (1994), L'assassinio di Cristo. Milano: SugarCo.
  • Reich, W. (1994), La funzione dell'orgasmo. Milano: SugarCo.
  • Reich, W. (1994), Biopatia del cancro. Milano: SugarCo.
  • Reich, W. (1994), Superimposizione cosmica. Milano: SugarCo.
  • Reich, W. (1994), Analisi del carattere. Milano: SugarCo.

 

[1] Dall’intervento di G. Ferri al convegno della SIAR Dare corpo alla Mente, tenutosi a Roma il 29 Settembre 2012.

[2] La SIAR si richiama alla teoria dei tre cervelli di MacLean. Si veda Ferri G., Cimini G. (2012), Psicopatologia e carattere. Alpes ed.

[3] La posizione è la capacità da parte dell’analista di collocarsi sul tratto della propria personalità e assumere un atteggiamento empatico e dinamico funzionale al disturbo del paziente. Il come è l’espressione analogica della posizione che crea un’atmosfera di campo capace di produrre insight evolutivi decisivi.

[4]Il costruttivismo si fonda sul presupposto che le teorie non sono rappresentazioni oggettive della realtà, ma principi esplicativi necessari ad organizzare i dati dell’esperienza, modi di rapportarsi e organizzare il mondo. Anche in psicoterapia i modelli teorici rappresentano delle ipotesi esplicative attraverso cui l’analista incontra il mondo che l’altra persona porta nello spazio relazionale del setting.

 

[5] Dall’intervista a Genovino Ferri di M. Mannella Post Reichiani, pubblicata sulla rivista online n°2/2012 della S.I.A.R.

[6]“Con il suo rapido susseguirsi di espansioni e contrazioni l’orgasmo rappresenta una funzione fatta di gonfiamento e sgonfiamento, di carica e di scarica: la pulsazione biologica”. (W. Reich, 1994, p. 30.). “La funzione dell’orgasmo rientra dunque nel novero del quadriritmo: tensione – carica – scarica distensione. Abbreviando: ‘funzione t-c’. Gli studi fatti ci hanno confermato che la funzione t-c non è peculiare soltanto dell’orgasmo. Vale anche per tutte le funzioni dell’apparato autonomo della vita. Il cuore, l’intestino, la vescica orinaria, il polmone (respirazione) funzionano in questo ritmo. Ma anche la divisione della cellula obbedisce a questo quadriritmo, non meno del movimento dei protozoi e dei metazoi di ogni specie […] Con la nostra formula biologica siamo in grado di cogliere l’essenza del funzionamento della vita. La formula dell’orgasmo diventa la formula della vita. Ciò corrisponde esattamente alla nostra antica formulazione: ‘Il processo della sessualità non è che il processo produttivo biologico’, nella riproduzione, nella prestazione di lavoro, nel piacere di vivere, nella produzione intellettuale, ecc. L’accettazione o il rifiuto di questa formulazione dividono gli oppositori e gli estimatori della biofisica orgonica”. (Ibidem, p. 31.)

 

[7] Il concetto di superimposizione non è chiaramente definito da Reich. Esso sembra indicare sia la dinamica delle particelle di energia orgonica massa-esente che nel loro muoversi vorticoso si incontrano, si attraggono e si fondono (si superimpongono) dando origine alla materia inerte, sia assumere la significazione finalistica della tendenza dell’energia orgonica imprigionata nell’involucro materiale a fuoriuscire attraverso l’amplesso sessuale dalla stretta sacca che la contiene al fine di ricongiungersi con l’oceano di energia orgonica cosmica primordiale. (Reich, 1975)

[8] Per Reich segno inequivocabile della potenza orgastica era costituito dal riflesso dell’orgasmo (Reich, 1994) che esprimeva l’espressione emozionale dell’abbandono. Per Ferri non è più così: è possibile anche trovarci di fronte a disturbi e patologie di persone, nonostante esse presentino il riflesso dell’orgasmo.

 

* Psicologo, Psicoterapeuta, Analista S.I.A.R.

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