Concetto di tempo: il tempo lineare, il tempo circolare, il tempo dell’evoluzione, il tempo terapeutico

 di A. Gentile

L’analisi del concetto di “tempo” ha prodotto un enorme numero di riflessioni e di teorie, delineando posizioni problematiche. Un grande problema, forse di fatto irrisolvibile, è legato al fatto che “il tempo” è un oggetto di considerazione e, contemporaneamente, va a coincidere con lo stesso soggetto considerante. Il tempo presenta poi, da sempre, diverse facce. Talvolta nette e precise; talaltra sfumate e soffuse. Facce diverse, eppure tanto interconnesse che quasi trenta secoli di indagine filosofica e quattro di indagine scientifica non sono riusciti a risolverle. Il tempo si può esprimere attraverso un continuum misurabile ad una dimensione ma, contemporaneamente il tempo risulta composto da un’estensione passata e di un’estensione futura, il cui punto di confine è, di per sé, privo di estensione. Il presente quindi non ha dimensioni ma, paradossalmente, è il tempo del soggetto considerante (che non può che essere nel presente). Il tempo è stato definito, in ambito filosofico e scientifico come: tempo creativo, statico, dinamico, profondo, fuggente, esteso, tragico, epico, reale, immaginario, soggettivo, universale, ecc. Semplificando potrebbe distinguere tra due principali accezioni di tempo: il tempo della fisica ed il tempo del senso comune.
Il tempo della fisica: la scienza del 900 ha rivoluzionato in profondità il concetto di tempo, creando una vera e propria frattura tra il linguaggio scientifico e quello filosofico. Il tempo rigido indipendente ed assoluto di I. Newton è diventato progressivamente un’entità dinamica, elastica e strettamente legata allo spazio con A. Einstein. Per lui il tempo è una variabile dipendente sia del moto che del campo gravitazionale in cui si trova ogni singolo osservatore. Non esistono più, dunque, un passato, un presente ed un futuro validi per tutti e in ogni luogo. Ancora più inafferrabile ed etereo è, poi, il concetto di tempo nella meccanica quantistica. Il concetto di tempo è sempre più declinato al plurale: dal tempo ai tempi.
Il tempo nel senso comune: a partire da J. Piaget scopriamo come il bambino acquisisca la nozione di oggetto insieme a quella di spazio; mentre la nozione di tempo è associata a quella di causalità. Il bambino impara a collocare i gesti reversibili nello spazio e quelli irreversibili nel tempo. Il concetto di tempo è stato poi associato a quello di Io. Secondo il filosofo tedesco H. Reichenbach “Io sono” equivale a “Io sono ora”. Al contempo, però, l’uomo percepisce soggettivamente anche “il divenire”. Secondo I. Kant: “il tempo non è qualcosa di oggettivo. Non è sostanza, né accidente, né relazione, ma una condizione soggettiva necessaria, dovuta alla natura della mente umana”. Secondo M. Heidegger, poi, “la temporalità è l’essenza stessa della vita umana” ed è espressa da una famosa immagine di Borges: “Il tempo è la sostanza di cui sono fatto. Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume; è una tigre che mi sbrana, ma io sono la tigre; è un fuoco che mi divora, ma io sono il fuoco”.
Di fatto la fisica tutta, classica, relativistica e quantistica, negano all’unisono che il movimento biologico che dalla nascita porta alla morte ( e non viceversa) abbia una qualche realtà: negano insomma il valore della “freccia del tempo”. E’a partire da I. Prigogine che il concetto di “tempo irreversibile” apre una nuova prospettiva che forse tenta di riavvicinare la filosofia alla scienza.
Ma quali prove abbiamo che esista davvero un “tempo reale” al di fuori e non descrivibile dalla fisica? E quali sono, ammesso che esista, le sue origini e la sua natura? La nostra libertà e la nostra coscienza di essere liberi esprimono la prova fondamentale della realtà del tempo e la nostra autocoscienza ed il nostro libero arbitrio richiedono e non possono esistere senza “un futuro non ancora realizzato”. Un percorso analitico ha ragione di esistere proprio tenendo conto di questi assunti.

Il tempo nella terapia e nell’analisi
L’articolazione dialettica del tempo esterno (il tempo sperimentale, l’intervallo di tempo, il tempo misurabile) e del tempo interno rappresenta un arduo ma ineliminabile compito culturale e scientifico. E anche noi, in quanto psicoterapeuti e analisti, non possiamo eludere questo compito. Per noi è fondamentale riconoscere e percepire il tempo “interno e soggettivo della persona”. Sappiamo che il tempo neo-palliale è differente dal tempo limbico o neocorticale e, entrando più nello specifico reichiano, non potremmo equiparare un tempo oculare ad un tempo diaframmatico o a un tempo toracico. Il concetto di tempo non può essere infatti scisso dal concetto di struttura che lo esprime. Il nostro pretenzioso obiettivo è quello di avvicinare il tempo espressivo del movimento vitale interno al movimento vitale evolutivo. Ma, per fare ciò, dobbiamo necessariamente sentire il movimento vitale che attraversa i nostri strati e riconoscere la qualità neghentropica del movimento stesso. Lo sviluppo di un accesso tumorale può senza dubbio considerarsi un movimento energetico, ma un movimento però che va nella direzione dell’entropia (la morte del sistema). Sappiamo però come i tempi di passaggio energetico tra uno stadio e l’altro, tra un cervello e l’altro, tra un livello e l’altro risentono in maniera significativa del segno inciso che è stato registrato. Questo discorso ci porta alla centralità, nel setting terapeutico, del controtransfert corporeo dell’analista. Questi deve percepire la qualità/quantità/tempo del proprio movimento per poi necessariamente sintonizzarsi sui tempi interni del paziente. Federico Navarro diceva che l’analista doveva saper aspettare fino a che la persona poteva permettersi il movimento. La corresponsione tra questa articolazione del “tempo soggettivo” e quella del “tempo esterno” (del setting) può essere talvolta distonica e sfasata. Per questo motivo sono stati definiti dei confini di tempo e di movimento nel setting analitico-terapeutico: confini da interpretare come passaggi. Ogni seduta, in fondo, può essere definita come un passaggio: una riproposta di un’entrata e di un’uscita. Ma, parlando di tempi, dobbiamo anche introdurre il concetto di ritmo. Il nostro organismo rappresenta ed esprime una complessità di tempi e di ritmi e proponendo esercizi di VGT dobbiamo anche tener conto di questa interazione. Talvolta ci potrebbero essere esigenze di tempi specifici maggiori rispetto a quelli di una singola seduta ma, nel momento in cui proponiamo una sequenza di actings o di sedute ci rifacciamo ad un patto relazionale condiviso; un “tempo meta” all’interno del quale ci collochiamo. Questo tempo meta funge da cornice da cui non possiamo prescindere per evitare rischi dissipativi. L’articolazione dei tempi della forma vivente del paziente e dell’analista risponde ai tempi di una terza forma vivente costituita dalla relazione tra le altre due forme. Questa forma vivente la forma di questa relazione risponde alla carica del big-ben iniziale per poi percorrere la sua “freccia del tempo neghentropico”, con dei limiti legati alla carica propulsiva iniziale. Quindi il tempo evolutivo di una dimensione analitica è in rapporto alla specificità della relazione analista-analizzato ed è inscritto nella densità iniziale e nella natura dell’accoppiamento strutturale analista-analizzato. L’analisi interminabile, a cui faceva riferimento nonno Freud, letta in questa ottica esprime un’analisi incagliata in un accoppiamento strutturale che esprime una coazione a ripetere. L’analisi del carattere della relazione dovrebbe permettere il disincagliamento di questo accoppiamento strutturale. Non è accettabile per noi pensare ad un tempo interminabile, ma neppure ad un tempo iperveloce moderno; tempi che non tengono conto del funzionalismo bioenergetico. In una dimensione più specificatamente analitico-terapeutica reichiana verifichiamo, poi, quanto sia significativo il momento di proposizione degli actings durante il processo terapeutico. Il momento in cui viene somministrato il primo acting è in qualche modo correlato al tempo evolutivo del paziente ed al tempo della relazione tra il paziente e l’analista. L’utilizzo di una metodologia troppo standardizzata correrebbe perciò il rischio di non vedere dove si trova il paziente (e la relazione), rispetto “alla sua linea del tempo”.
Le scienze centrate sulla misurazione dei processi, come pure le scienze statistiche, però, hanno avuto la necessità di stabilire delle “temporalità invarianti” che facilitassero la ripetibilità e la condivisibilità di un’osservazione o di un esperimento. Anche la medicina, la psicologia, la clinica diagnostica e terapeutica hanno definito queste “temporalità invarianti”, definendo dei “tempi ripetibili”, dei “tempi reversibili”, dei “tempi sperimentali”. Pensiamo per esempio ai tempi stabili di durata degli actings di VGT; tempi e ritmi abbastanza standardizzati e che tengono conto della media delle risposte fisiologiche alle varie stimolazioni esterne. La scienza, quindi, non può prescindere da osservazioni e da verifiche operate in tempi predefiniti e sufficientemente stabili; anche se i paradigmi scientifici più evoluti ed auto-osservativi hanno però la consapevolezza di come, queste finestre temporali, rappresentino dei “costrutti funzionali al processo da indagare”.

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