L’analisi reichiana | Roberto Sassone

Ho il piacere di raccontarvi di Reich e di come si arriva all’analisi reichiana. La sua vita parla da sola. Era un uomo animato da una continua aspirazione alla conoscenza, un ricercatore nato, sempre teso a cogliere il significato profondo degli eventi umani, spinto dal senso di giustizia, di coerenza e di verità. Non tollerava compromessi e proprio questa caratteristica ha ancor più complicato la sua vita.
Lo immagino stretto e recalcitrante nel cenacolo di Freud, in una società ancora intrisa di perbenismo, mentre le sue scoperte lo portavano oltre il maestro, che già era stato una pietra di scandalo perché nei primi del 900 aveva osato parlare di sessualità infantile.
Reich dunque nasce come psicanalista e questo non bisogna dimenticarlo, se vogliamo comprendere il suo pensiero. Tra l’altro egli era uno dei più promettenti allievi: infatti Freud gli affidò la direzione dei seminari didattici nel 1924, a soli 27 anni.
Agli inizi degli anni ‘30 elaborò una nuova procedura che chiamò “analisi del carattere”, insoddisfatto dei metodi che allora si usavano per analizzare le resistenze (1).
L’analista di quegli anni interpretava i contenuti del paziente man mano che questi li produceva ed aspettava la comparsa del materiale rimosso con scarsa capacità di intervenire sulle resistenze. Reich invece si rese conto che il paziente manifestava la sua resistenza all’analisi mediante il suo atteggiamento. Cominciò quindi ad osservare attentamente, non soltanto cosa veniva comunicato, ma “come”. Il paziente si difende col suo comportamento: quindi il carattere funziona come resistenza. Sono resistenze il tono di voce, i gesti, il modo di sorridere, l’intercalare, etc.
La concezione del carattere come struttura difensiva consentì a Reich di elaborare in maniera sistematica l’analisi delle resistenze e del transfert. Il paziente, divenendo consapevole del suo “come”, comincia a togliersi la maschera, fa emergere le emozioni nascoste ed appare con evidenza il transfert negativo.
L’analisi del carattere segna un salto di qualità nel percorso analitico e nella concezione dell’uomo per tre motivi: perché introduce il corpo nel setting, pur se lasciato ancora sullo sfondo, perché afferma l’identità funzionale tra psiche e soma e perché getta le basi della visione sistemica dell’individuo.
Infatti Reich definiva carattere un sistema organizzato, costituito dall’insieme delle difese narcisistiche. Questo sistema comprende diversi piani continuamente integrati e correlati. Il corpo, le emozioni e le attività cognitive sono talmente interconnessi nell’ambito della struttura del carattere che una determinata caratteristica dell’individuo la si trova su tutti i piani in cui si esprime. Un esempio semplicissimo: chi ha un carattere molto rigido ha un corpo rigido, emozioni rigide, atteggiamenti rigidi e un modo di pensare rigido: ogni sfera del suo esistere è caratterizzata dalla durezza. Ogni avvenimento della vita si incide su tutte le parti che compongono il sistema uomo; non c’è esperienza che non sia contemporaneamente fisica, emotiva e mentale.
Questa visione integrale dell’uomo diverrà nei decenni successivi un’acquisizione del paradigma scientifico: Reich diede consistenza alla medicina psicosomatica, spiegando in tal modo il sintomo come linguaggio dell’intero biosistema.
Abbiamo visto che, osservando il come del paziente, si comincia a guardare il corpo: il corpo dunque entra di diritto nel setting, diventa soggetto, entra nella sfera dell’io, è linguaggio, emozione ed espressione.
Ma solo più tardi, con la Vegetoterapia, Reich interviene direttamente sul corpo per accelerare la destrutturazione delle difese per mezzo delle emozioni imprigionate inconsapevolmente e trattenute da contrazioni croniche in certi gruppi muscolari che esprimono ognuno la storia dell’individuo.
Con la Vegetoterapia, termine infelice per le assonanze con la parola vegetale anziché vegetativo, Reich getta le basi di quelle che saranno le numerose psicoterapie corporee degli ultimi anni.
L’intervento mirato sul corpo consente infatti l’abreazione di emozioni così antiche che si riferiscono persino ad esperienze avvenute in fase preverbale ed intrauterina.
Ci si può rendere conto quindi della grande capacità di trasformazione che una simile opportunità consente alla coscienza individuale.
Già negli anni ‘30 Reich diede molto risalto all’importanza della respirazione. Dobbiamo sottolineare questa fase perché oggi la respirazione come funzione che sta alla base della salute psicofisica è conosciuta ed applicata in ogni settore che ha a che fare con interventi che passano attraverso la fisicità.
Ancor prima Ferenczi aveva notato il nesso tra respirazione e contrazioni muscolari ed invitava i suoi pazienti a respirare agevolmente e tranquillamente durante le sedute. Ma Reich studiò in maniera specifica i vari modi in cui il diaframma si “congela”, riducendo il tono vitale e consentendo la repressione delle emozioni.
Sappiamo benissimo che l’arte del respiro nello yoga e in molte altre discipline antiche abbia un posto preminente tra gli strumenti di sviluppo della coscienza.
La respirazione è la funzione vitale per eccellenza ed è per questo che modificare il respiro produce modificazioni profonde nel modo di sentire se stessi e ciò che entra in relazione con sé.
Reich faceva fare per vari minuti delle respirazioni profonde, anche forzate, che producevano abreazioni molto potenti. E’ interessante notare che successivamente Groff, psichiatra transpersonale che studia in particolar modo gli effetti dei traumi intrauterini e neonatali nello sviluppo, ha ripreso questa tecnica, facendone il perno del suo metodo terapeutico, chiamandola respirazione olotrofica.
Le tecniche corporee si sono andate sempre più sviluppando nella prassi terapeutica di Reich, diventando dei veri e propri actings che riproponevano le espressioni fondamentali dell’individuo. Federico Navarro ha successivamente sistematizzato gli actings di Reich, creando una metodologia completa nella psicoterapia reichiana.
Man mano che procedeva nella sua ricerca, dedicava sempre più tempo allo studio dei processi energetici che stanno alla base del fenomeno vita ed i suoi esperimenti lo conducevano a dare consistenza alla teoria freudiana della libido. Egli già nella Funzione dell’Orgasmo del 1927 formulò la teoria secondo la quale “l’orgasmo ha la funzione di scaricare l’energia in eccesso dell’organismo. Se tale energia non può scaricarsi affatto o non sufficientemente, si sviluppa l’angoscia”(2).
Negli anni ‘40 abbandona il termine Vegetoterapia e definisce Orgonoterapia la sua metodologia terapeutica ed Orgonomia il corpus di tutta la sua teoria sull’energia orgonica o energia dell’organismo. Reich definì Orgone una particella di tale energia.
Questa fase del pensiero reichiano è senz’altro la più controversa, ma a mio avviso anche la più geniale ed intuitiva.
Abbiamo visto che Reich fin dal 1927 si applica allo studio dell’energia sessuale e dell’energia vitale nell’organismo. La chiama anche bioenergia, termine che poi fu usato da Alexander Lowen per indicare il suo metodo terapeutico.
Ritengo che il periodo di ricerca orgonomico sancisca l’inizio del paradigma olistico e sistemico della scienza dell’ultimo decennio. Reich introduce il pensiero funzionale che è un modo di pensare olistico, a tutto campo, in cui il soggetto e l’oggetto non sono più considerati separati. Il pensiero funzionale appartiene all’uomo cosciente di sé e della sua identità con il cosmo.
Reich diceva che l’individuo è espressione dell’energia orgonica cosmica e che quindi s’inserisce come sottosistema nel più vasto sistema della Terra e dell’universo. L’uomo non è quindi separato dai fenomeni che studia, perché le stesse leggi che ritrova nell’universo agiscono in lui.
Così si esprime in Superimposizione Cosmica: “Poiché l’io è un frammento di energia orgonica cosmica organizzata, la piena consapevolezza è…un passo avanti della stessa energia orgonica cosmica”(3).
In queste parole Reich è in accordo con le tradizioni sapienziali che inseriscono il prodigio della coscienza in un più vasto sistema di riferimento e in accordo con il pensiero sistemico che vede esponenti di spicco in Bateson, Capra, Prigogine e Wilber, per citare i più conosciuti, che vedono nella complessità dell’organizzazione un elemento chiave della vita della mente.
Trent’anni prima delle loro affermazioni già Reich si esprimeva nella stessa ottica e ciò che diceva lo colloca tra i più grandi pensatori del nostro secolo: “Nell’autoconsapevolezza e nell’anelito alla perfezione della conoscenza e della piena integrazione delle proprie biofunzioni, l’energia cosmica diviene consapevole di sé. In questo divenire consapevole di sé, ciò che si chiama destino umano è tolto dal campo del misticismo. Esso diviene una realtà di dimensioni cosmiche che si fonde comprensibilmente con tutte le grandi filosofie e tutte le grandi religioni dell’uomo e intorno all’uomo.”(4).-

Qui Reich è all’apice della sua intuizione. Ma come prosegue la storia? Reich muore da martire come la maggior parte di coloro che hanno osato sfidare il sistema con la forza delle idee.

 

 

 

*Psicoterapeuta, analista didatta della S.I.A.R.

 

Bibliografia

W.Reich, Analisi del carattere, Sugarco, 1973.
La funzione dell’orgasmo, Sugarco, 1969.
Superimposizione cosmica, Sugarco, 1988.
W.Reich, Ibid.

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