Rivista

QUI RIDO IO 

di  Mario Martone, Italia, 2021 

a cura di Luisa Barbato*

 

 

     “Qui rido io” è un film del 2021 diretto da Mario Martone. Siamo agli inizi del ‘900, per la precisione 1908, nella Napoli della Belle Époque, dove sono molto seguiti il teatro e il cinematografo. Il grande attore comico Eduardo Scarpetta è il re del botteghino e il successo lo ha reso un uomo ricchissimo: di umili origini si è affermato grazie alle sue commedie e alla maschera di Felice Sciosciammocca che nel cuore del pubblico napoletano ha soppiantato Pulcinella.

     Il teatro è la sua vita e attorno al lavoro teatrale e ai relativi guadagni si muove la sua articolata famiglia, una specie di comune ante-litteram con mogli, compagne, amanti, figli legittimi e illegittimi tra cui Titina, Eduardo e Peppino De Filippo. Ma il re assoluto della famiglia allargata è lui, Eduardo, personaggio egoico, istrione, ingombrante, ma anche tanto generoso, creativo, intuitivo. Coerentemente, Martone comincia dalle scene di Miseria e nobiltà con una straordinaria sequenza, tra i camerini, il palco, la platea, il dietro le quinte da cui Eduardo De Filippo spia incantato la magia dello spettacolo. E tutto il film si svolge come su un palcoscenico, in una rappresentazione senza soluzione, mentre i classici napoletani passano in una sequenza che attraversa l’intero film.

locandina Qui rido ioLocandina del film "Qui rido io"

     Al culmine del successo Scarpetta si concede una mossa audace: decide di realizzare la parodia di La figlia di Iorio, tragedia del più grande e osannato poeta italiano del tempo, Gabriele D’Annunzio. La sera del debutto in teatro si scatena un putiferio: la commedia viene interrotta tra urla, fischi e improperi: impossibile ironizzare sul vate D’Annunzio e sulla cultura conformista del momento che finirà per appoggiare il fascismo. Così Scarpetta viene denunciato per plagio dallo stesso D’Annunzio, avviando la prima storica causa sul diritto d’autore in Italia. Gli anni del processo saranno logoranti per lui e per la famiglia e il suo astro comincerà a decadere, come del resto la cultura prefascista e prebellica, ancorata a una visione tradizionale e popolare che sarà spazzata via dal secondo conflitto mondiale.

     Sarà poi il figlio mai riconosciuto Eduardo De Filippo, che appunto porterà il cognome della madre, ad approfondire il tema della fine della cultura popolare in Italia, e quella napoletana in particolare, logorata dalla guerra e dal futuro sviluppo economico. Come per le commedie del padre, la commedia di Eduardo mostra una forma comica e tragica allo stesso tempo perché il teatro dei tempi di Scarpetta non aveva bisogno di esibire forme tragiche per essere tragico, essendo espressione diretta della sofferenza del popolo. “Qui rido io” è così incentrato sulla figura patriarcale di Eduardo Scarpetta, ma può essere letto come un viaggio alle origini dell’opera eduardiana.

     Il film si muove quindi su un doppio registro, familiare e sociale, culturale e intimista, e la vita ricca e complessa di Scarpetta diventa la metafora della transizione di un'epoca, della trasformazione di una cultura, ma sempre con un annodarsi di arte e vita. Così, coloro che vogliono rappresentare il popolo separando la tragedia dalla commedia falliscono, perché mancano la vera anima napoletana. Essa non è né comica né tragica, ma è lo scorrere sublime e inappellabile della vita che si cela dietro il carnevale del nostro quotidiano che è appunto comico e tragico allo stesso tempo.

     In sintesi si può dire che l’ambito in cui si intrecciano maggiormente i due piani del film è quello simbolico, relativo alla ricerca di individualità e alla conseguente uccisione freudiana del padre per ottenerla. Ognuno dei personaggi è, infatti, alla costante ricerca del riconoscimento da parte della figura paterna: tanto da un punto di vista biologico, cosa che ricercano i figli, in particolare i piccoli De Filippo, sia da uno simbolico, bramato dallo stesso Scarpetta quando si rivolge a D’Annunzio al fine di ottenere la sua autorizzazione alla parodia, cosa che avrebbe posto sullo stesso livello le due opere teatrali e, dunque, le due forme artistiche. Tuttavia, il riconoscimento non avviene mai e la figura paterna non viene mai spodestata; così i personaggi sono condannati a ricercare la propria indipendenza e individualità (sia artistica nel caso del protagonista, sia psicologica nel caso dei figli) tramite la sublimazione artistica.

     In tutto questo Toni Servillo è un vero gigante che incarna alla perfezione una maschera capace di sedurre le folle e governare il sempre più ingovernabile apparato del dietro le quinte, mentre intorno a lui uno stuolo di bravissimi attori napoletani, i migliori attualmente operanti, (da Maria Nazionale a Cristiana Dell’Anna, da Gianfelice Imparato ad Antonia Truppo, da Eduardo Scarpetta – che interpreta Vincenzo, di fatto il suo bisnonno – a Roberto De Francesco e Lino Musella, rispettivamente Salvatore di Giacomo e Benedetto Croce) completa un quadro di recitazione che rasenta la perfezione.

     In conclusione, si tratta di un film ricco in cui si intrecciano molti livelli, ma senza pretese di intellettualità, anzi, come in tutti i grandi film i messaggi più complessi sono veicolati da un piano scenico emozionale e artistico. È bello e intenso vedere questo film, la tensione non cala mai, le soluzioni trovate non sono banali e alla fine ci si ritrova coinvolti e pienamente partecipi delle vicende di Scarpetta e della sua famiglia. Ma tramite questo coinvolgimento si riesce non solo a capire, ma soprattutto a sentire un’epoca, un dibattito tra arte e cultura, tra miseria e classi sociali ancora oggi quanto mai attuale. Solo le grandi opere cinematografiche riescono a centrare questo intreccio tra emozione, cultura e arte.

 

* Psicologa, psicoterapeuta, Analista Reichiana

 

 LA GUERRA E LA PACE

 

WAR AND PEACE

DOI 10.57613/SIAR30

 

Autori Vari[*]

 

Abstract 

      Un piccolo gruppo di psicoterapeuti analisti reichiani ha condiviso riflessioni personali sulla guerra in corso in Ucraina, sul bisogno di perseguire la pace e sulle risonanze che ne derivano nel setting terapeutico. La linea guida delle riflessioni è data da domande su questo tema formulate durante i lavori della Commissione Riviste della FIAP.

 Parole chiave

     Guerra – pace – Ucraina – Setting terapeutico.

 

Abstract

     A small group of reichian analyst psychotherapists shared personal reflections on the ongoing war in Ukraine, the need to pursue peace, and the resulting resonances in the therapeutic setting. Guideline for these reflections is offered by questions formulated on the matter during the work of the FIAP Journals Committee.

Key words

    War – Peace – Ukraine - Therapeutic setting.

 

Qual è il tuo vissuto soggettivo rispetto al tema della guerra e della pace?

L’essere in guerra ed in pace lo leggo anche come un fatto personale, intimo. Questo è il tempo storico in cui abbiamo imparato a dire ed organizzare (logicamente) pensieri che non sempre rispecchiano il piano emotivo: è possibile parlare di pace utilizzando un come corporeo molto violento. La guerra e la pace le vivo come condizioni da ricercare profondamente abitando le proprie parti, anche quelle aggressive. Su questo la psicoterapia diviene un atto di possibile costruzione di pace.

(A.M.)

Inquietudine, smarrimento, bisogno di fare cose semplici concrete e costruttive, piccole nella quotidianità, sperando che il mio atteggiamento sia contagioso. Penso spesso a quanto raccontavano i miei genitori delle esperienze della guerra.

(S.B.)

Di guerre ce ne sono tante in corso nel mondo: questo è un pensiero che ho sempre posto nel recinto della negatività, della malagestione della politica mondiale, ne ho sempre immaginato la sofferenza per le persone coinvolte, ma con una distanza che l'invasione russa della Ucraina ha azzerato.Ora mi trovo coinvolta in un processo di identificazione che devo imparare a gestire. Mi trovo a chiedermi: se devo scappare da casa mia, cosa posso mettere in una valigia? Una sola sarei in grado di gestire nel cammino, quali sono le cose indispensabili? vestiti o cibo? l'acqua? i documenti? del denaro? il cellulare? Non ho l'automobile, a quale familiare chiederei ospitalità nel suo abitacolo viaggiante? Per andare dove? Ecco, questo non mi era mai capitato prima. E allora la ricerca di pensieri sulle vie diplomatiche, che però non vedo attivarsi, sull'ONU che non parla, sull'impotenza, su quello che non si è fatto per prevenire questo disastro. Il pensiero del rischio nucleare fa da sottofondo. Metto alla finestra la bandiera della pace, vado alle manifestazioni che chiedono la pace, e poi trovo conflittualità con gli amici, con i parenti che con rabbia mi dicono che l'unica risposta possibile è inviare armi. Cerco di non farmi travolgere e mi dico che dobbiamo cercare tenacemente una via più umana, che è anche più intelligente.

(M.P.)

 Il mio vissuto: delusione e impotenza. Piccoli uomini inadeguati al vertice dei governi su questo Pianeta, che fanno correre il rischio, ad alta probabilità, di Armagheddon per la Vita. La Pace è una co-costruzione di un equilibrio di campo, che risponde a requisiti relazionali ben precisi, ancor di più se fatta in un’organizzazione intelligente di umani. Co-costruzione impossibile allo stato, perché un’intelligenza rettiliana, del diverso-nemico, domina i piccoli uomini governanti del mondo. Anche il corpo sociale in questo pianeta è affetto da peste emozionale, vera e propria sindrome rettiliana: una circolarità difficile da spezzare.

(G.F.)

La guerra mi angoscia. La considero la diretta conseguenza della perdita degli occhi e della capacità di ragionamento. Per me la guerra è distruzione, violenza, dolore, perdita, miseria, fame, disperazione, orrore, terrore. Non riesco a concepire come si possa usare la guerra come risoluzione di un conflitto. Non ci sono ragioni che sostengono la guerra. Nella guerra si perde tutti. Che vittoria può essere quella che si afferma su milioni di morti, su tanti bambini uccisi, su corpi violati delle donne, sulla distruzione della cultura e dell'identità di un popolo? Se si tiene presente che la guerra è tutto questo, mi chiedo come sia possibile considerarla uno strumento risolutivo.L'essere umano deve necessariamente cercare altre soluzioni ai diversi conflitti che la vita in comune inevitabilmente presenta. Bisogna cercarle con intelligenza e con cuore. La pace è il frutto di questo sforzo. E non va perseguita soltanto in situazioni eccezionali ma sempre. È necessario creare una cultura di pace che insegni il riconoscimento e il rispetto della Vita. Sono convinta che la guerra, qualsiasi guerra, quella espansionistica, quella economica, quella geopolitica, quella giusta, quella santa, ha la sua radice nell'animo umano. L'essere umano deve crescere, evolvere ed attestarsi su posizioni più alte. Attivare, espandere e consolidare la neocortex, quella parte del nostro cervello che ci permette di ragionare e sentire compassione. In questa ottica il nostro lavoro può svolgere una funzione molto importante: quella di accompagnare chi lo desidera a guardare la propria profondità, accoglierla, comprenderla e con una nuova consapevolezza risalire neghentropicamente su organizzazioni più elevate e complesse. È un lavoro certosino e richiede molto tempo, certo non utile per una immediata soluzione. Però mi piace pensare che anche gli umani possono imparare a "vivere senza ammazzare" imitando coloro che già vivono in questo modo, così come ha fatto un'intera comunità di primati che imparò da pochi elementi del gruppo a lavare il cibo prima di mangiarlo.

(R.B.)

La guerra è entropica, non è mai una soluzione funzionale per un sistema che vuole crescere armonicamente. È il risultato di sistemi di potere e non di potenza, che stanno sull'avere e non sull'essere.

(T.M.) 

È un vissuto di sgomento. Appare chiaro che la storia non è necessariamente maestra di vita, che perseverare negli errori è umano. Lo sgomento nasce anche dal fatto che il mondo sembra ormai dominato da individui e gruppi che perseguono scientemente il male e la violenza, mentre la maggioranza, pur contraria, non riesce a trovare il modo di incidere, di farsi sentire.

(M.M.) 

Se parliamo di vissuto soggettivo devo rispondere che è un vissuto contraddittorio di rifiuto e disgusto della guerra ma non di estraneità. Anche sul tema della pace vivo una certa contraddizione tra un sincero anelito alla pace e un fastidio di fronte alla retorica e ai facili appelli alla pace.

(M.L.D.S.) 

Direi di amarezza, più che di delusione (perché lì c’ero già arrivato). Vivere in un mondo in cui l’immagine dà il senso dell’ Io, del mio valore ; un mondo in cui la cultura è formata sui social, in cui, al posto di un approccio critico (potremmo dire la rotazione degli occhi) si formano le tifoserie da stadio, dove c’è una cosa giusta e l’altra, gli altri sbagliati. In cui si è passati dai No tav ai No vax, come se i primi due No eguagliassero le altre due parole! In cui, sempre più, molti pensano ad un potere  occulto …Si sta sempre più sui social e si è sempre più soli! Ed ecco che arriva una guerra. Non ci si domanda: perché, cosa sta succedendo, cosa si può fare per fermarla! No, ci sono i buoni ed i cattivi! E chi non sta con i buoni significa che è putiniano. E sembra che sia necessario che ci sia un vincitore, mentre l’altro deve perdere! Costi quel che costi  [aumento del gas, penuria del grano per nazioni (sottolineo non nazioni in senso ideologico, ma Uomini, Donne, Anziani, Bambini)  che già muoiono di fame]. Ma io non posso neppure dimenticare tutti i giovani (hanno l’età dei miei figli) morti da una parte e dall’altra del fronte, probabilmente per molti senza nemmeno sapere per quale motivo erano lì. Le crisi economiche che molte nazioni subiranno da questa assurda guerra porteranno licenziamenti, povertà … Nulla ha importanza; è necessario dare armi, soldi, ma aggiungerei assistenza militare … a (non tanto all’Ucraina o agli ucraini, ma a Zelensky). E, prima di terminare questo primo punto sociologico e riconoscere pure la mia rabbia, permettetemi di aggiungere altre tre cose:

  • Gli artisti, i musicisti, gli sportivi russi, sono stati esclusi da tutto, solo perché di origine russa, così come gli ebrei dovevano essere estirpati, perché ebrei..
  • Zelensky è stato proposto per il Nobel della pace (ma ci rendiamo conto….?)
  • L’unico capo di stato che si sta dando da fare per la pace è Erdogan (ci ricordiamo chi è Erdogan!)

Ecco, tutto questo mi fa dire che c’è proprio un elemento antropologico culturale che è saltato! (per farvi sorridere un po’, posso dire che dopo 25 anni mi trovo d’accordo con alcune affermazione sulla guerra e su Zelensky di Berlusconi! Che chiaramente lui è putiniano).

(G.N.)

 

È un vissuto di sgomento, di sospensione. Mi rendo sempre più conto che nel mondo vi è una ripartizione ingiusta dei beni e delle ricchezze. Di conseguenza quando in una società si vive una disuguaglianza così accentuata  appare evidente che prima o poi vi siano le guerre; anzi in un mondo come il nostro basato prevalentemente sul potere e sull’ingiustizia diventa un fatto inevitabile. Fin quando ci saranno intere aree geografiche povere ed affamate c’è da aspettarsi che si ribellino. Molto spesso, tuttavia, ci rendiamo conto che non è più neanche la fame che crea le guerre, ma la sopraffazione, la prevaricazione, l’accaparrare egoisticamente i beni di una nazione o più nazioni. Ma questo c’è sempre stato! Basta leggere i libri di storia! Occorre stabilire quali siano i termini di partenza, che vanno al di là della storia, delle ideologie, dell’economia, della politica. Per cui, sentirsi felice o provare il senso della pace è un po’ difficile in un mondo siffatto. Quando prevalgono gli istinti  che sono governati dalla cultura dell’appropriazione, della violenza e non dalla cultura umanistica e da una filosofia dello spirito, va da sé che ci troveremo sempre di più a vivere lunghi periodi di vita basati su una grande miseria umana interiore.

(P.M.)

 

Che effetto ha avuto sul tuo essere terapeuta questa guerra?

Mi sono chiesta in che modo la psicoterapia possa accompagnare, specie in questo tempo, le persone ad un pensiero complesso, non polarizzato, all’interno del quale leggere i processi e le dinamiche piuttosto che le estremizzazioni e le divisioni in buoni e cattivi. Come terapeuti   possiamo sostenere l’altro, senza elogiarlo né giudicarlo, restituendo lo sguardo relazionale all’altro che vive nel mondo. Come    terapeuta ho sentito in questi mesi di dovere lavorare nei gruppi, di proporre spazi sani per portare in terapia le modalità dannose cui questa società ci sta abituando.

(A.M.)

Allargare la riflessione e portarla a gruppi, con un collega pedagogista ho fatto incontri con un gruppo sul tema del conflitto. Esplorare il nostro modo di stare nel conflitto ci aiuta a capire come possiamo fare per essere con l’altro in posizioni di ascolto confronto e scambio. È possibile un conflitto costruttivo, incontrare un’intelligenza di gruppo se ci si orienta all’ascolto.

(S.B.)

Come terapeuta mi sento come su una barca che prende su qualche naufrago, ma intorno la tempesta aumenta di ora in ora.

(M.P.)

Un effetto scoraggiante, perché una professione meravigliosa, umana e attenta, come la nostra, rappresenta solo un granello terapeutico collocato in un mondo che dovrebbe stendersi per qualche decennio e più sul lettino dell’analista. È difficile, ogni giorno, resettarmi per restituire bellezza, intelligenza e sapere. Prendo perciò a prestito fotogrammi delle dinamiche di guerra per fare analisi      del carattere delle nazioni e dei personaggi, collocare i pattern di tratto nel tempo di fase e nei livelli         corporei corrispondenti, codice di lettura, il nostro, valido anche per sistemi viventi così grandi. Tutto ciò mi placa e mi aiuta a comprendere, a stare nel mio essere analista-terapeuta, persona occidentale e cittadino del mondo.

(G.F.)

Certamente questa guerra ha appesantito la mia anima ma non so dire in che modo e in quale entità interferisce nella relazione con i miei pazienti.

Ho notato però una leggera sensazione di conforto, sia in me che nel paziente, quando l'argomento in qualche modo veniva affrontato.

(R.B.)

Dover salire in neghentropia lavorando ancor più su di sé, per esprimere una vitalità maggiore e sentire una sostenibilità possibile.

(T.M.)

 Sottrae energie, non aiuta a posizionarsi alle più alte possibilità di sé per aiutare il paziente a risvegliare e fare appello alle proprie migliori energie.

(M.M.)

Ha messo in primo piano il tema del conflitto - che ritengo essere presente in ogni disagio interiore e perciò in ogni paziente - portandomi ad approfondirlo.

(M.L.D.S.)

Professionalmente parlando direi poco. Con il paziente ci sono (come se la guerra non ci fosse). Ma mi fa sorgere tante domande esistenziali.

(G.N.)

Può dare a volte un senso di precarietà, ma quando sono concentrata nel mio lavoro tutto scompare e la persona che mi sta davanti riceve tutta la mia attenzione ed il mio sostegno. Può avere un effetto importante perché è proprio nell’esperienza individuale e duale che possiamo accrescere ed evolvere la nostra interiorità. Un intervento psicoterapeutico ed educativo può aiutare a costruire se stessi nel proprio valore autonomo. Del resto noi possiamo incidere soltanto sul singolo, in modo capillare, per poi fare un’operazione di reinvestimento nella conoscenza e nella coscienza del mondo.

(P.M.)

IMG ARTICOLI GUERRA dipinto olio su tela di Giada Callegari ridOlio su tela di Giada Callegari

I tuoi pazienti esprimono nel setting i loro vissuti rispetto a questi temi?

Soprattutto i giovani sembrano allarmati rispetto al rischio di una guerra, però sono silenziosi rispetto alla memoria delle guerre e degli effetti della bomba atomica. Alcuni giovani non sanno cosa sia accaduto in Hiroshima e Nagasaki, non capiscono cosa stia accadendo, reclamano un mondo giusto che arrivi improvvisamente e faticano nel mettere insieme cambiamento e rinuncia ad alcuni beni di consumo prodotti a scapito di altre persone in altri continenti.

(A.M.)

In setting individuali in modi tangenziali, molto di sfuggita. Si tende a  passare il tema sotto silenzio.

(S.B.)

I miei pazienti parlano pochissimo di questa guerra, penso sia un'autodifesa: questo è troppo, rischia di essere la goccia che fa traboccare il vaso. Credo di vederla apparire in racconti che loro mi portano di persone vicine che manifestano sempre più segnali di angoscia e di rabbia, senza saperli nominare.

(M.P.)

Le persone che seguo nei setting analitico avvertono angoscia, soprattutto da minacciosità, che incombe prossima per la guerra, più sentita rispetto a quella di altri scenari bellici nel mondo, più distanti e meno mirror socialmente per cultura e tradizioni. (In Brasile per esempio quasi non è sentita la guerra europea). Molto diffusa comunque nel setting anche la scotomizzazione dell’evento, come se non ci fosse quasi un fenomeno sospeso sub-liminalmente. Affiorano peraltro proiezioni personali di parte, voglia di razionalizzare la follia e anche soluzioni scomposte, pur di finirla.

(G.F.)

Solo alcuni. Una giovane donna ha espresso il timore che il suo ragazzo possa essere chiamato alle armi. Un altro paziente esprime la sua rabbia perché non ha scelto la guerra e soprattutto perché nessuno ha chiesto il suo parere. Un altro dice di essere profondamente colpito da quello che sta accadendo nel mondo, ma poi, sentendosi impotente preferisce spostare la sua attenzione su altro. Un altro si esprime così: “Ma che senso ha darsi tanto da fare per costruire il proprio futuro quando    basta schiacciare un pulsante (riferendosi all'atomica) e salta tutto in aria?”

(R.B.)

Non si soffermano molto, quasi si avesse timore di parlarne.

(T.M.)

Dominano il silenzio, frutto spesso dell'ignoranza, o la rassegnazione, che aumenta la precarietà del senso di vivere.

(M.M.)

Meno di quanto ci si potrebbe aspettare. Si direbbe che prevalgono sempre di più vissuti egocentrici.

(M.L.D.S.)

E anche questo, è strano! Poco, molto poco, come se il mondo non avesse alcun problema. Del resto basta andare in giro, locali pieni, alberghi pieni … come se non ci fosse nulla di preoccupante.

(G.N.)

No, non esprimono il loro vissuto rispetto a questi temi. A volte, esprimono il loro pensiero in modo superficiale e frettoloso. Nessuno di loro è favorevole alla guerra.

(P.M.)

 

In caso affermativo, incontri difficoltà nel gestire la relazione col paziente che può avere posizioni simili alle tue o molto diverse?

La difficoltà maggiore sta nel disagio che provo nel leggere la forte ambivalenza in alcuni pazienti: da  una parte il desiderio di pace, dall’altra la difficoltà a comprendere e pensare che molti dei comportamenti dell’essere umano occidentale ed industrializzato sono alla base di sfruttamento e disagio per altri.

(A.M.)

Non ho pazienti che abbiano espresso di essere favorevoli alla guerra.

(S. B.)

Non ho incontrato pazienti con posizioni molto diverse dalla mia sulla guerra.

(M.P.)

No. Per fortuna, per formazione e pattern di tratto, ho il lusso della sostenibilità delle differenze, qualità indispensabile per portare il dialogo sulla soglia di un’intelligenza meta con l’Altro, per condividere anche le differenze, nel rispetto reciproco.

(G.F.)

Ho notato che purtroppo questi temi vengono affrontati come fosse una partita di calcio: tifano per una o per l'altra parte, per cui il parlare è solo uno sfogo delle proprie tensioni.

(R.B.)

Non ho incontrato pazienti favorevoli alla guerra

(M.M.)

Non ho incontrato difficoltà significative, ma non escludo che potrei incontrarne.

(M.L.D.S.)

Se dovesse succedere non ho problemi a pensare che non avrei difficoltà.

(G.N.)

No, non ho incontrato posizioni diverse. I pazienti sono più concentrati sui loro problemi personali.

(P.M.)

 

Osserviamo la guerra dai tg e dai social. Che effetti può generare l'essere telespettatori di un fenomeno drammatico?

Mi colpisce che i tg vadano in onda anche ad ora di pranzo e cena; osserviamo scene di morte e di povertà mentre i corpi di noi a cena o sul divano sono sereni gustando cibo dentro un luogo sicuro. Come       convivono questi due stati contemporanei: l’orrore che vediamo e la sicurezza da cui guardiamo. Mi chiedo cosa accada nel profondo e nell’organizzazione del pensare/sentire quando si consolida l’abitudine ad   essere spettatori da lontano, ovvero lontani per spazio, tempo e sentire.

(A.M.)

Sgomento, assuefazione, solitudine, impotenza, rassegnazione. Difficoltà comprendere come si arrivi a piombare in emozioni estreme dalla paura e alla durezza della distruzione al bisogno di salvarsi  non solo fuggendo ma aggredendo.

(S. B.)

Già dallo scoppio della pandemia da Covid ho imparato a seguire i telegiornali facendo ginnastica: il movimento combatte un po' l'angoscia e il senso di impotenza. Poi mi chiedo: ci fanno vedere le case distrutte dai missili russi, i morti e i feriti, e piangiamo per    loro, ma i miliardi in armamenti inviati agli ucraini dove vanno a far danno? Su altre case e persone della stessa Ucraina. Questo non ce lo fanno vedere.

(M.P.)

Drammatico. La risonanza emozionale da esposizione massiva ad immagini orribili, con informazioni su pattern di violenza inaudita, disorganizzano le emozioni e le relazioni, facendo emergere l’allarme di stadio rettiliano con i suoi tratti difensivo- aggressivi. Se aggiungiamo l’assenza di reciprocità degli informati, il martellamento compulsivo, il bisogno dei media di       audience (che fa loro rincorrere le peggiori efferatezze ), allora  la misura di tossicita è colma.

(G.F.)

Le cose terribili che vediamo in televisione lasciano sicuramente dentro di noi delle impressioni che spaventano e che aumentano, più o meno consapevolmente, la paura e l'ansia, ma fino a che non stravolgono la quotidianità, è possibile proteggersi con alcuni meccanismi di difesa come ad esempio l'indifferenza e il far finta di nulla.

(R.B.)

È un essere spettatori ben consapevoli che la sofferenza enorme alla quale assistiamo è molto vicina anche a noi e che non ha un senso intelligente.

(T.M.)

Aumento dell'ansia e della paura, paralisi, difficoltà a proiettarsi nel futuro.

(M.M.)

Effetti disastrosi, sia che vadano nella direzione della paura che in quelli della desensibilizzazione.

(M.L.D.S.)

Il mio guardare è notevolmente diminuito, così come su molti altri temi (vedesi proprio la politica, le elezioni … passatemi qualche considerazione: qual è ora la sinistra? Siamo sicuri che la sinistra sia in contatto con i bisogni della gente? E qual è il significato della Meloni? Se penso che è stata attaccata dalle donne della sinistra perché non si è fatta chiamare “la Presidente“ mi viene da piangere! Ma queste si rendono conto di come vive la gente, di cosa sta succedendo nel mondo … oppure si parla del “sesso degli angeli”? Sto invecchiando precocemente, oppure è il mondo che sta prendendo una piega storta? E ancora: c’è una possibilità che il mondo cambi? Ci sono risorse sociali, culturali per andare a modificare una situazione così globale, complessa, malata? La mia risposta è no. Perché quello che io penso, da antico Comunista (appartenevo al Partito Comunista Italiano) ma direi marxista, è che è proprio il modo di essere e di progredire del mondo che non può funzionare; cioè un mondo dominato dal capitalismo, che tradotto in termini più semplici, vuol dire dal profitto, dove quello che conta è quest’ultimo elemento  (è come se si volesse misurare la felicità dal PIL!). E allora certo, mi chiedo qual è il mio compito di persona, di analista, di buddista! La mia risposta è che, in questo tempo, nel mio piccolo, devo e voglio continuare a portare avanti gli ideali, le motivazioni e le conquiste  acquisite nella mia vita; passarle a chi è ricettivo, mantenere accesa una fiaccola di un altro mondo che vorrei, ed è una buona cosa che questo venga fatto insieme ad altri che sono in sintonia con il mio pensiero, in modo tale che tutto ciò non venga perso. E quando mi trovo a rileggere testi di 2 o 3 mila anni fa mi dico che questo è possibile.

(G.N.)

Può generare impotenza, ansia, paura, un senso di non vivere completamente, anche perché siamo sommersi continuamente da tante altre problematiche.

(P.M.)

 

In una società occidentale con vite frenetiche e in corsa c'è tempo per sentire profondamente gli accadimenti della guerra?

I ritmi di vita che conduciamo non sempre consentono di sedersi, respirare, pensare ed ascoltare cosa sentiamo. Siamo telespettatori dell’orrore della guerra,  in particolare di una guerra che porta sotto gli occhi la dipendenza da risorse primarie e il terrore di non avere        abbastanza. A rendere più difficile la connessioni sentire pensare ci sono la paura della carestia e il doversi confrontare con il tema della morte, illustre rimosso di questa società.

(A.M.)

Se ci colleghiamo agli altri sì. Con una  decisione consapevole di muoverci, agire incontrare persone e scambiare opinioni e vissuti, fare rete, non solo sfogo o lamentela.

(S.B.)

Il tempo per sentire sembra diventato pericoloso: se mi lascio toccare da questa tragedia come faccio a vivere progettando il futuro? Mi sembra una posizione diffusissima soprattutto tra i giovani.

(M.P.)

C’è un “no” implicito nella domanda, posizioni che sono altro dalla profondità della guerra, perché in superficie e sull’istante, posizioni connesse all’accelerazione del tempo. Nelle società occidentali c’è comunque la possibilità critica e metacomunicativa di sentire di non sentire il proprio stato e poter migliorare o cambiare alcuni pattern. E nelle altre società? Forse neanche questo stadio evolutivo, di critica e metacomunicazione.

(G.F.)

No, tutt'altro. Il tempo del sentire ha un altro ritmo. È il ritmo del respiro, della presenza, dello stare nelle cose che accadono. La corsa accelera tutto. Per cui continuare a correre può essere un modo per difendersi.

(R.B.)

All'apparenza sembrerebbe di no, in realtà questo sentire aleggia continuamente e si coglie negli sguardi, nei mancati sorrisi, nelle reazioni impulsive e aggressive.

(T.M.)

In genere siamo storditi dal flusso spasmodico di informazioni. Ma soprattutto siamo distratti, storditi e sopraffatti dai continui stati di emergenza (sanitaria, economica, energetica, climatica) in cui ci troviamo immersi e costretti a fronteggiare.

(M.M.)

Credo che ci sia ben poco tempo. Le impressioni o non ci raggiungono o ci invadono.

(M.L.D.S.)

Se penso a me, rispondo di sì, anche se poi, a seguito di altri problemi (vedi la situazione della crisi energetica – tra l’altro derivante proprio dalla guerra), può accadere che un po’ possa sfumare. Per la società mi verrebbe da dire: molto poco, proprio per le cose che accennavo nelle righe precedenti. Ma questo significa che le persone sono lontane dal sentire, anche quando la guerra si affaccia sul loro giardino!

(G.N.)

Per come è conformata la società occidentale sembra che non ci sia abbastanza tempo per “sentire” profondamente ciò che avviene intorno a noi. Pur trovandoci nel periodo dell’informazione, della comunicazione, della visione degli eventi, ciò che si nota è la non partecipazione profonda agli stessi eventi che ci scorrono davanti. A mio avviso, il problema non è la mancanza del tempo per sentire ma della partecipazione emotiva, affettiva, spirituale che ci mette in condizione di partecipare pienamente ai vari accadimenti. È sicuramente una difesa: guardiamo, ascoltiamo ciò che avviene con il terrore che tutto ciò possa capitare a noi, ma oltre il piccolo nucleo familiare, per chi ce l’ha, tutto il resto del mondo costituisce una sorta di spettacolo che viene vissuto come qualcosa al di fuori di sé. Anche in questo caso il tempo per “sentire” rientra in un discorso di fraternità più globale, ove la persona dovrebbe avvertire gli eventi estranei con quella affettività profonda che solitamente sente per i propri cari.

(P.M.)

 

[*] Gli autori sono psicoterapeuti analisti reichiani:

Rosanna Basili, Silvana Bragante, Maria Luisa Di Summa, Genovino Ferri, Marcello Mannella, Patrizia Martino, Teresa Mattucci, Antonella Messina, Giorgio Nigosanti, Marina Pompei. www.analisi-reichiana.it

UN CASO DI ANORESSIA NERVOSA SU BASE DEPRESSIVA

Una rilettura in Analisi Reichiana Contemporanea

 

A CASE OF NERVOUS ANOREXIA ON A DEPRESSIVE BASIS

A rereading in Contemporary Reichian Analysis

 

DOI 10.57613/SIAR 32


Genovino Ferri [*] e altri [**]

 

Abstract

     Il presente studio è una rilettura dei fattori coinvolti nella genesi, evoluzione ed esiti osservati in un caso clinico di anoressia nervosa. Tale rivalutazione è stata effettuata nella prospettiva del nuovo paradigma scientifico globale, quello dell'evidenza scientifica, in una modalità specifica, la cosiddetta "ricerca traslazionale". Essa consiste nell'applicazione di evidenze scientifiche, di elevata qualità metodologica, scaturite da risorse terapeutiche innovative, attuate in condizioni cliniche di bassa responsività a risorse terapeutiche convenzionali, come nel caso dell’Anoressia Nervosa, un grave disturbo alimentare che mette a rischio la vita della persona che ne è affetta. Lobiettivo di questa ricerca è di valutare i limiti e le possibilità di un intervento psicoterapeutico individuale, clinico-analitico, in un caso di anoressia nervosa su base depressiva. Il metodo usato è stato l’approfondimento del caso clinico, con focus sulla relazione analitico-terapeutica, sulle attivazioni psicocorporee e sulla psicofarmacoterapia. Essi sono i tre principi attivi  utilizzati nell’ottica dellAnalisi Reichiana Contemporanea per un processo psicoterapeutico appropriato.

Parole chiave

     Disturbi Alimentari - Anoressia Nervosa – Depressione – Psicoterapia - Analisi Reichiana Contemporanea - Relazione Analitico Terapeutica  -Attivazioni Psicocorporee – Psicofarmacoterapia - Salute Basata sulle Evidenze (S.B.E.) – Ricerca Traslazionale.

Abstract

     The present study is a review related to re-reading the analysis of the factors involved in the genesis, evolution and outcome observed in an anorexia nervosa case report. The reassessment was conducted from the perspective of a new global scientific paradigm for scientific evidence, in a specific branch of this methodology, known as “translational research”, which is the application of high methodological-quality evidence, turning it into innovative therapeutic resources, that can make the difference in the management of clinical conditions with low responsiveness to conventional therapeutic resources, as in the case of Anorexia Nervosa, which is the manifestation of a serious eating disorder that may present risks to the patient. Therefore, the scope of the present research is to evaluate the limits and potentiality of individual psychotherapeutic intervention in cases of anorexia nervosa, with a depressive basis, by means of a clinical – analytical reading.

     The method for the study was the deep analysis of a clinical case, based on the analytical-therapeutic relationship, on the psycho-bodily activations and their related psyco-pharmacotherapy. These are the three active principles in Contemporary Reichian Analysis, which represents a theoretical-practical reference in an appropriate psychotherapeutic process, as detailed below.

Key words

     Eating Disorders - Anorexia Nervosa – Depression – Psychotherapy - Contemporary Reichian Analysis -  Analytical Therapeutical Relationship - Psycho Bodily Activations -  Psychopharmacotherapy -  Evidence-Based Medicine (EBM) - Translational Research.

Introduzione

     La Salute Basata sulle Evidenze (S.B.E.) è il nuovo paradigma scientifico globale contemporaneo e rappresenta la più completa comprensione dei fenomeni e dei processi biologici che minacciano la vita degli individui, in termini di aspettativa di vita,  di benessere, di salute mentale e qualità della vita. A causa di fattori di rischio di diversa natura sull'evoluzione delle malattie, per aumentare il successo di un intervento terapeutico è importante tenere presente che le scienze della salute sono governate da leggi probabilistiche. La S.B.E. ha criteri specifici e sistematizzati per valutare gli interventi terapeutici, per renderli più efficaci in un contesto in cui predominano incertezze e deviazioni dalle risposte attese, dovute alla soggettività esistenziale. All'interno di questi criteri, le risorse sanitarie più valide, sia per la diagnosi che per il trattamento e la prevenzione delle malattie, devono rispettare comunque i principi di efficacia, di efficienza e di sicurezza. In questo modo la S.B.E. include la soggettività dei pazienti, oltre a consentire l'uso razionale delle risorse disponibili (Good Clinical Practice).

    È noto che nel mondo reale sempre meno pazienti evolvono secondo i presupposti della fisiopatologia delle malattie che li hanno portati a chiedere aiuto. Gli interventi sanitari di fatto sono unici e personalizzati perché ogni caso è diverso. La decisione del professionista riguardo al momento e al tipo di intervento, con la  S.B.E. presenta una possibilità di maggiore successo.

     La “ricerca traslazionale” della S.B.E. consiste nell'applicazione di evidenze scientifiche di elevata qualità metodologica, che le rendono risorse terapeutiche innovative e possono fare la differenza nella gestione di condizioni cliniche di bassa responsività alle risorse terapeutiche convenzionali. In questo modo il progetto terapeutico, eseguito con la metodologia S.B.E. sarà a partire dall'elaborazione della domanda PICOT (Problem/Intervention/Compatable/Outcome/Time).

 

Anoressia Nervosa

     Si tratta di un disturbo alimentare che porta la persona a preoccuparsi troppo del proprio peso, presentando un’alterazione della sua immagine e una paura morbosa di ingrassare. È un fenomeno che, ad oggi, interessa circa il 10% delle donne e si caratterizza come il disturbo psichiatrico con il più alto indice di mortalità. Caratteristiche della personalità e comportamenti precursori della malattia sono rappresentati da: perfezionismo, diete, affettività negativa, depressione, impulsività, disturbi d’ansia, pressione verso l’essere magri dovuta all’ambiente. Sin dall’adolescenza, l’anoressia nervosa  ha un ideale rigoroso dell’ego, una vulnerabilità narcisistica, un conflitto tra dipendenza e autonomia, un rifiuto delle pulsioni e una difficoltà ad affrontarle.

  1. Freud, riguardo l’anoressia nervosa, osservava: "la nevrosi alimentare parallela alla malinconia è l’anoressia: una malinconia che si verifica laddove la sessualità non si è sviluppata. La perdita dell’appetito in termini sessuali è la perdita della libido" (Minuta G- W.Fliess- 1895, 2:29-35).
  2. Abraham sosteneva che le pulsioni sadiche del soggetto malinconico sembrano protendersi verso l’annichilimento, divorando l’oggetto dell’amore.

     Altre ricerche psicoanalitiche di  Evelyne e Jean Kestemberg e Simone Decobert hanno individuato negli anoressici una struttura con elementi di perversione: il piacere di essere insoddisfatti coltivando situazioni di vuoto e di fame. La posizione Analitica Reichiana Contemporanea sposta l’eziopatogenesi analitica dei disturbi della condotta alimentare (D.C.A.) sulla freccia del tempo ontogenetico, fino alla relazione oggettuale primaria del Sé, deficitaria nei D.C.A., a partire dalla oralità primaria intrauterina dell’area ombelicale profonda (6° livello corporeo relazionale) e della bocca (2° livello corporeo relazionale). Dal punto di vista psicodinamico si evince, inoltre, la disperata difesa narcisistica secondaria, di sopravvivenza, segnata perifericamente nel collo (il 3° livello corporeo relazionale), che si presenta come segmento molto rigido e corazzato. Valutando un collegamento con la nostra modernità liquida, fatta di relazioni accelerate e rarefatte, si rafforza l’ipotesi di un ulteriore fattore eziopatogenico dell’anoressia: la scena sociale. Il super-ego famigliare è stato sostituito dal super-ego social-mediatico, che si mostra freddo, persecutorio ed escludente, che rende vulnerabili le relazioni oggettuali primarie, perché spinge la società in un’immersione oltre-soglia nella grande area orale.

     Oggi si fa sempre più uso di farmaci antidepressivi e antipsicotici atipici. Cosa chiediamo loro? Di colmare il vuoto dei nostri rapporti affettivi? Di procurarci più struttura e meno liquidità orale per  sostenere l’accelerazione dei nostri ritmi? O entrambe le cose? Essi vanno utilizzati fondamentalmente per facilitare un contatto psicoterapeutico, diminuendo la sintomatologia oltre-soglia del tratto orale di carattere!

 

Metodologia

     L’Analisi Reichiana Contemporanea (A.R.C.) propone una lettura ad alta coerenza epistemologica, che si informa alla Teoria della Complessità (entropia/neghentropia) e alla teoria generale dei sistemi, guardando alla relazioni e all’interdipendenza tra le parti che formano un insieme. Il suo pensiero ha uno stile circolare e lineare, parziale e intero, bidimensionale e tridimensionale. L’A.R.C. include l’intelligenza del corpo, come traccia straordinaria in una lettura-visione tridimensionale della persona: pratica una grammatica psicocorporea appropriata e precisa, propone una rilettura clinico-analitico-corporea della psicopatologia e dell’inconscio, aprendo a dimensioni pre-soggettive e intercorporee nell’ambito del setting terapeutico. Possiede una diagnostica differenziale che permette un progetto terapeutico personalizzato. Osserva il come del pensiero, del linguaggio verbale, del linguaggio del corpo, il carattere delle relazioni, ma anche il tempo evolutivo e i pattern di tratto depositati nei cassetti del tempo nella storia intera della persona. Il modello coniuga psicoterapia, psicofarmacoterapia, neuroscienze, psicanalisi e corporeità, mentre dialoga con altri indirizzi psicoterapeutici. Esso parte dall’osservazione dei fenomeni della vita, delle loro cause, delle loro sequenze temporali. Il modello introduce la freccia del tempo filo-ontogenetico con i segni incisi dalle relazioni oggettuali vissute nelle fasi evolutive, sui livelli periferici del corpo, che faranno gli stili relazionali, ma faranno anche i segni incisi epigenetici e neuromediatoriali per i nuclei cerebrali nelle stratificazioni dei cervelli.

     Il modello, nell’includere i segni incisi della storia biologica e biografica della persona, dichiara che il corpo è imprintato primitivamente bottom up, nella circolarità bottom up / top down mentre si forma la mente. Nell’osservare il mondo interno evolutivo lo vediamo emergere quindi corporal-mente sulla freccia del tempo neghentropico. La vita infatti inizia ontogeneticamente dal concepimento e si sviluppa fino alla maturazione cerebrale, seguendo una direzione evolutiva ascendente e neghentropica. Con la stazione eretta e la deambulazione bipede, poi, nella filogenesi, arriva la tridimensionalità dello spazio-tempo, che permette la profondità stereoscopico-visiva nell’osservazione delle cose. La circolarità bottom up / top down della vita quindi è presa in considerazione nella diagnosi e nel progetto terapeutico mirato a quella persona, per cui si valuteranno i sintomi clinici e la loro storia biologico-biografica segnata nei livelli corporei, si valuteranno così anche gli stili relazionali dei tratti caratterologici, incisi dalle domande implicite, relazionali e di fase della persona.

     L’obiettivo dell’indirizzo è sviluppare una capacità diagnostica più precisa e personalizzata, includendo il corpo e i livelli corporei relazionali, che trasmettono dalla periferia informazioni al sistema nervoso centrale tramite le vie cortico-spinali. Con l’addizione di un’ottica clinico-analitica-corporea è possibile leggere una localizzazione etiopatogenetica in 3D e stratificata dei disturbi alimentari, delle malattie psicosomatiche, dei disturbi affettivi e psicopatologici; tale ottica si porta fin nei primi 500 giorni della storia della relazione oggettuale primaria, nel setting terapeutico, ovvero all’inizio di quel viaggio che, come afferma A. Damasio, va “dal Sé Oggetto al Sé Soggetto”. L’A.R.C. confronta ed include, nel suo indirizzo psicoterapeutico, i dati neuroscientifici più significativi e attuali, offerti dalle ricerche di A. Damasio, V. Gallese, G. Bateson, F. Varela, H. Maturana, E. Tiezzi,  S. Porges, E. Kandel, A. Schore.

immagine anoressia 2Caso clinico-analitico

     L’obiettivo è individuare “il quando il dove e il come” si sono incisi i segni relazional-corporei di Isabella, nella sua freccia del tempo evolutivo, che hanno portato alla sua anoressia nervosa, come equivalente depressivo. Isabella all’età di 38 anni cerca un progetto psicoterapico, è molto magra, è alta 155 cm e pesa 37 kg. La sua domanda: elaborare la separazione dal fidanzato, perché è alla fine della loro relazione che ha perso 10 kg.

L'anamnesi.

     Ha una prima crisi di anoressia all’età di 14 anni, una seconda all’età di 29 anni e questa attuale quindi è la terza crisi. Arrivata al mondo non programmata dai genitori, la sua nascita è stata da parto naturale, non c'è stato allattamento materno. Riferisce che fin dalla gravidanza la relazione tra sua madre e lei non è stata mai buona, Isabella racconta di disperazioni riferite dalla madre quando seppe di lei in grembo. La descrive come persona pessima e non equilibrata.

     Il periodo perinatale rappresenta una finestra temporale critica, dove le esperienze ambientali possono provocare, a lungo termine, conseguenze sul sistema nervoso e sul comportamento, spesso un carico allostatico (stress), con incidenza sulla corteccia prefrontale, sull’ippocampo o sull’amigdala. Gli studi delle neuro immagini funzionali dimostrano un aumento del volume di queste strutture in caso di depressioni maggiori e di disturbi d’ansia della madre. Nelle donne colpite dalla depressione nel corso del terzo trimestre di gravidanza, infatti, Oberland et al. hanno osservato un grado superiore di metilazione del promotore e dell’esone 1F verso il recettore dei glucocorticoidi NR3C1 nei loro neonati. Risultati analoghi sono stati confermati da McGowen et al., che hanno studiato l’espressione del gene NR3C1 nei neuroni dell’ippocampo di persone vittime di abusi sessuali durante l’infanzia che si sono poi suicidate.

     Allan N. Schore afferma che il cervello sinistro, quello pensante del raziocinio, altamente verbale e analitico, non si sviluppa prima del secondo anno di vita e partecipa poco alle relazioni primarie. Il primo periodo critico dello sviluppo del cervello destro ha inizio durante il terzo trimestre di gestazione (ipotizziamo anche prima?) e prosegue fino al secondo anno di vita. Per la sicurezza emotiva è fondamentale lo sviluppo del cervello  destro, il quale viene modellato dalle relazioni con l’ambiente  durante l’infanzia. Secondo Allan N. Schore, una relazione particolarmente significativa, come quella terapeutica, è simile all’esperienza dell’attaccamento, capace di attivare i circuiti cerebrali destri, provocando una serie di modifiche nell’assestamento dell’affettività e dell’espressione emotiva, un fattore capace di interferire nelle mutazioni dei processi epigenetici. Stalh confronta il rapporto terapeutico nel setting con gli psicofarmaci e lo intende come probing neurobiologico in grado di indurre cambiamenti epigenetici nei circuiti cerebrali, tanto da meritare il titolo di epigenetic-drug.

     La madre di Isabella, testimone di Geova, era molto aggressiva, reattiva e maltrattante i suoi 4 figli. Isabella, terza di 4 fratelli, ha 2 sorelle più grandi e un fratello minore. I genitori, argentini, sono stati sposati per 8 anni. Dopo la separazione dei genitori, la madre inizia una nuova relazione con un altro uomo e Isabella sceglierà di vivere con il padre dagli 8 agli 11 anni. All’età di 11 anni, il padre ha una nuova compagna e Isabella torna dalla madre. Vivrà con lei dagli 11 ai 19 anni. Il padre, uomo intelligente, professionalmente con alto ruolo esecutivo, viaggia molto per lavoro. Nonostante fosse affettuoso con i figli, non lo esprimeva corporalmente. Isabella, all’età di 12/13anni, viene accusata dalla madre di seduzione e  di essere colpevole dell’abuso subito dal patrigno. Quel giorno, sconvolta e spaventata, andò a nascondersi sotto al letto in camera sua, dove rimase per due giorni interi.

     Isabella non amava il suo corpo, non si accettava e pensava di essere una ragazzina brutta. Quando le sue due sorelle maggiori lasciano la casa materna, lei 14enne  vive la sua prima crisi di anoressia su base depressiva, ma la madre non se ne accorge nemmeno. Anche il fratello minore dopo qualche anno va via e raggiunge le sorelle. Lei è l’ultima a farlo, a 19 anni, e torna nuovamente dal padre. Il padre e la sua compagna la accolgono. Isabella ricorda di essere sempre stata criticata dalla madre che le diceva di essere brutta, la picchiava, le prediceva che non avrebbe mai combinato niente di buono. 

     La seconda crisi di anoressia su base depressione arriva all’età di 29 anni, al termine di un’altra relazione affettiva. Oggi si giudica una persona “non gradevole, che non ha nulla da offrire alle altre persone”. Dichiara che l’unica ragione per cui non si toglie la vita è quella di non voler far soffrire suo padre, perché non lo merita. Dal punto di vista professionale è molto competente, ha una posizione di alto livello e dirige un gruppo. Non conosce il linguaggio delle relazioni e non sa parlare d’altro che del proprio lavoro.

Osservazioni

     I sintomi legati ai disturbi alimentari di Isabella sono indicatori della difettualità della relazione nella sua oralità primaria, nel tempo intercorporeo e pre-soggettivo con la madre. Nel caso di Isabella, l’anoressia ha avuto anche l'importante funzione emotiva di mantenere il suo pattern di tratto capace di distanziare e rimuovere la fase orale deficitaria da mancanza di nutrimento materno, bloccando il collo in una disperata difesa narcisistica.

     La sua domanda implicita riguardava il tema dell’esclusione e dell’abbandono. Non è stata allattata dalla madre, i suoi neuroni mirror non hanno specchiato sorrisi inclusivi materni, né tanto meno il calore prosodico. Isabella non è cresciuta in un campo materno sufficientemente buono, fondamentale per avere una buona resilienza di base. L’inclusione e l’accettazione primaria nascono dai segnali trasmessi dal linguaggio del corpo della madre durante le fasi della relazione oggettuale primaria (neuroni mirror, contatto e presenza).

     Isabella racconta spesso dell’abbandono e della noncuranza della madre nei suoi riguardi, si lamenta di non essere stata vista dalla madre, di non essere stata letta nelle sue necessità, nemmeno nelle sue crisi di anoressia. Al contrario, riceveva risposte violente, abusi e minacce, senza un luogo sicuro dove rilassarsi. Per sopravvivere doveva stare in costante stato di allarme e fuga. Racconta un episodio vissuto all’età di 6 anni quando, non volendo mangiare, la madre prese il piatto e glielo sfregò in faccia. Il come del rapporto di Isabella con l’Altro da Sé nel suo tempo intrauterino e oro-labiale è stato molto stressante, un tempo di primi dialoghi con gli oggetti parziali madre-utero e madre-capezzolo; tali segni incisi sono piuttosto evidenti nella narrazione storica delle sue relazioni, anche successive. Come noi comunichiamo con il mondo, il nostro stile, è fondamentale nelle relazioni della vita. Le comunicazioni sono interazioni che alimentano le relazioni.

     Isabella oggi, oltre alla difficoltà di comunicare e relazionarsi con i colleghi di lavoro, ha molte difficoltà nel rapporto affettivo con gli uomini. Ha ripetuto sempre, nelle sedute di terapia, che mai sarebbe riuscita a vivere un rapporto amoroso, avendo con sé la peste emozionale materna che le parlava della sua incapacità, bruttezza e imperfezione. Isabella infatti si attribuiva un’autoimmagine dispregiativa e distorta, tipica del comportamento anoressico e depressivo.

 

Trattamento e risultato

     Il trattamento analitico-terapeutico di Isabella comincia con un’attenta anamnesi delle relazioni ontogenetiche nella sua storia biologica e biografica, necessaria per individuare il progetto più appropriato nel setting terapeutico. L’anamnesi è altresì necessaria per individuare una posizione e un come dell’analista appropriati per i temi di esclusione e di vuoto affettivo di Isabella, per la distorsione della sua immagine corporea e della bassa autostima.

     L’analista conseguentemente si è posizionata, nel setting, con presenza e contatto, con occhi mirror affettivi includenti e sostenenti, essendo informata della relazione intercorporea e pre-soggettiva della paziente. L’anamnesi è stata utilizzata dall’analista per la ricerca dei propri livelli corporei relazionali  e del suo controtransfert di tratto più appropriati per Isabella, in modo da raggiungerla nel contatto terapeutico. Isabella aveva sofferto un modello relazionale di esclusione, con un sapore amaro nella sua relazione primaria intrauterina, con una carenza di neuroni specchio visivi ed epidermici dopo il parto. In mancanza di questi riferimenti conservava un vuoto e allo stesso tempo negava il bisogno affettivo, dimostrando un comportamento onnipotente e un atteggiamento narcisistico di sopravvivenza.

     Da un punto di vista analitico, Il tema dell’esclusione è evidente nella storia del suo vissuto intrauterino e orolabiale nella relazione primaria con la madre.

     Negli ultimi 3 mesi di vita intrauterina si produce la mielinizzazione del Circuito Ventro Vagale, che continuerà anche nel post-partum, un circuito  che regola la sicurezza, il pericolo e la comunicazione affettiva, con i neuroni specchio, gli occhi, la pelle, il latte e la prosodia. La neurocezione, secondo S. Porges, contiene le informazioni di tutto quello che avviene in questa fase: sensazioni, emozioni, intonazioni, postura, linguaggio del corpo.

     Nel caso di Isabella essi sono stati disfunzionali. Il suo corpo si è difeso dal pericolo tramite il sistema simpaticotonico, una contrazione cronica, localizzata e evidenziata sul livello corporeo del collo, sede di un super-ego rigido, dalla scarsa flessibilità e con scarsa possibilità di scambio relazionale.

     Isabella non ha imparato a scambiare, a ricevere e a dare. Nei suo rapporti non aveva intimità verso se stessa né verso nessuno. Nella sua espressione corporea mancava il contatto e  la presenza, i suoi occhi  mancavano di luce,  duri e freddi, razionali verso di sé e verso il mondo. Nella sfera cognitiva era molto intelligente e brillante, ma, nella dimensione affettiva, era debole e fuggiva per lo spavento.

     Al momento della separazione dal campo paterno, figura che rappresentava quel poco di nutrimento affettivo della sua storia, nel tornare nell’arido campo materno, Isabella entra-rientra nella depressione e nel quadro anoressico che la esprime. L’analista ha lavorato con tutte queste emozioni che, poco a poco elaborate e riparate, hanno aiutato Isabella a compensare le sue distonie neurovegetative, bilanciando il suo sistema vago-simpatico, diminuendo la sua reattività e la sua disorganizzazione. È stata accudita e nutrita con delicatezza e sensibilità dalla terapeuta/analista, il cui obiettivo era anche quello di aiutarla nella sua piattaforma di insicurezza e diffidenza nelle relazioni verso l’Altro da Sé.

     La presenza, il contatto, la delicatezza, il rispetto della necessità e del ritmo dell’altro, proposti dalla terapeuta/analista, sono stati gli ingredienti fondamentali per la de-costruzione/costruzione di una piattaforma più funzionale e sostenibile affettivamente per Isabella. La psicoterapeuta ha offerto i suoi occhi e il suo controtranfert appropriato, sin dall’inizio del trattamento, creando una relazione autentica, affidabile e affettiva tra lei e la paziente, ottenendo benefici per l’evoluzione dell’autostima e della fiducia di Isabella, portandola ad imparare a ricevere, a scambiare, a comunicare meglio nel mondo relazionale.                               

     Isabella ha conquistato fiducia e intimità con un femminile “madre sufficientemente buona”, accettandolo con affetto, onestà e chiarezza. Ha rafforzato la sua assertività difensiva, trovando un luogo sicuro per sé, senza abuso, riuscendo a migliorare la sua interazione con il mondo, costruendo un forte legame affettivo e di riferimento affidabile con l’analista, ancora oggi, a terapia conclusa.

     Il setting terapeutico è stato un grande e fertile spazio di scambio, una piccola biosfera, un sistema vivente complesso e aperto, con risultati positivi grazie ad una relazione appropriata e rispettosa nei passi evolutivi e nei ritmi, sostenuti da una precisione diagnostica. L’analista ha potuto lavorare sulla fase evolutiva deficitaria, sui suoi livelli corporei disfunzionali, ancora segnati nel tempo intercorporeo e pre-soggettivo della sua storia.

     Sono state utilizzate alcune Attivazioni Corporee, che sono movimenti filontogenetici capaci di imprinting epigenetici, come la relazione terapeutica (esito di un accoppiamento strutturale da attento linguaggio dei tratti) e la psicofarmacoterapia. La scelta delle attivazioni corporee  è stata articolata con la diagnosi e scelta del controtransfert di tratto di carattere più appropriato, entrambi mirati alla storia biologica e biografica e alle domande implicite ed esplicite espresse da Isabella nel setting. Era importante portare serotonina nella Relazione Oggettuale Primaria di Isabella, nelle sue fasi primitive biologico-biografiche.

Alcune attivazioni corporee utilizzate:

1- Punto fisso in convergenza con penna luce

2- Dal punto fisso luminoso in convergenza rientrare sulla propria piramide

    nasale

3- la ripetizione delle stesse attivazioni corporee senza penna luce, dal cielo

 al naso.

     Il come di giusta distanza, con occhi sorridenti, prosodia calda e includente dell’analista-terapeuta, addizionato alla convergenza degli occhi di Isabella sul punto fisso luminoso prima, con successivo rientro sulla propria piramide nasale, equivalgono ad implementare serotonina e dopamina per separarsi-individuarsi funzionalmente nel tempo analitico della relazione oggettuale primaria,  deficitario appunto in Isabella. In una lettura psicanalitica, si elaborano con l’analisi del carattere, i temi di esclusione/ inclusione, di relazione diadica, di indipendenza e autonomia, di prima separazione-individuazione.

Una considerazione finale

     La nuova metodologia S.B.E. afferma che “rivisitando qualsiasi campo della conoscenza umana, dal punto di vista dell'evidenza scientifica, è possibile raggiungere un livello di conoscenza irraggiungibile con i vecchi metodi scientifici convenzionali, basati solo sulla logica cartesiana”, esattamente quanto osservato nel presente caso clinico. La S.B.E. apre la possibilità allo sviluppo di importanti future ricerche cliniche qualitative.

     Come affermato da E. Kandel:

"Le parole modificano la sinapsi” e ciò valida la psicoterapia nel mondo della scienza.

     Come affermato da G.Ferri:

“Le parole modificano le sinapsi, ma anche il come sono espresse le parole modifica le sinapsi, così le attivazioni corporee appropriate modificano le sinapsi”.

(Traduzione dal brasiliano di Gabriella Galluzzi)

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[*] Genovino Ferri, Psichiatra, Psicoterapeuta, Analista didatta S.I.A.R., Presidente S.I.A.R. e Direttore della Scuola Italiana di Analisi Reichiana, Direttore del board scientifico della collana CorporalMente dell’Editrice Alpes, Membro dell’Accademia delle Scienze di New York, Membro del Comitato Scientifico Internazionale di psicoterapia Corporea. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. indirizzo professionale: Via Nazionale, 400, 64026 Roseto degli Abruzzi (TE).

[**]Robson Barbieri, Cirurgião Dentista - Clínico Geral. Delegado CROSP - Conselho Regional de Odontologia Seccional Ipiranga/ São Paulo. APCD- Associação Paulista Cirurgiões Dentistas Seccional São Paulo.

Ana Maria Grimaldi Psicóloga Clínica, Analista Reichiana Contemporânea, treinada por Genovino Ferri e Federico Navarro, Fez especialização em Psicanálise do idoso na PUC S. Paulo

Dr. Carlos Monson PhD em Saúde Baseada em Evidências. Membro Cochrane Collaboration. Universidade Nottingham no Reino Unido. Membro do Núcleo de Coordenação do GEPSOS/ SOSBE / Grupo de Estudos e Pesquisas em Saúde Oral e Sistêmica Baseada em Evidências / UNIVERSIDADE FEDERAL DE SÃO PAULO.

S.C.Monson Neuro-Psico-Pedagoga, especialista em Deficiência Intelectual, Mestranda EPM/ UNIVERSIDADE FEDERAL DE SÃO PAULO.

Mônica Okuhara, Especialista em Medicina Comportamental. UNIVERSIDADE FEDERAL DE SÃO PAULO.

Mestre Saúde Baseada em Evidências/ UNIFESP. Pesquisadora Associada Centro Cochrane do Brasil.

Mary Jane A. Paiva is a Clinical Psychologist, Body Psychotherapist and Contemporary Reichian Analyst, president of the institute Her experience goes far beyond.

Valéria Petri. Titular Livre Docente do Departamento de Dermatologia da Escola Paulista de Medicina/Unifesp. Coordenadora Geral do GEPSOS / UNIFESP. Vice Reitora UNIFESP -UNIVERSIDADE FEDERAL DE SÃO PAULO.

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